Covenant Protestant Reformed Church
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Conoscere la Nostra Miseria Mediante la Legge

 

Sermone dal Catechismo di Heidelberg, Giorno del Signore 2. Predicato dal rev. Angus Stewart, nella Covenant Protestant Reformed Church di Ballymena (in data non specificata).

LETTURA:

Leggiamo insieme il Giorno del Signore 2, che dà inizio alla prima delle tre parti in cui il Catechismo di Heidelberg è diviso, la parte chiamata "Della Miseria dell’Uomo:"

D. 3 Da cosa riconosci la tua miseria? R. Dalla Legge di Dio.

D. 4 E cosa richiede la Legge divina da parte nostra? R. Ce lo insegna Cristo in un sommario, Matteo 22:37-40: E Gesù gli disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua, questo è il primo e grande comandamento; e il secondo è simile ad esso: Amerai il prossimo tuo come te stesso; da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti.

D. 5 Puoi tu osservare tutto questo pienamente? R. No: perché sono di natura incline ad odiare Dio e il mio prossimo.

 

SERMONE:

Considereremo l’insegnamento del Catechismo specialmente alla luce di Romani 7:7-13, che ora leggeremo:

7 Che diremo dunque? Che la legge è peccato? ì non sia; anzi io non avrei conosciuto il peccato, se non mediante la legge; infatti io non avrei conosciuta la concupiscenza, se la legge non avesse detto: «Non concupire». 8 Il peccato invece, presa occasione da questo comandamento, ha prodotto in me ogni concupiscenza, 9 perché senza la legge, il peccato è morto. Ci fu un tempo in cui io vivevo senza la legge, ma essendo venuto il comandamento, il peccato prese vita ed io morii, 10 e trovai che il comandamento, che è in funzione della vita, mi era motivo di morte. 11 Infatti il peccato, colta l'occasione per mezzo del comandamento, mi ingannò e mediante quello uccise. 12 Così, la legge è certamente santa, e il comandamento santo, giusto e buono. 13 Ciò che è buono è dunque diventato morte per me? ì non sia; anzi il peccato è diventato morte, affinché appaia che il peccato produce in me la morte per mezzo di ciò che è buono, affinché il peccato divenisse estremamente peccaminoso per mezzo del comandamento.

Secondo la Scrittura e le Confessioni Riformate un Cristiano è per definizione qualcuno che ha conoscenza. La Domanda 3 del Catechismo dice: "Da cosa riconosci la tua miseria?" e questa è conoscenza. Il Cristiano ha conoscenza perché la conoscenza è parte della sua fede. Il Cristiano ha conoscenza anche perché, in virtù del suo ufficio, egli è un profeta. In quanto profeta il Cristiano pronuncia la Parola di Dio, e può farlo soltanto perché egli conosce la Parola di Dio. Il Cristiano è qualcuno che ha conoscenza. Il Giorno del Signore 2 ci insegna che il Cristiano ha conoscenza di se stesso: egli conosce se stesso. Egli sa che egli non è perfettamente senza peccato in questa vita, e sa che non può esserlo. Questa è conoscenza di se stesso. Egli sa che partecipa alla miseria. La Domanda 3 dice: "Da cosa riconosci la tua miseria?" e quindi assume che il Cristiano conosce la sua miseria, e poi chiede anche, "come riconosci la tua miseria, in che modo, da dove proviene questa tua conoscenza?" ma, come già detto, il Catechismo assume che il Cristiano conoscenza la sua miseria, e, come il resto del Catechismo rende chiaro, la miseria del Cristiano è la miseria del peccato, una miseria tale che rimarrà con lui fino al giorno della sua morte, perché il peccato sarà con lui fino al giorno della sua morte. Questo significa che il Cristiano non è completamente felice in questo mondo, né può esserlo, perché insieme alla conoscenza della sua redenzione e del modo in cui deve essere grato di questa redenzione, egli ha sempre con lui la conoscenza del suo peccato e della sua miseria, tutta la sua vita. Ciò non significa che il Cristiano non può, non deve avere gioia o che non ha gioia, o che egli non sia perfino chiamato a gioire sempre nel Signore, perché lo è, ma significa che nella sua vecchia natura vi è il peccato, ed egli conosce la miseria del suo peccato e della sua natura peccaminosa.

