Covenant Protestant Reformed Church
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Il Patto

Herman Hoeksema


Il Consiglio di Dio ed il Patto

Il terzo locus1 tratta la persona e l’opera di Cristo, il mediatore tra Dio e l’uomo ed il capo del patto.

Il Signore Dio mantiene e stabilisce il Suo patto non soltanto visitando il trasgressore con la Sua ira col portare su di lui la morte e la maledizione, e col manifestare in quel modo che soltanto nella comunione dell’amicizia di Dio vi è vita e gioia, ma anche col rivelare quel patto della Sua amicizia in Cristo Gesù nostro Signore. Dio esegue sempre il Suo consiglio, anche attraverso i mezzi di Satana e del peccato, e nella via del peccato fa sì che il popolo del Suo patto ottenga la più grande gloria e diventi manifestazione variegata della gloria della Sua grazia.

E’ vero che il primo uomo cadde via da Dio mediante un’impudica disubbidienza e che l’uomo è il colpevole, mentre Dio è giusto. Ma non è meno vero che la caduta dell’uomo nel peccato avvenne secondo il determinato consiglio e volontà di Dio, e che essenzialmente il peccato non può essere nient’altro che un mezzo attraverso il quale Dio esegue il Suo beneplacito riguardante il patto della Sua amicizia. Non per un solo momento possiamo ospitare il pensiero che Dio il Signore fu obbligato, dalla caduta nel peccato, a cambiare il Suo consiglio originale concernente tutte le cose. Dio è uno. Per quella ragione Egli è anche uno in tutte le opere delle Sue mani. Il Suo consiglio è uno. L’esecuzione del Suo consiglio è anche una.

Sempre Dio continua ad eseguire il Suo consiglio. Anche quando a noi ci sembra che compaiono potenze che impediscono a Dio di eseguire il Suo consiglio, che oppongono (almeno per un tempo) l’adempimento di quel consiglio, che lo frustrano, e che obbligano il Signore Dio ad usare mezzi differenti e a seguire vie differenti da quelle che Egli aveva originariamente inteso, in realtà Dio solo è Dio, e quelle stesse potenze che Lo oppongono devono tuttavia servire ad eseguire il Suo consiglio, anche contrariamente alla loro volontà.

Così è anche col fatto del peccato. E’ vero che noi qui confrontiamo un problema, un mistero che non possiamo scandagliare con il nostro limitato intendimento, che è oscurato dal peccato, quando desideriamo asserire che anche in ed attraverso la caduta del primo uomo Dio eseguì il Suo consiglio. Ma è anche vero che ci troveremmo di fronte a problemi molto più seri se cercassimo di negare questa verità e di lasciar ruotare l’intera storia del mondo attorno all’asse della volontà dell’uomo.

 

Cristo ed il Patto

Noi dobbiamo affermare, quindi, che la caduta di Adamo ebbe luogo secondo il consiglio della volontà di Dio così che attraverso di essa potesse essere aperta la via per la venuta del secondo Adamo, il Signore dal cielo. "Il primo uomo è dalla terra, terrestre, il secondo uomo è il Signore dal cielo. Quale è il terrestre, tali sono anche quelli che sono terrestri, e quale è il celeste, tali sono anche coloro che sono celesti. E come abbiamo portato l’immagine del terrestre, porteremo anche l’immagine del celeste" (I Corinzi 15:47-49). Tuttavia, "non è venuto prima quello che è spirituale, ma quello che è naturale, e successivamente quello che è spirituale" (v. 46). Per questa ragione Adamo è anche chiamato l’immagine di colui che doveva venire, cioè, Cristo (Romani 5:14). Se quel consiglio del Signore deve essere adempiuto ed il Signore dal cielo deve venire, era necessario che il peccato entrasse nel mondo così che il primo Adamo potesse essere rimosso per fare spazio al secondo Adamo.

Dio aveva voluto rivelare dall’eternità, nel Suo consiglio, la gloria della Sua vita di patto nella sua più alta manifestazione. Questa più alta rivelazione possibile della vita pattale di Dio non poteva essere raggiunta nel primo Adamo ma soltanto nel secondo uomo, il Signore dal cielo, Immanuele, Dio con noi. Noi cercheremo, quindi, di presentare una concezione vera e scritturale del patto di Dio per comprendere il significato della persona ed opera di Cristo, perché in Lui il patto di Dio non fu soltanto ristorato ma anche portato alla sua più alta realizzazione possibile. In connessione a ciò quindi dovremo trattare questo patto e ciò che si intende con esso.


Il Pactum Salutis o Patto di Redenzione

Quasi tutti i teologi Riformati fin dal diciassettesimo secolo parlano di un pactum salutis, un patto di redenzione, anche chiamato de raad des vredes, il consiglio di pace. Può essere osservato che non vi è unanimità tra i teologi a riguardo della questione di cosa si intenda con il pactum salutis. Secondo alcuni, esso è un accordo tra il Padre ed il Figlio, tra la prima e la seconda persona della Trinità. Secondo altri, che realizzano che lo Spirito Santo non può essere tanto bene escluso da un tale patto, il pactum salutis è un accordo o patto tra le tre persone della Trinità. Per altri ancora non è del tutto chiaro se questo patto è un patto tra il Padre ed il Figlio o tra il Dio triuno e Cristo in quanto capo del patto. Inoltre, la base scritturale sulla quale questa dottrina fu originariamente basata è in qualche modo debole e dubbia.


Prove Tradizionali per il Pactum Salutis

Il termine pactum salutis è derivato da Zaccaria 6:12-13:

E parla a lui, dicendo: Così ha detto il Signor degli eserciti: Ecco un uomo, il cui nome è: Il Germoglio; ed egli germoglierà sotto di sè, ed edificherà il tempio del Signore. Ed egli sarà quel ch'edificherà il tempio del Signore, e porterà la gloria; e sederà, e signoreggerà sopra il suo trono, e insieme sarà Sacerdote sopra il suo seggio; e consiglio di pace sarà fra questi due.