Il Cristiano ha conoscenza, conoscenza del suo peccato e della sua miseria, ma il Cristiano conosce questa miseria perché egli conosce il mezzo, lo strumento che Dio usa per mostrargli questo peccato e questa miseria, e questo strumento è la Sua legge. "Da cosa riconosci la tua miseria? Dalla Legge di Dio," questo è il modo in cui io conosco la mia miseria. Romani 3:20, il verso citato dal Catechismo in connessione a questa domanda, dice: "mediante la legge infatti vi è la conoscenza del peccato." E quindi noi dobbiamo sapere e sappiamo, e dobbiamo sapere sempre meglio alcune cose riguardanti la legge. Dobbiamo conoscere i contenuti della legge, la natura della legge, la funzione e il proposito della legge. Dobbiamo conoscere ciò che la legge è in grado di fare, e quello che la legge non è in grado di fare. Se ha confusione a riguardo di questi punti, egli è nei guai. E così il Giorno del Signore 2, che inizia il trattamento della miseria dell’uomo, è intrecciato alla conoscenza della legge, perché la conoscenza del peccato e della nostra miseria va di pari passo con la conoscenza della legge. "Da cosa riconosci la tua miseria?" dice la domanda 3, "dalla legge di Dio." E cosa richiede da noi la legge? La risposta è riassunta per noi nelle parole di Cristo in Matteo 22, che parlano di amare Dio con tutto noi stessi, e il nostro prossimo come noi stessi.

E puoi tu, sei tu in grado di osservare perfettamente tutto quello che ci richiede la legge? dice la domanda 5. No! Non posso! Perché per natura io sono prono ad odiare Dio e il mio prossimo! Potremmo andare un po’ oltre e dire, che dal momento che la legge di Dio è una riflessione della giustizia di Dio, e che quindi la legge ci insegna a conoscere Dio, quindi la conoscenza di Dio e la conoscenza di noi stessi sono per necessità ed in modo inevitabile intrecciate. In altre parole, io conosco chi sono, e cioè un misero peccatore, soltanto conoscendo Dio e la Sua legge. Se non conoscessi Dio, non conoscerei chi io sono in quanto peccatore. E quindi coloro che non conoscono chi è Dio non conoscono chi o cosa sono! Potrebbero anche dire che sono peccatori, lo dicono tutti, ma non comprendono quello che ciò veramente significa. La Bibbia ci dice che noi siamo perduti e che stiamo perendo, che siamo formati e nati nel peccato, e chi non conosce Dio non conosce queste realtà fondamentali.

E questo è vero nonostante il fatto che l’uomo è affascinato dall’uomo, l’uomo studia intensamente l’uomo, intensamente e continuamente. E potremmo dire che la vita intera da un certo punto di vista può essere considerata come lo studio che l’uomo fa dell’uomo, specialmente da parte di coloro che non sono rigenerati. Per il non credente la storia è lo studio di tutto quello che ha fatto l’uomo. La sociologia è lo studio di come l’uomo si relaziona ad altre persone in famiglia, al lavoro, e così via. La medicina riguarda esclusivamente l’uomo, il corpo dell’uomo, ed in parte anche la mente dell’uomo. Il mondo della pubblicità riguarda esclusivamente l’uomo, e i modi in cui si possono raggiungere le persone ed interessarle ai prodotti. Recitare riguarda l’uomo, in che modo ci si può mettere al posto di un’altra persona, impersonandola. La psicologia è lo studio della psiche, o anima, o mente, dell’uomo. La teoria dell’evoluzione riguarda esclusivamente l’uomo, da dove siamo venuti, come siamo arrivati qui. E così, l’uomo studia l’uomo, e tuttavia, nonostante tutto questo, nonostante si sia giunti ad accumulare una grande quantità di libri e di quanto l’uomo pensa abbia capito rispetto alle ere passate, nonostante tutto questo l’uomo non conosce cos’è l’uomo! Da un punto di vista formale, certo, l’uomo conosce certe cose a riguardo dell’uomo, vari parti del corpo umano, vari fatti storici, e tutto il resto, ma non conosce chi gli è. Ed egli non conosce chi egli è perché non conosce Dio, e senza la conoscenza di Dio noi non conosciamo chi siamo. Senza la conoscenza di Dio ogni cosa è vanità. Questo è il motivo per cui la Fede Riformata, per come è riassunta nelle Istituzioni di Calvino (I:1), dice che abbiamo bisogno di conoscere Dio e conoscere noi stessi, e questa è l’intera somma della nostra sapienza.