Questo consiglio di pace (raad des vredes) è spiegato come un patto tra Jehovah ed il Germoglio, e quindi come un patto tra il Padre ed il Figlio. Ma ciò è evidentemente basato su un’erronea interpretazione del testo. Il consiglio di pace non fa affatto riferimento ad un patto tra il Padre ed il Figlio, ma piuttosto all’armoniosa relazione tra il re ed il sacerdote uniti nella sola persona del Germoglio.

I proponenti di un patto tra il Padre ed il Figlio trovano questo patto di redenzione (pactum salutis) o consiglio di pace (raad des vredes) in altri passaggi della Sacra Scrittura. Essi fanno riferimento a Salmo 89:19-37:

Allora Tu parlasti in visione intorno al tuo Santo, e dicesti: Io ho posto l'aiuto su colui che è possente; Io ho esaltato l'eletto dal mezzo del popolo. Io ho trovato Davide, mio servitore; coll'olio mio santo Io l’ho unto; Col quale la mia mano sarà ferma; Il mio braccio anche lo fortificherà. Il nemico non l'oppresserà; né il figlio d’empietà l'affliggerà. Ed io fiaccherò i suoi nemici, davanti al suo volto, e piagherò quelli che l'odiano. Ma la mia fedeltà e la mia misericordia saranno con lui; e nel mio nome sarà il suo corno esaltato. E metterò la sua mano sul mare, e la sua destra sui fiumi. Egli m'invocherà, dicendo: Tu sei mio Padre, Il mio Dio, e la Rocca della mia salvezza. Io altresì lo costituirò il primogenito, Il più eccelso dei re della terra. Io gli osserverò la mia misericordia in perpetuo, ed il mio patto sarà fermo con lui. E renderò la sua progenie eterna, ed il suo trono come i giorni del cielo. Se i suoi figliuoli abbandonano la mia Legge, e non camminano nei miei giudizi; se violano i miei statuti, e non osservano i miei comandamenti; allora Io visiterò la lor trasgressione con la verga, e la loro iniquità con battiture. Tuttavia non ritirerò del tutto la mia benignità da lui, e non lascerò fallire la mia fedeltà. Il mio patto non violerò, né muterò quello che è uscito dalle mie labbra. Una volta Io ho giurato per la mia santità che non mentirò a Davide. La sua progenie durerà in eterno, ed il suo trono sarà come il sole dinanzi a me. Esso sarà stabilito per sempre come la luna, e come un fedele testimone nel cielo.

Enfaticamente, vi è qui menzione del patto di Dio con Davide e la sua discendenza, che è Cristo. Se il patto è visto come un accordo, da ciò si trae la conclusione che vi era un patto eterno tra il Padre ed il Figlio.

La base Scritturale per questo patto tra il Padre ed il Figlio è anche trovata in Luca 22:29: "Ed io stabilisco per voi un regno, come il Padre mio ha stabilito per me." Enfasi è posta sulla parola originale per "stabilisco" che è diatithemai (stabilire mediante un testamento o patto). Dalla stessa parola è derivato il termine diatheke (patto). Quindi il testo in Luca significa che mediante un patto il regno fu stabilito per Cristo. Ancora, dal momento che un patto fu compreso come un accordo tra due parti contraenti, la conclusione era che vi era un eterno accordo tra il Padre ed il Figlio.

Ci si appella anche a Galati 3:16-17:

Ora ad Abraamo e la sua discendenza furono fatte le promesse. Egli non dice, e alle discendenze, come di molte, ma come di una, e alla tua discendenza, che è Cristo. E questo io dico, che il patto, che fu confermato prima da Dio in Cristo, la legge, che fu quattrocentotrent’anni dopo, non può disannullarlo, così da rendere la promessa di nessun effetto.

Questo testo è considerato essere una base per il pactum salutis in quanto un patto tra il Padre ed il Figlio. Coloro che sostengono questa concezione trascurano il fatto che il patto, che è qui detto essere stabilito in Cristo, certamente è lo stesso patto che fu stabilito con Abraamo e la sua discendenza. Essi trascurano anche il fatto che le promesse concernevano Cristo Stesso par excellence, ma che esse furono tuttavia rivolte ad Abraamo e alla sua discendenza. Lasciandosi sfuggire questi fatti ed ignorando anche il fatto che deve essere fatta una distinzione tra Cristo in quanto mediatore ed in quanto l’eterno Figlio di Dio, essi considerano il testo come una base per il pactum salutis che fu stabilito nell’eternità tra il Padre ed il Figlio.

Inoltre, vi sono molti altri riferimenti nella Scrittura che sono stati considerati basi per questo patto tra le due persone della santa Trinità. In modo particolare sono stati messi in evidenza quei testi in cui Cristo è presentato come mandato in missione dal Padre, ed in cui Cristo è detto essere il servo di Jehovah, come anche testi in cui Cristo è presentato come la sicurezza del patto. E’ stato argomentato che nessuno può apparire come sicurezza a meno che vi sia un contratto o accordo tra il creditore ed il debitore. Ebrei 7:22 parla letteralmente di un tale patto: "Per questo Gesù fu fatto una sicurezza di un migliore testamento."

Non può essere negato che molto ragionamento scolastico e sottile opera di spaccacapello hanno caratterizzato lo sviluppo di questa dottrina e che coloro che l’hanno sviluppata sono proceduti dalla definizione meccanica del patto come un accordo tra due parti contraenti con mutue stipulazioni, condizioni, e promesse. Questa definizione fu applicata al pactum salutis in quanto accordo tra il Padre ed il Figlio, a volte includendo anche lo Spirito Santo, anche se il luogo dello Spirito Santo in questo patto è stato lasciato piuttosto dubbio. Il risultato è stato che il patto di redenzione o consiglio di pace è stato spesso presentato come un contratto d’affari tra il Padre ed il Figlio. I teologi hanno potuto descrivere esattamente cosa il Padre richiedeva dal Figlio in questo accordo, quali condizioni Egli ha stipulato, e quali promesse Egli ha fatto, come anche cosa il Figlio si è accordato di fare e cosa ha richiesto dal Padre.