Ma prima ho detto che l’ignoranza dell’uomo a riguardo di chi egli è veramente, ovvero della sua depravazione, è tale nonostante tutta la somma dei suoi studi su se stesso! Vorrei dire perfino che l’ignoranza dell’uomo a riguardo di se stesso è rinforzata dallo studio che egli fa di se stesso! Ed anzi questo è uno dei propositi che l’uomo ha nello studiare se stesso. Deve essere così a motivo della totale depravazione, perché l’uomo è caduto e malvagio, e così quando si mette a studiare se stesso e l’umanità lo fa quale creatura che è totalmente depravata, e così dirige tutti questi studi al servizio del peccato. Questo significa essere un peccatore, qualcuno che è ignorante di Dio, significa essere odiosi ed odiare l’uno l’altro, come dice Tito 3:3. In tutti i suoi studi egli sopprime la verità, la verità su Dio, la verità che Dio è, che Dio è colui che è, la Sua santità, i Suoi decreti, il Suo Figlio, tutti i Suoi propositi sono soppressi e soffocati nell’ingiustizia. Romani capitolo 1 inizia con questa verità fondamentale, prima di sfociare nella dottrina della salvezza nei capitoli successivi. E siccome l’uomo sopprime la verità riguardante Dio egli per necessità sopprime la verità riguardante l’uomo.

Come ho già detto, egli dice molte cose sull’uomo, che formalmente ed in un certo senso sono vere, probabilmente enfatizzando il corpo più dell’anima, magari ignorando o negando o corrompendo in vari modi la verità riguardante la vita spirituale dell’uomo, parlando più di questa vita che di quella futura, magari ignorandola, negandola o corrompendola, e se dice qualcosa a riguardo della vita futura non lo fa secondo l’insegnamento della Bibbia. Egli sa che la morte è un fatto, ma la morte non è "il salario del peccato," come dice la Bibbia, ed essa secondo l’incredulo non porta l’uomo nella punizione eterna se si è senza Cristo. In generale, lo studio dell’uomo riguardante l’uomo consiste nell’ignorare, negare, e fare una caricatura della verità, ed ora specialmente la verità riguardante il peccato, in modo che l’uomo pensa che l’uomo è basilarmente buono, e che l’uomo non è totalmente dipendente dalla grazia di Dio in Gesù Cristo per essere salvato, e così tutti i suoi studi devono essere coerenti con la negazione di questa verità. L’uomo deve essere quello che il mondo dice che egli è.

Ma il Giorno del Signore 2, e Romani 7, che abbiamo letto, tolgono dai nostri occhi le schermaglie dell’inganno e pongono dinanzi a noi la Legge, ed essa è il grande mezzo di Dio per mostrare al Suo popolo eletto la loro miseria ed il loro peccato. Considerate allora,

 

Conoscere la Nostra Miseria Mediante la Legge (Due semplici punti, e per chiudere qualche applicazione):

Primo, la Legge Espone il Peccato

e,

Secondo, la Legge Provoca il Peccato

Il Catechismo Minore di Westminster (D&R 14) definisce il peccato come "qualsiasi mancanza di conformità, o trasgressione, della legge di Dio." Ecco di nuovo lo stesso concetto quindi: cos’è il peccato? La risposta a questa domanda può essere data soltanto prendendo in considerazione la legge di Dio. La legge di Dio, quindi, crea una categoria, una categoria chiamata "peccato." La legge dice: adora e servi soltanto Jehovah come l’unico e vero Dio vivente (Primo Comandamento)! Adoralo e servilo solo nel modo in cui Lui ti dice (Secondo Comandamento)! Onora e Temi il Suo nome (Terzo Comandamento)! Onoralo e Servilo specialmente nell’adorazione pubblica sotto la predicazione del Vangelo nel Giorno del Signore (Quarto Comandamento)! Ed onora i tuoi genitori (Quinto)! E non uccidere (Sesto)! Non commettere adulterio (Settimo)! E non mentire (Nono)! E non concupire (Decimo)! L’ultimo comandamento, "Non concupire," è scelto al verso 7 del passaggio che abbiamo letto: "io non avrei conosciuto il peccato, se non mediante la legge; infatti io non avrei conosciuta la concupiscenza, se la legge non avesse detto: «Non concupire»." Questo, di tutti i dieci comandamenti, è quello che in modo più ovvio e immediato di tutti gli altri fa riferimento ad un’ubbidienza interiore, che si rivolge al cuore, ai desideri e alle voglie del cuore. E così quando la legge dice: "Fai questo!" e "Non fare questo!" esso crea una categoria, la categoria del peccato, cioè della trasgressione alla legge. Non vi è trasgressione se non vi è una legge che definisce, categorizza cos’è il peccato, cos’è la trasgressione. E nel definire il peccato, la legge espone, rivela cos’è il peccato, verso 7: "io non avrei conosciuta la concupiscenza, se la legge non avesse detto: «Non concupire»." Romani 3:20 dice: "mediante la legge vi è la conoscenza del peccato." La legge espone, mostra, rivela il peccato.