La Concezione di Mastricht

Mastricht parla di un doppio patto di grazia: uno è eterno, l’altro è temporale o nel tempo. Il patto eterno è il pactum salutis, che egli definisce come segue:

La transazione ed accordo personale ed economica tra il Padre ed il Figlio, secondo cui il Padre richiese al Figlio dall’eternità tutto quello che era necessario per acquistare per gli eletti eterna salvezza e gli promise una redarguizione, tra le altre cose, la gloria mediatoriale, mentre, d’altro canto, il Figlio accondiscese alla richiesta e da parte Sua richiese per se stesso l’adempimento delle promesse fatte per il beneficio di entrambi le parti contraenti.2

Egli enfatizza che esso è un patto che consiste di un accordo tra due parti contraenti uguali, il Padre ed il Figlio. Il proposito di questo patto è la ristorazione del peccatore eletto. In questo patto il Padre promette al Figlio che Egli Lo rivestirà del gloriosissimo ed importantissimo ufficio di mediatore, che egli Lo stabilirà come profeta per essere una luce ai Gentili, che accetterà tutto quello che Egli farà per i Suoi in quanto sommo sacerdote e re, che Egli Gli darà gli eletti come eredità, che Lo supporterà nel Suo favore in tutta la Sua opera mediatoriale, che Lo fortificherà in tutte le difficoltà ed ostacoli che incontrerà, che Lo glorificherà attraverso la risurrezione dai morti, che Lo esalterà in cielo e nel Suo sedersi alla destra, che Gli darà ogni potere in cielo e sulla terra, potere anche di giudicare i vivi ed i morti, che Lo esalterà grandemente e Gli darà un nome al di sopra di ogni nome, che Gli fornirà un innumerevole discendenza.

In questo patto il Padre richiede al Figlio che Egli faccia tutto ciò che è necessario per la salvezza del peccatore eletto, in modo particolare che Egli adotterà la carne e il sangue dei figli, che sopporterà volontariamente ogni cosa, perfino la morte della croce, che metterà la Sua anima come un’offerta per il peccato, che distribuirà tra gli eletti tutti i doni dello Spirito, rigenerazione, fede, conversione, amore, e così via.

Queste promesse e richieste sono gli atti del Padre in questo patto.

In questo patto il Figlio promette che Egli accondiscende a tutte le richieste del Padre, ed Egli richiede che il Padre adempia per Lui tutte le promesse enumerate sopra. In questo eterno patto di redenzione o consiglio di pace, Cristo è reso una sicurezza per il Suo popolo.


La Concezione di Turretini

Turretini fa la medesima distinzione tra il patto con Cristo e il patto con gli eletti in Cristo:

E’ superfluo, io dico, disputare intorno a questo [se il patto è fatto con Cristo, o in Cristo con tutta la Sua discendenza—HH] perché equivale alla medesima cosa. E’ certo che qui si deve notare un doppio patto o due parti e gradi di un solo e medesimo patto. Il primo è l’accordo tra il Padre ed il Figlio di svolgere l’opera di redenzione. Il secondo è quello che Dio fa con gli eletti in Cristo, per salvarli mediante e a motivo di Cristo alle condizioni di fede e ravvedimento. Il primo fu fatto con la sicurezza e il capo per la salvezza dei membri, il secondo fu fatto con i membri nel capo e sicurezza.3


La Concezione di à Brakel

La medesima presentazione si trova in à Brakel. Egli parla delle parti contraenti del pactum salutis, delle persone per il beneficio delle quali fu fatto tale patto, e descrive l’opera di entrambe. Non è sempre chiaro, tuttavia, se secondo lui il patto è fatto tra Dio e Cristo o tra il Padre ed il Figlio. Spesso egli parla di quel patto come essendo fatto tra Dio e Cristo: "Prima di tutto considereremo le parti pattuenti, che sono Dio il Padre ed il Signore Gesù Cristo."4 Riferendosi a Salmo 89:28, 34, egli dice: "Prova che qui è fatta menzione del patto tra Dio il Padre ed il Signore Gesù è chiaramente evidente."5 Inoltre, "… dunque è evidente che vi è un patto tra il Signore e Cristo."6 Anche: "Dunque, noi abbiamo qui il patto, le promesse, ed il fatto che queste sono state fatte a Cristo, come anche il fatto che questo patto è stato confermato in Cristo. Quindi, vi è un patto tra Dio e Cristo."7 Tuttavia egli lascia l’impressione che il pactum salutis è un patto fatto tra il Padre ed il Figlio in quanto prima e seconda persona nella Santa Trinità:

Siccome il Padre ed il Figlio sono uno in essenza e dunque hanno una sola volontà ed un solo obiettivo, come vi può essere una transazione di patto tra i due, in quanto una tale transazione richiede il mutuo coinvolgimento di due volontà? Non stiamo quindi separando troppo le Persone della Deità? A ciò io rispondo che per quanto riguarda la Personalità il Padre non è il Figlio ed il Figlio non è il Padre. Da questa considerazione la sola volontà divina può essere vista da una duplice prospettiva. E’ la volontà del Padre di redimere mediante l’agenzia della Seconda Persona in quanto Sicurezza, ed è la volontà del Figlio di redimere mediante la Sua propria agenzia in quanto Sicurezza.8

Evidentemente, qui vi è una mancanza di chiara e acuta distinzione.


La Concezione di Hodge

Hodge anche parla di questo patto di redenzione:

Con esso si intende il patto tra il Padre ed il Figlio in riferimento alla salvezza dell’uomo. Questo è un soggetto che, dalla sua natura, è interamente oltre la nostra comprensione. Noi dobbiamo ricevere gli insegnamenti delle Scritture in relazione ad esso senza presumere di penetrare il mistero che naturalmente gli appartiene. Vi è un solo Dio, un Essere divino, a cui appartengono tutti gli attributi della divinità. Ma nella Deità vi sono tre persone, uguali in sostanza, ed eguali in potenza e gloria. Si trova nella natura della personalità che una persona è oggettiva all’altra. Se, quindi, il Padre ed il Figlio sono Persone distinte l’una può essere l’oggetto degli atti dell’altra. L’una può amare, rivolgersi, ed avere comunione con l’altra. Il Padre può mandare il Figlio, può dare a Lui un’opera da fare, e promettergli una ricompensa. Tutto questo è davvero incomprensibile a noi, ma essendo chiaramente insegnato nella Scrittura deve entrare nella fede Cristiana.9

Hodge, poi, continua a descrivere le stipulazioni e condizioni e promesse di questo patto tra il Padre ed il Figlio, e specialmente l’opera assegnata al Redentore, cioè, il Figlio, e le promesse fattegli.