E la legge è intimamente connessa al Legislatore, non è qualcosa di impersonale. La Legge è connessa al Legislatore, Colui che dà la Legge, ovvero il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Questo significa che il peccato, quale trasgressione della legge, non è meramente una violazione della legge, ma è sempre qualcosa contro Dio! Non vi è mai stato né vi sarà un solo peccato nella storia dell’umanità che non è un peccato contro Dio, e Dio è così che percepisce ogni peccato. Quale Dio che è onnisciente, Dio vede ogni peccato, ogni trasgressione della Sua legge, in pensiero, parole, ed opere, e lo vede in questa luce, come un peccato contro di Lui. Dio vede il cuore, Egli vede il male che è in noi. Questo è il motivo per cui la Domanda 4 del nostro Catechismo, invece di riassumere i dieci comandamenti a questo punto, ci pone dinanzi le parole di Cristo in Matteo 22: "il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo e con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua," perché l’amore deve coinvolgere il cuore. Dunque la legge espone il peccato, definendo cosa esso sia, mostrandoci cosa noi dobbiamo fare e non fare, in modo che così noi meditando su quello che facciamo e non facciamo, conosciamo che siamo trasgressori.

Perfino a quel punto, però, l’illuminazione di Dio, che avviene per grazia, è necessaria affinché un peccatore comprenda che il suo peccato è peccato contro Dio. Noi vediamo questo nella vita dell’apostolo Paolo, perché egli dice al verso 6, includendo se stesso nell’usare il pronome "noi," che vi era un tempo quando egli non serviva Dio in novità di spirito ma nella vecchiezza della lettera, e ciò significa che il suo intendimento della legge consisteva in poco più che in parole scritte su una pagina, come "fai questo," "non fare quello:" un codice su una pagina. Un non credente anche può conoscere il peccato in questo modo, ma ciò non è aver conosciuto il peccato. In II Corinzi capitolo 3, le parole di Paolo potrebbero essere applicate a se stesso, quando egli parla di un velo steso sul cuore, così che i Giudei, e anche lui prima della sua conversione, non comprendevano l’Antico Testamento, perché sui loro cuori vi era un velo, e non riuscivano a vedere con gli occhi della fede. E così abbiamo che la legge che espone il peccato, e che tuttavia da sola non può mostrare al non credente la vera natura del suo peccato a motivo della cecità che è in loro.

Paolo dunque pone la domanda, che diremo allora? È la legge forse peccato? Se la legge ci mostra tutti i nostri peccati, vi è forse qualcosa che non va con la legge? La risposta l’abbiamo già data, e cioè, la legge ci mostra i nostri peccati, ma i peccati sono già lì, come in una stanza buia, sporca e disordinata in cui uno vi entra con una torcia accesa e così può vedere tutto il disordine e la sporcizia che già è lì. Non è la luce della torcia che ha causato tutta la sporcizia e il disordine, la luce non fa nient’altro che mostrare quello che è già lì. Il verso 12 rende chiaro che la legge non è peccato, ma la legge morale, che è riassunta nei Dieci Comandamenti, è santa, è assoluta giustizia, ed è di Dio. Il comandamento, che compone la legge, è santo, e giusto, e buono, ognuno di essi, tutti e dieci! La legge è santa, e quindi il comandamento è santo, perché è giustizia suprema. La legge è buona perché mostra la buona via della vita, cioè la via per avere comunione con Dio, Che è buono. La legge, quindi, non è peccato, ma è giusta e santa e buona, ma il suo compito, ruolo, funzione è quello di esporre il peccato. Che la legge espone il peccato è una verità relativamente semplice da afferrare.

Il secondo punto, ovvero che la legge provoca peccato, è un pò più complicato da comprendere. In Romani 7, focalizzandoci ancora sui versi 7-13, il soggetto trattato è la santificazione, che è la via della consacrazione a Dio e della costante crescita nella grazia. Nei primi cinque capitoli si è trattato della giustificazione, ed ora i capitoli sei e sette ed altrove trattano la santificazione. Romani 7:7-13 trattano in particolare del ruolo della legge nella santificazione, ovvero quale proposito, quale funzione ha la legge nella crescita nella grazia. Nel trattare il ruolo della legge nella santificazione Paolo introduce due personaggi: primo, se stesso, "Ionon avrei conosciuto il peccato" (v. 7), "Ionon avrei conosciuto la concupiscenza" (v. 7), "Il peccato ha operato in meogni sorta di concupiscenza" (v. 8), "un tempo ioero vivo senza la legge, e poi la legge venne ed iomorii" (v. 9), "iotrovai che il comandamento fu a morte" (v. 10), e così via. In questi versi Paolo sta parlando nella prima persona singolare, "io." L’altro personaggio in questi versi è il peccato. Il peccato qui è personificato, cioè qui si parla del peccato come se fosse una persona. Al verso 8 il peccato coglie opportunità o occasione mediante il comandamento, il peccato è astuto, è una specie di personaggio del genere, furbo, ed usa la legge per i suoi propri fini. Esso è detto essere morto al verso 8, ed è detto prendere vita al verso 9. Esso coglie occasione al verso 11, egli giunge per ingannarci, inganna Paolo, verso 11, il peccato uccide Paolo, verso 11. E così abbiamo due personaggi: il peccato, e Paolo, e tra i due vi è un combattimento ed una battaglia, e questa battaglia, vi ricordo, accade nella santificazione, che è il tema del capitolo.

Ora la domanda è: in questa battaglia tra Paolo ed il peccato quale ruolo ha la legge? Questa domanda è rilevante non tanto perché Paolo ci sta qui fornendo uno stralcio autobiografico, in cui ci dice qualcosa di ciò che gli accade e delle battaglie che ha dovuto attraversare, ma perché le esperienze personali di Paolo a questo punto sono per tutto il popolo di Dio, ed egli sta parlando come un insegnante ed apostolo della chiesa di Dio di ogni epoca, e la sua esperienza è sorta dal suo peccato, che è qualcosa di universale, che è in ogni persona che fa parte del popolo di Dio. La sua esperienza personale ebbe luogo per mezzo della legge, che è una costante per tutto il popolo di Dio. Inoltre qui Paolo parla dell’operazione della grazia, che opera in ognuno che fa parte del popolo di Dio. L’esperienza di Paolo è l’esperienza di tutto il popolo di Dio, riguarda tutto il popolo di Dio. Paolo descrive la sua esperienza nei giorni passati della sua incredulità, quando era un Fariseo. Al verso 8 egli dice che senza la legge il peccato era morto, e ciò che egli intende è che il peccato era morto in lui, un Fariseo irrigenerato. Ciò non significa che in lui non vi era peccato, che non era totalmente depravato. "Morto" qui significa inattivo, dormiente. Egli era un Fariseo irrigenerato che non aveva idea della feroce attività del peccato in lui, egli era morto e non ne aveva coscienza, e proseguiva contento, cieco ed ignorante, perché la legge può far rendere conto al Cristiano della sua miseria esclusivamente se vi è, congiunta ad essa, l’illuminazione da parte dello Spirito Santo! Paolo, quindi, nei suoi giorni passati, era morto con riguardo al peccato nella sua coscienza, nella sua esperienza, e non lo riconosceva come una forza dentro di sé che lo portava alla distruzione.