La Concezione di Vos

Il dr. G. Vos tratta questo soggetto sotto il locus dell’antropologia, in connessione al soggetto del patto di grazia. Egli procede dalla questione concernente le parti contraenti nel patto di grazia. Di queste egli dice:

1. Alcuni si figurano Dio come l’una, l’uomo come l’altra parte contraente

2. Altri vedono le parti contraenti come Dio Padre rappresentando la Trinità e Dio il mediatore rappresentando gli eletti.

3. Fin da Cocceius la concezione usuale è che vi sono due patti: l’uno tra il Padre ed il Figlio, il patto di redenzione, ed uno tra Dio e gli eletti, basato sul patto di redenzione, chiamato il patto di grazia. La seconda concezione è preferibile da un punto di vista sistematico, ma la terza è più comprensibile e migliore per propositi pratici.10

Egli poi discute il pactum salutis, il consiglio di pace o patto di redenzione. Egli scrive che nonostante il nome consiglio di pace come termine per il patto di redenzione non può essere giustamente derivato da Zaccaria 6:13, il nome consiglio di pace può tuttavia essere mantenuto perché esprime correttamente ciò che la Scrittura insegna a riguardo.

Egli poi descrive le richieste e le promesse del patto di redenzione:

Quali erano le stipulazioni del patto nel consiglio di pace?

1. Che il Figlio in quanto sicurezza per gli eletti avrebbe assunto la nostra natura umana, e perfino prima dell’assunzione di questa natura umana avrebbe svolto l’opera di mediatore sotto la dispensazione veterotestamentaria.

2. Che Egli avrebbe in quanto sicurezza posto Se Stesso sotto la legge, per soddisfare per il loro debito attraverso l’ubbidienza passiva, e per meritare la vita eterna attraverso l’ubbidienza attiva.

3. Che il Figlio Si sarebbe preso cura a che ognuno che il Padre Gli ha dato entri nel patto di grazia, non meramente per diritto legale, ma vivendo in esso attraverso lo Spirito Santo.

Quali erano le promesse di questo patto al Figlio?

1. Che Egli avrebbe ricevuto tutto ciò che appartiene alla natura umana.

2. Che Egli nella natura umana sarebbe stato qualificato con lo Spirito per svolgere il Suo ufficio.

3. Che Egli sarebbe stato fortificato e confortato nello svolgimento del Suo compito.

4. Che sarebbe stato esaltato in proporzione alla Sua umiliazione.

5. Che avrebbe ricevuto lo Spirito Santo dopo la Sua ascensione per formare il Suo corpo ed adempiere il patto.11

Egli poi definisce il pactum salutis come segue:

Il consiglio di pace è l’accordo tra la volontà del Padre, che dà il Figlio per capo e redentore degli eletti, e la volontà del Figlio, che dà Se Stesso come una sicurezza per loro.12

Vos presenta il pactum salutis o patto di redenzione come seguente dal consiglio di predestinazione. Quanto alla connessione tra loro, il pactum salutis è il principio dell’esecuzione del consiglio di predestinazione. Quanto alla connessione tra il pactum salutis ed il patto di grazia, egli scrive:

1. Il consiglio di pace è l’eterno modello per il patto di grazia nel tempo.

2. Il consiglio di pace è l’eterna fondazione per l’applicazione del patto di grazia.13


La Concezione di Bavinck

Anche il dr. Bavinck scrive sul pactum salutis:

La dottrina del patto è della più grande significatività possibile sia per la dogmatica che per la vita Cristiana. La chiesa Riformata ha una più ferma comprensione di essa dei Cattolici Romani o dei Luterani. Sulla base della Sacra Scrittura i Riformati comprendono la vera religione dell’Antico e Nuovo Testamento in termini di un patto tra Dio e l’uomo, che sia stabilito con l’uomo non caduto (il patto di opere) o con la creazione in generale attraverso Noè (il patto di natura) o con gli eletti (il patto di grazia). Né i Riformati sono soddisfatti con questo, ma cercano una ferma ed eterna fondazione per questi patti nel consiglio di Dio. Essi hanno compreso questo consiglio come proponentesi la preservazione della razza umana, e come un patto delle tre persone nell’essenza divina stessa (il patto di redenzione, il consiglio di pace). Menzione di questo patto si trovava già, anche se brevemente, in Olevianus, Junius, Gomarus, ed altri, e fu sviluppato ulteriormente in dettaglio da Cloppenburg e Coccejus, gli fu assegnato un posto importante nella dogmatica da Burnam, Braun, Witsius, Vitringa, Turretini, Leydecker, Mastricht, Marck, Moore, ed à Brakel, fu disputato da Deurhof, Wesel, ed altri, e fu infine espulso completamente dalla dogmatica.

Lo sviluppo della dottrina del patto di redenzione da parte delle chiese Riformate non fu libero da sottigliezza classica. La prova classica per questa dottrina, Zaccaria 6:13, non prova niente, ma dice solo che la l’ufficio di re e quello di sacerdote divennero uno nel Messia che prende consiglio per e promuove la pace del Suo popolo. Da Giobbe 17:3, Isaia 38:14, e Salmo 119:122, che non hanno niente a che fare con il Messia, e da Ebrei 7:22, che afferma solo che Cristo, siccome vive per sempre, è sicurezza che il nuovo patto durerà in eterno, fu concluso che Cristo è, eternamente, la sicurezza nel patto di redenzione, anche se non da parte di Dio con riferimento a noi, come Crell e Limborch asseriscono, perché Dio, che è vero, non ha bisogno di sicurezza, ma piuttosto da parte nostra con riferimento a Dio, come Coccejus, Witsius, etc., cercarono di mostrare. Inoltre, fu adottata la distinzione tra giurisprudenza del fidejussor e dell’ expromissor, e ci si pose la questione se Cristo nel patto di redenzione aveva preso il peccato degli eletti condizionalmente o assolutamente, Coccejus, Witichius, Allinga, Van Til, d’Outrien, Perizonius ed altri sostenendo la prima veduta, e Leydecker, Turretini, Mastricht, Voetius ed altri la seconda. Infine, fu discussa anche la distinzione tra se il patto di redenzione ha più la natura di un testamento (con riferimento a Luca 22:19; Giovanni 17:24; Ebrei 6:17; 8:6; 9:15; 13:20), come Coccejus, Burman, Heidegger, e Schiere insegnarono, o di un patto, come Leydecker, Wessel, ed altri sostennero.14

Inoltre, Bavinck sostiene che nonostante questo pactum salutis in quanto dottrina è ancora molto difettata, essa è tuttavia basata su un pensiero fondamentalmente scritturale, ed egli indica vari passaggi della Sacra Scrittura per provare questa affermazione.

Poi egli continua:

La Scrittura ci dà attraverso tutto questo un’immagine ricca e gloriosa dell’opera di redenzione. Il patto di redenzione ci mostra che la vita e la relazione delle tre persone nell’essere divino è una vita di patto, una vita della più alta autocoscienza e libertà. Lì, all’interno dell’essere divino, quella vita pattale ha la sua piena realizzazione, mentre il patto tra Dio e l’uomo, a motivo dell’infinita distanza tra di loro, ha sempre più il carattere di un decreto sovrano, un testamento. Tra le tre persone della Trinità vi è un accordo nel senso più pieno. La più alta libertà e la più perfetta armonia si incontrano lì. L’opera della salvezza è un’opera delle tre persone, a cui ognuna contribuisce ed in cui ognuna compie il suo compito particolare. Nei decreti, incluso quello della predestinazione, la sola volontà di Dio è prominente ed il carattere della Trinità non visto così distintamente. Ma nel patto di redenzione l’opera di redenzione compare nella sua più piena gloria divina. Essa è preminentemente un’opera divina. Come alla creazione dell’uomo Dio prima si consiglia con Se Stesso di proposito, Genesi 1:26, così nell’opera di ricreazione ognuna delle tre persone appare ancora più chiaramente nel suo carattere distinto. La ricreazione, come la creazione, è un’opera di Dio soltanto. Da Lui, attraverso di Lui, e per Lui sono tutte le cose. Nessun uomo è Suo consigliere, o Gli ha dato per primo, che gli potesse essere ricompensato di nuovo. E’ il Dio triuno soltanto, Padre, Figlio, e Spirito, che insieme concepiscono, determinano, eseguono, e perfezionano l’opera della salvezza.15

E’ chiaro che Bavinck fa un tentativo intenzionale di evitare ogni spaccacapello intenzionale e sottile sofisma che così spesso caratterizza la definizione e descrizione del pactum salutis. Egli non parla delle condizioni, richieste, e promesse cono stipulate in questo patto di redenzione e che molti teologi dogmatici sanno come descrivere in dettaglio. Egli contempla nel consiglio di pace il Dio vivente, triuno, pattale, in Cui il patto ha la sua piena ed eterna realtà. Questo ci interessa. Nella dottrina del patto abbiamo a che fare specialmente con il Dio vivente, che da eternità ad eternità vive la perfetta vita pattale in Se Stesso.

Noi certamente dobbiamo stare attenti, nella descrizione del pactum salutis, a non perdere il Dio vivente, che non introduciamo il tempo nell’eternità, e che non presentiamo la cosa come se un certo contratto di affari fu eseguito tra il Padre ed il Figlio, con mutue stipulazioni condizioni, e promesse. Questo, Bavinck, certamente cerca di evitarlo. Tuttavia, non può essere negato che la presentazione di Bavinck concernente il pactum salutis non è molto chiara e definita. Egli non offre una definizione di questo patto. Sembra che anche per Bavinck il pactum salutis è un accordo, in questo caso tra le tre persone della Santa Trinità, e che questo accordo tra il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo fu fatto specialmente con in vista la redenzione degli eletti. Il pactum salutis è susserviente alla salvezza. La salvezza è il proposito, o il fine; il pactum salutis è un mezzo per il fine. L’idea del patto rimane una concezione subordinata, e la cosa principale è la redenzione degli eletti.


La Concezione di Berkhof

Berkhof scrive in maniera elaborata sul pactum salutis. Come Vos, egli definisce il patto di redenzione come "l’accordo tra il Padre, che dà il Figlio come Capo e Redentore degli eletti, ed il Figlio, che volontariamente prende il posto di coloro che il Padre gli aveva dato."16 Egli descrive in grande dettaglio le stipulazioni, condizioni, e promesse di questo patto. Nel parlare dei requisiti che il Padre fa al Figlio, egli scrive in generale che il Figlio dovrebbe fare ammenda per il peccato del Suo popolo ed adempiere tutto quello che Adamo fallì nel fare, ed egli descrive in dettaglio cosa è incluso in questi requisiti. E’ richiesto dal Padre al Figlio che Egli assuma una natura umana coll’esser nato da una donna, una natura umana debole ma senza peccato, che dovesse sottoporsi alla legge e portare la punizione per il peccato, e che dovesse applicare agli eletti tutti i frutti dei Suoi meriti. Quanto alle promesse, il Padre promette al Figlio che egli preparerà al Figlio un corpo, che Lo fornirà ed ungerà con lo Spirito, che Lo supporterà, libererà dalla morte, e Lo metterà in grado di distruggere il dominio di Satana e di stabilire il regno di Dio, e che Egli Lo metterà in grado di mandare lo Spirito per la formazione del Suo corpo spirituale. Inoltre, il Padre promette al Figlio una discendenza numerosa quanto le stelle in cielo e la sabbia che è sulla riva del mare, e, infine, potere in cielo e sulla terra ed una speciale gloria mediatoriale.