Il verso 11 dice che il peccato, cogliendo occasione mediante il comandamento, lo ingannò, e mediante esso lo uccise. Ecco che qui il peccato è attivo, egli inganna Paolo, gli tende un trabocchetto, una trappola, e il peccato lo inganna mediante la legge, e lo fa in vari modi. Primo, cosa abbastanza basilare e facile da comprendere, il peccato inganna colui che non è rigenerato dallo Spirito (ma anche colui che è rigenerato può venire ingannato quanto alla sua vecchia natura), e lo fa insegnandoci che la legge distrugge la nostra libertà. Noi vediamo la legge di Dio, veniamo a conoscenza di ciò che è giusto, e vediamo l’urgenza di non ubbidire a ciò che è giusto, perché pensiamo che il peccato è buono e ci porta felicità. Questo è inganno, siamo presi in giro, e così poi procediamo nelle nostre iniquità. Il peccato ci dice che vi è gioia reale nella disubbidienza, e che il modo per essere felici è fare ciò che ci piace. E’ interessante che questo sia l’elemento principale nella pubblicità mondana: la gioia, la pace e la felicità è fare ciò che ti piace. Il peccato ci inganna anche perché ci dice che basilarmente noi siamo buoni. L’uomo irrigenerato, senza la luce dello Spirito Santo, pensa: non ho ucciso nessuno, sono buono quanto il mio prossimo. Beh, non avrai ucciso nessuno esteriormente, e probabilmente sei buono quanto il tuo prossimo, e cioè sei totalmente depravato come lui, quindi, beh, è vero. La maggior parte delle persone è ingannata perché pensa che sono basilarmente buone. E terzo, e questa in modo particolare è l’idea del testo, la legge giunse a Paolo e lo ingannò non soltanto nel fargli pensare che il modo per godersela è peccare, che il peccato è buono ed è il modo per godersi la vita, e non solo nel fargli pensare che egli da Fariseo era una buona persona perché osservava esteriormente la legge, almeno in parte, ma Paolo fu ingannato anche perché pensava che la legge poteva proprio salvarlo! Questo è il più grande inganno che la legge operò in lui. Il peccato, cogliendo occasione mediante il comandamento, mi ingannò, e mediante esso mi uccise, dice. Egli pensava di poter arrivare in cielo osservando la legge, e dice questo anche altrove, ad esempio in Filippesi capitolo 3: "per quanto riguarda la giustizia secondo la legge, ero senza colpa." Era come il giovane ricco, pensava di aver osservato la legge, pensava che stava accumulando del merito davanti a Dio, e che le porte del paradiso si stavano aprendo dinanzi a lui per farlo entrare, e ciò perché aveva fatto più bene che male.

Vi sono moltissime persone che sono ingannate e pensano proprio questo! Essi pensano che osservando la legge diventano buoni, e così meritano la salvezza da Dio. E così a loro sfugge la verità della giustificazione che è in Cristo Gesù e di cui ci si appropria mediante la sola fede, come nella medesima epistola è affermato nei capitoli 3-5. E così sono uccisi, e periscono, a migliaia. Questo è proprio l’insegnamento ufficiale della Chiesa di Roma, che osservando i comandamenti di Dio ci si guadagna il cielo. Anche se non è la posizione ufficiale confessionale del Protestantesimo, questo è proprio l’insegnamento di molti predicatori del vangelo e di molte persone in chiese che professano di essere Protestanti ai giorni nostri. Se si chiede loro cosa pensano di Gesù Cristo, e gli si dice che tutti gli uomini devono nascere di nuovo per poter vedere il regno dei cieli, essi dicono: non ne abbiamo bisogno, siamo brave persone; e ciò perché pensano che la via della salvezza è l’osservanza della legge. Questo è un totale fraintendimento della legge di Dio! E questo è un errore così grave che coloro che credono in esso senza ravvedimento fino alla fine della loro vita, non saranno salvati, ma periranno!