Qui le obiezioni contro i difetti della corrente presentazione del pactum salutis appaiono in una luce abbagliante. Come tutte le altre presentazioni, il patto è un accordo, in questo caso tra il Padre ed il Figlio, segue il decreto di predestinazione e dunque è reso susserviente all’idea di redenzione come un mezzo per un fine. In più, il pactum salutis è qui chiaramente definito come un accordo tra il Padre in quanto prima persona della santa Trinità ed il Figlio in quanto seconda persona, non tra il Dio triuno e Cristo in quanto capo e mediatore del Suo popolo. Questo è evidente perché, secondo Berkhof, nel pactum salutis il Figlio non appare in quanto Cristo, ma attraverso il patto di redenzione egli diviene il Messia. Inoltre, è evidente che lo Spirito Santo, la terza persona della santa Trinità, non è una parte contraente di questo patto. Ogni cosa è decisa per Lui, non con Lui. Ciò implica realmente un diniego della Trinità, anche se Berkhof, ovviamente, non intende negare questa dottrina fondamentale. Infine, anche il Figlio è subordinato al Padre in questa presentazione del pactum salutis. L’opera di redenzione è presentata come un’opera del Padre soltanto. Il Padre prepara per il Figlio un corpo. Il Padre unge il Figlio con lo Spirito. Il Padre supporta il Figlio. Il Padre Lo risuscita dai morti, e così via. Tutto questo chiaramente pone il Figlio in posizione subordinata al Padre e presenta il Padre come chi decide al di sopra del Figlio e compie l’intera opera di redenzione.


La Concezione di Kuyper

Il dr. A. Kuyper Sr., chiaramente riconosce questo difetto e debolezza del pactum salutis. Egli cerca "di costruire l’intera questione del pactum salutis, che è stato sempre lasciato non finito e mai reso chiaro, in modo tale che la sua necessità possa essere chiaramente discernita."17 Egli basa la sua concezione della cosa su quei passaggi della Sacra Scrittura che fanno menzione della relazione in cui Cristo in quanto mediatore si trova nei confronti del Dio triuno. Isaia parla del servo del Signore in una maniera che elimina ogni dubbio che questo servo è una comune persona umana, ma piuttosto egli è il mediatore, il Messia, e dunque l’eterno Figlio di Dio. Deve essere chiaro, dice Kuyper, che l’essere servo da parte del Figlio non può venire dalla Sua divinità, perché il Figlio è essenzialmente eguale al Padre, e quindi la Sua relazione al Padre non può essere quella di servo nei confronti del suo signore.18

I Pietro 1:20 parla di Cristo in quanto l’Agnello che fu ordinato prima della fondazione del mondo. Secondo Kuyper, questa preordinazione è l’unzione del Figlio, ed unzione denota una posizione di servizio. Il Figlio, quindi, è dall’eternità posto in una posizione di servizio attraverso questa preordinazione in quanto Agnello di Dio. In che modo il Figlio è mai giunto ad occupare questa posizione di servizio? La Sua preordinazione è chiara da quei passaggi della Sacra Scrittura che parlano del fatto che il Figlio è mandato dal Padre nel mondo. Ma se il minore è mandato dal maggiore, e se deve essere mantenuto che l’eterno Figlio è essenzialmente co-eguale al Padre, come allora è possibile che la Scrittura possa parlare del Padre che manda il Figlio? Dunque la questione sorge: Qual è quell’eterno atto di Dio col quale il Figlio diviene il servo di Jehovah?19

Inoltre, secondo Kuyper, è evidente dalla Scrittura che questa relazione di Cristo al Padre è basata sullo stabilimento di un patto, che la relazione in questo patto è tale che il Padre richiede al Figlio completa ubbidienza, e che il Figlio rende questa completa ubbidienza. Per esempio, Salmo 2:8 insegna che il padre si rivolge al Figlio: "Chiedimi, e ti darò i gentili per tua eredità, e le estreme parti della terra per tua possessione." Isaia 53:10 insegna che fu richiesto al Cristo che rendesse la Sua anima un sacrificio per il peccato prima di vedere la discendenza. Ed il Figlio si rivolge al Padre:

Tu non prendi piacere né in sacrificio né in offerta; mi hai forato le orecchie. Tu non hai chiesto né olocausto né sacrificio per il peccato. Allora ho detto: «Ecco io vengo, Nel rotolo del libro sta scritto di me. DIO mio, io prendo piacere nel fare la tua volontà, e la tua legge è dentro il mio cuore». Ho proclamato la tua giustizia nella grande assemblea; ecco, io non tengo chiuse le mie labbra, o Signore, tu lo sai. Non ho nascosto la tua giustizia nel mio cuore; ho annunziato la tua fedeltà e la tua salvezza, non ho nascosto la tua benignità né la tua verità alla grande assemblea (Salmo 40:6-10).

Il Salvatore potette quindi testimoniare che era il Suo cibo di fare la volontà di Colui che Lo aveva mandato. Quando Egli depone la Sua vita per riprenderla di nuovo, Egli fa così in ubbidienza al comandamento che aveva ricevuto dal Padre (Giovanni 4:34; 10:18).20

Kuyper conclude:

Possiamo quindi davvero stabilire il fatto che nella Scrittura, anche se da nessuna parte è menzionato che Cristo concluse un patto, tuttavia la relazione è così definita che una vocatio Messianica [chiamata messianica] è imposta sulla seconda persona. Molto definitamente Cristo esprime che Egli ha ricevuto dal Padre evtolai [comandamenti], che Egli li ha adempiuti, e che Egli ora prega per tutti quelli che il Padre Gli ha promesso in base a quell’adempimento.21

In base a tutte queste considerazioni, Kuyper offre la seguente ed elaborata descrizione del consiglio di pace o patto di redenzione:

Se l’idea del patto con riguardo all’uomo e tra gli uomini può trovarsi solo nella sua forma ectipica [ectypical], e se il suo archetipo originale si trova nell’economia divina, allora essa non può avere la sua più profonda base nel pactum salutis, che ha il suo motivo nella caduta dell’uomo. Perché in quel caso non apparterrebbe alla divina economia in quanto tale, ma vi sarebbe introdotta piuttosto incidentalmente e cambierebbe l’essenziale relazione delle tre persone nella divina essenza. Inoltre, sorge l’obiezione che la terza persona della Trinità in quel caso rimane al di fuori di questo patto e che le tre persone nell’eterna essenza sono poste in una relazione tale l’una contro l’altra che si corre il pericolo di cadere nell’errore del triteismo. Si può sfuggire a questo pericolo solo quando la divina economia delle tre persone è presentata natura sua [per sua propria natura] come una relazione di patto … Noi allora confessiamo che nell’una personalità della divina essenza vi è una distinzione tri-personale, che ha nella relazione di patto la sua unità ed un inseparabile vincolo. Secondo questa concezione, Dio Stesso è la vivente ed eterna fondazione, non solo di ogni patto, ma anche dell’idea di patto in quanto tale, e l’essenziale unità ha la sua conscia espressione nella relazione di patto. Padre, Figlio, e Spirito Santo si trovano contro tutto quanto non è Dio o che oppone Dio in quell’unità di fedeltà in un modo tale che l’uno non vuole alcun’altra cosa rispetto all’altro, e l’intera potenza dell’essenza divina si volge con la più alta coscienza in unità federale contro tutto quanto non è Dio.

E quando in questa maniera la fondazione dell’idea del patto è trovata nella confessione della Trinità Stessa, allora da questo segue l’ulteriore relazione pattale tra Padre, Figlio, e Spirito Santo che è determinata dall’apparizione dell’empietà nel mondo di angeli ed uomini, non soltanto secondo l’idea della sua possibilità, ma secondo l’idea della sua realtà. Perché quando noi procediamo dalla confessione della Trinità alla confessione del decreto, allora la realtà del peccato è un dato di fatto, e l’unità federale in Dio deve essere diretta alla completa conquista del fatto del peccato, così che Dio possa essere trionfante. E ciò conduce alla constitutio Mediatoris [costituzione del Mediatore], non come un atto di forza, ma come un’azione federale, e dunque sorge il pactum salutis. Nella relazione di patto Padre, Figlio, e Spirito Santo mirano insieme ed ognuno per Se Stesso al trionfo sul peccato, cioè, al trionfo sopra tutto quanto pone se stesso contro Dio in quanto anti-Dio. La base di questa volontà in Dio si trova nell’originale relazione di patto nell’essenza divina, e ciò che deve essere realizzato dal Padre, dal Figlio, e dallo Spirito Santo rispettivamente per quel fine, continua a trovare la sua unità federale nell’opus exeuns [opera fuoriuscente] che è comune alle tre persone. Ciò che è assunta come l’opera del Padre, Figlio, e Spirito Santo, rispettivamente, non riposa su un’arbitraria distinzione di lavoro, ma sulla distinzione che esiste tra il Padre, Figlio e Spirito Santo nella divina essenza stessa, e ciò non soltanto nell’opera della salvezza, ma anche già nell’opera di creazione. Di qui il pactum salutis non può mai includere solo due, ma deve sempre includere le tre persone della Santa Trinità. Inoltre, considerando che il decreto non conosce due possibilità, con o senza peccato, ma solo di una realtà, cioè, la realtà del peccato, questo pactum non appare dopo la caduta, ma recede nell’eternità e forma il punto di procedura dell’intero pactum salutis. E quando il pactum salutis così si trova alle spalle della caduta ed ha la sua radice nel decretum [decreto], ne consegue eo ipso [da sé] che l’introduzione di esso ebbe inizio immediatamente dopo la caduta, e che una sospensione d’esso fino all’ora dell’incarnazione è concepibile.22

Kuyper quindi offre la seguente presentazione:

Primo, la relazione delle tre persone nell’essenza divina è una relazione di patto. Secondo questa relazione pattale tutte e tre le persone vogliono affermare Dio contro tutto quello che non è Dio. Ma ognuna delle tre persone della Santa Trinità appare in questa determinazione nel Suo luogo: il Padre in quanto Padre, il Figlio in quanto Figlio, e lo Spirito in quanto Spirito.

Secondo, l’eterno decreto di Dio include il decreto del peccato. Quindi nell’eterno beneplacito di Dio appaiono potenze che non sono Dio e che si pongono in opposizione a Dio.

Terzo, secondo l’eterna relazione di patto nell’essenza divina, tutte e tre le persone sono unite ad opporre e conquistare il potere del peccato. Riposando nell’eterna relazione pattale del Dio triuno, questo eterno accordo di affermare Dio contro il potere del peccato è il patto di redenzione o il pactum salutis.

Quarto, secondo questo accordo il Padre manda il Figlio, il Figlio è mandato in quanto mediatore dal Padre, e lo Spirito Santo è dato al mediatore in quanto lo Spirito di Cristo e di santificazione.

Dobbiamo ammettere che Kuyper trae delle linee che sono della più grande importanza. Nella discussione dell’idea del patto, certamente dobbiamo procedere dalla vita pattale del Dio triuno. Tutte le linee devono essere tratte da Dio. In lui tutte le linee si concentrano. Egli Stesso è, nella Sua eterna vita divina pattale, l’ultima, eterna, e sola ragione per tutto ciò che accade nel tempo e che esiste eternamente. Egli ha fatto tutte le cose le cose per Se Stesso, anche l’empio per il giorno del male. Chi ragiona a partire da questa fondamentale verità e ragiona correttamente, non può mai errare. Noi dobbiamo pensare e parlare teologicamente. Per questa ragione dobbiamo certamente seguire Kuyper quando egli vuole dedurre l’idea del patto dalla vita e dalla relazione pattale delle tre persone della Santa Trinità.

Tuttavia dobbiamo trarre le linee un po’ differentemente dalla concezione di Kuyper. Primo, deve essere notato che Kuyper presenta il patto, quanto alla sua idea, ancora come un accordo contro una terza parte. Secondo Kuyper, un patto è sempre un accordo tra due o più parti contraenti contro una terza parte. Il patto di redenzione, quindi, è l’eterno accordo tra le tre persone contro il potere del peccato. Ciò significa che il patto è ancora susserviente. Esso è ancora un mezzo, non il proposito. Esso è una via, non la destinazione. Quando il peccato è sopraffatto, il patto ha servito il suo proposito.