Paolo continua a narrare la sua esperienza, e dice che senza la legge il peccato era morto, verso 8, perché ero vivo senza la legge una volta, perché egli pensava che era felice, che le cose andavano bene; ma "quando giunse il comandamento il peccato prese vita ed io morii." "Il comandamento giunse" non si riferisce alla prima volta che l’apostolo Paolo lesse i dieci comandamenti, perché egli li conosceva fin da ragazzino. Egli si sta riferendo ad un atto di grazia e di illuminazione, perché il comandamento giunse a lui con potere ed autorità, nel suo cuore, in modo che lo comprese davvero, e così quando esso giunse in tal modo, il peccato prese vita, cioè, da che pensava che era una buona persona comprese che in lui vi era peccato, e che il peccato era vivo e forte in lui. "Ed io morii" cosa vuol dire? Egli era già morto nei peccati (Ef. 2:3) perché era totalmente depravato. "Io morii" significa che morì nella sua coscienza, in modo cosciente, comprese che il salario del peccato è la morte, la morte per lui personalmente, che era sotto l’ira di Dio. "Il peccato prese vita" ci fa chiedere: quanto attivo è il peccato nell’uomo? Il verso 8 dice che il peccato mediante il comandamento operò in Paolo ogni concupiscenza, o desiderio, voglia. Il peccato è qualcosa che opera in modo potente, efficace nei cuori di tutti i figli di Adamo, ed in modo incessante. Quelli che sono non rigenerati dallo Spirito non lo sanno! Nei loro cuori c’è una potenza che opera continuamente, ed essi non capiscono. Paolo infatti dice che una volta senza la legge era vivo, cioè, lui pensava che stava piacendo a Dio, tutto andava bene, ma poi il peccato giunse ed egli morì. La legge giunse con potenza, ed egli la comprese, e comprese che si trovava in uno stato di morte e di alienazione da Dio. Il peccato prese vita, nella sua coscienza, ed operò in lui. E poi Paolo dice che il peccato operò ogni concupiscenza in lui mediante il comandamento. E così il comandamento che lui credeva stava osservando, ora capiva invece che in realtà lo provocava al peccato. Il comandamento al verso 7 è: "non concupirai." Il comandamento giunge, e così il peccato si sveglia e si ribella contro la Parola di Dio.

Detto altrimenti, questo passaggio ci sta insegnando che i dieci comandamenti sono per il non credente, e per la carne del credente, come un drappo rosso per un toro. Ecco la legge di Dio per un non credente! E ricordiamoci che il non credente è totalmente depravato ed odia Dio ed il suo prossimo, come la domanda 5 e Romani 3 (ed altri passaggi) dicono, ed il non credente non dice: "oh, devo migliorare," ma dice: "io voglio infrangere quel comandamento," e se non erompe in aperta ostilità contro Dio rimarrà comunque un’inimicizia interiore contro Dio, che è santo. E questo è il motivo per cui Paolo in Romani 7 ed altrove parla del peccato, perché non sta tanto parlando del peccato come una trasgressione esteriore della legge, ma come una corruzione interiore, qualcosa che è all’internodell’uomo. "Io non avrei conosciuto il peccato se non mediante la legge, perché non avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non avesse detto ‘non concupirai’." Qui il peccato di cui si parla è una potenza interiore; ed anche quando dice che la legge ha operato ogni concupiscenza "in lui" fa riferimento a qualcosa di interiore. Anche quando dice che senza la legge il peccato era "morto" fa riferimento a qualcosa di interiore a lui, nella sua coscienza. Al verso 9 è detto che "il peccato prese vita," e non ci si sta riferendo ad opere che prendono vita, perché è un concetto senza senso, e quindi il riferimento è al fatto che egli divenne cosciente del peccato dentro di sé. E quando il peccato lo uccise, lo uccise interiormente, nella sua coscienza. Il verso 17 dice che non è lui ma il peccato che "è in" lui a fare ciò che lui non vuole. Il peccato vive, dimora come una corruzione interiore nel cuore dell’uomo. E così il peccato lo provocò interiormente a peccare ancora di più, e così portò alla sua coscienza la realtà della malvagità del suo cuore, in modo che ne fece esperienza e ne giunse a conoscenza, lo percepì dentro di sé. Specialmente al verso 13 è insegnato questo: "ma il peccato, così che potesse manifestarsi come peccato [alla mia coscienza, così che io ne prendessi coscienza], operando morte in me mediante ciò che è buono, e cioè la legge, così che il peccato mediante il comandamento potesse diventare oltremodo peccaminoso." Ecco quanto malvagio è il peccato, quanto è peccaminoso: esso prende la santa e giusta legge di Dio e reagisce contro di essa con ogni sorta di pensieri malvagi e ribellione! Il peccato usa la legge come uno strumento per farci cadere in tentazione.

Tutto questo mette fine ad ogni forma di moralismo, Pelagianismo, e alla filosofia del perbenismo, cioè all’idea che l’uomo è piuttosto buono e che con un po’ di sforzo può fare ogni genere di cosa buona in questo mondo e nella società, e così meritare presso Dio. Ciò significa anche che coloro che hanno una religione che insegna ad osservare la legge come mezzo di salvezza e per ottener merito sono ciechi, come il Giudaismo, la religione da cui proveniva Paolo, alla quale egli morì quando il comandamento giunse a lui con potenza e con lo Spirito Santo. L’Islam anche è una religione di legge, come i suoi più conosciuti termini mostrano, ad es. "sharia" che vuol dire "legge," come anche il Cattolicesimo Romano, nonostante in esso vi siano alcuni pochi elementi di Cristianesimo, e perfino molte chiese che si professano Protestanti che sperano nella loro ubbidienza alla legge per la loro salvezza.

Inoltre, tutto questo ci insegna che i dieci comandamenti non hanno alcuna utilità quando si tratta della nostra giustificazione, cioè di come ottenere giustizia dinanzi a Dio, di come essere giusti dinanzi a Dio, ma nemmeno per quanto riguarda la nostra santificazione, se presi da sé, cioè senza la grazia di Dio,. Senza la grazia di Dio studiare i comandamenti non ti migliorerà nemmeno di un minimo. Ma quando lo Spirito Santo opera nei nostri cuori, allora sì che essi sono uno strumento di santificazione, perché è Dio Che ci mette in grado di camminare in essi, perché quello che la legge, i dieci comandamenti, ci dice che noi dobbiamo fare, è Dio che ci mette in grado di farlo (Romani 8). Dunque, la legge è insufficiente per la giustificazione e per la santificazione. E’ la grazia, mediante il sangue di Gesù Cristo, a giustificare. E’ la grazia, mediante la potenza dello Spirito di Cristo, a santificarci. Senza la grazia, la legge può solo rendere gli uomini peggiori, nel senso che li provoca ad esprimere la loro totale depravazione in maniera maggiore, più evidente. Un paio di esempi. Nell’Antico Testamento la nazione di Israele era la peggiore nazione sul pianeta, quella i cui peccati erano i più gravi tra tutti i popoli dinanzi a Dio, e ciò perché loro avevano la legge, avevano maggiore luce, e questa luce provocò ed espose la loro inimicizia e ribellione contro Dio in maniera maggiore di quelle nazioni che non avevano la legge. Oggi, quelle nazioni che nella loro storia passata hanno conosciuto maggiormente la verità del Vangelo e che l’hanno rigettata, e sto pensando specialmente a molte delle nazioni occidentali, sono le peggiori e più empie nazioni sul pianeta. Ed inoltre, se la legge che è giusta e santa ed è lo standard che definisce ciò che è buono non può rendere nemmeno minimamente l’uomo migliore, non vi è niente che può farlo nell’intera creazione: non la prosperità, non la povertà, non i sacramenti, niente. E quindi ogni cosa che giunge all’uomo nella provvidenza di Dio, ogni dono buono e perfetto, non può che risultare nell’indurimento di coloro che lo ricevono, e non nel loro miglioramento.

Ciò significa anche che senza la conoscenza della legge e del vangelo nessun pagano può essere salvato. Essi hanno soltanto la coscienza, ed essa non è sufficiente a provocare in loro quel combattimento di cui leggiamo nel credente rigenerato, in Romani 7. Per questo ci vuole la conoscenza della legge, e per essere salvati ci vuole la conoscenza del vangelo. La sola via di salvezza, quindi, è la predicazione del vangelo, sia ai pagani e sia a chiunque e dovunque, perfino nella chiesa già stabilita. La legge giunge e ci mostra il nostro peccato, ed il vangelo giunge e ci dona il perdono del nostro peccato, e poi ci dona anche la capacità di osservare i comandamenti di Dio, con una motivazione di gratitudine.

In chiusura, ciò che abbiamo detto ci riporta alla verità con la quale abbiamo iniziato, ovvero che la legge ed il vangelo è la sola vera via per conoscere se stessi. Il Cristiano, per quanto sia ignorante secondo gli standard di questo mondo, conosce di più di tutti i sapienti e i professori di questo mondo che sono mai vissuti, perché egli conosce se stesso come un peccatore dinanzi a Dio, ed egli conosce Dio, e Gesù Cristo, e questa è la vita eterna (Gv. 17:3). Il Cristiano, quindi, spiritualmente, è un uomo saggio, per grazia di Dio. E al di fuori di Gesù Cristo, che è la Sapienza di Dio (Prov. 8; I Cor. 1:30) non vi è nient’altro che stoltezza e follia! Amen. Preghiamo.

Per altre risorse in italiano, clicca qui.