Secondo, ed in stretta connessione a quanto precede, il peccato è di certo postulato dal decreto di Dio, ma nell’insieme dei decreti ed opere di Dio al di fuori di Se Stesso (ad extra) sta tuttavia in modo dualistico contro di Lui. Il peccato è una potenza che deve essere sopraffatta, non è un mezzo che serve Dio per la piena rivelazione della Sua eterna vita pattale. Esso appare come l’occasione e perfino come la causa per la conclusione del pactum salutis. E’ la nostra convinzione che le linee devono ancora essere tratte in una direzione differente se vogliamo mantenere completamente che Dio è Dio e che non vi è nessuno accanto a Lui. Anche in relazione alle potenze delle tenebre, le linee devono essere tratte da Dio soltanto. E la rivelazione dell’eterna vita pattale di Dio deve essere il più alto proposito, mai un mezzo ad un fine.


Il Consiglio di Pace ed il Patto con Cristo Distinti

Per ottenere una corretta comprensione del consiglio di pace o patto di redenzione, è della più grande importanza che distinguiamo acutamente tra il patto che Dio stabilisce con Cristo in quanto il servo del Signore, stando a capo di coloro che il Padre gli ha dato, e l’eterno patto delle tre persone della Santa Trinità. Fallire nel fare questa distinzione è divenuta la causa per cui il patto di redenzione è stato presentato come una relazione o accordo tra il Padre ed il Figlio, per cui non è stato trovato posto in questo patto per lo Spirito Santo, o che il risultato è stato praticamente un diniego della Santa Trinità e della co-eguaglianza del Figlio al Padre. Ciò era inevitabile. I passaggi scritturali che menzionano il patto che Dio stabilisce con Cristo secondo la Sua natura umana ed in quanto servo del Signore sono stati usati come prova per il patto di redenzione, ed è a ragione che in tutti quei passaggi scritturali Cristo appare subordinato al Padre.

La distinzione tra il consiglio di pace o patto di redenzione, e il patto di Dio con Cristo che si trova come capo dei Suoi, deve essere perfettamente chiara. Il consiglio di pace è un patto tra le tre persone della Santa Trinità, il patto di Dio con Cristo in quanto capo degli eletti è un patto stabilito dal Dio triuno con Cristo e coloro che sono dati a Lui. Nel consiglio di pace, il Figlio appare come Dio nella Sua natura divina, co-eguale col Padre e lo Spirito Santo. Nel patto con Cristo, il Figlio appare come il mediatore nella Sua natura umana. Nel consiglio di pace, il Figlio, con il Padre e lo Spirito Santo, appare come una parte che decreta.

Il patto con Cristo in quanto il servo di Jehovah è di Dio soltanto ed è stabilito con Cristo dal Dio Triuno. Nel consiglio di pace, il Figlio è co-eguale al Padre e allo Spirito Santo. Nel patto di Dio con Cristo, Egli è il servo del Signore e subordinato a Jehovah. E’ vero che il patto con Cristo è strettamente connesso al consiglio di pace. Può essere di certo detto che il patto con Cristo in quanto il servo di Jehovah presuppone il pactum salutis. Ma ciò non è una ragione per identificarli. Il consiglio di pace si trova dietro il patto che Dio stabilisce con Cristo e coloro che il Padre Gli ha dato. Un attento studio della Scrittura su questo punto rivelerà che ciò è corretto. Quando facciamo attenzione a tutti quei passaggi Scritturali che i precedenti teologi hanno citato come prova per il consiglio di pace o pactum salutis, diviene evidente che tutti i passaggi, senza eccezione, fanno riferimento al patto che Dio stabilisce con Cristo in quanto il capo degli eletti.


I Passaggi del "Servo" in Isaia

Che Dio stabilisca un patto con Cristo è chiaro dai passaggi ben noti nella profezia di Isaia che menzionano il servo del Signore. Non possiamo mai comprendere questi passaggi se li si fa riferire semplicemente ad un patto tra il Padre ed il Figlio. Possiamo perfino andare un po’ oltre e sostenere che coloro che spiegano questo servo del Signore semplicemente come il Cristo non possono comprendere il significato della Scrittura su questo punto. Un’investigazione di questi passaggi mostrerà che il termine servo del Signore in Isaia ha più di una connotazione.

Può essere certamente detto che il servo del Signore in Isaia è centralmente il Cristo. Proprio come nel senso centrale della parola egli è la discendenza della donna, il leone della tribù di Giuda, la radice di Davide, la discendenza di Abraamo, così anche egli è centralmente il servo del Signore. Senza di lui non vi era discendenza della donna e nessuna discendenza di Abraamo. Senza di lui Giuda non è cucciolo di leone, e senza di lui Davide non ha significato alcuno. Senza di lui non vi è servo del Signore. In Cristo, quindi, noi abbiamo il centro stesso, il cuore stesso del concetto servo del Signore. Egli è il servo del Signore par excellence, in cui e attraverso colui tutto il vero servizio del Signore consiste, ed in cui Dio realizza il Suo patto eterno.

Intorno a questo servo centrale del Signore vi è raggruppato il circolo dei profeti, che sono anche chiamati unti di Dio, i Suoi testimoni, i Suoi servi, in cui è lo Spirito di Cristo. Nella profezia di Isaia, è frequentemente difficile distinguere tra questi servi del Signore separati e il servo di Jehovah nel senso centrale. Il profeta non può mai essere concepito in separazione da Cristo in quanto il servo del Signore in senso centrale. Solo perché Cristo è in Lui e parla attraverso di Lui il profeta è un servo di Jehovah.

Ma anche così, non è stato detto tutto. Il termine servo del Signore non si riferisce solo a Cristo, ed in un senso più ampio al profeta, ma anche al più ampio circolo del vero Israele spirituale, la vera discendenza spirituale, Giacobbe, che il Signore ha chiamato per nome, il residuo secondo l’elezione della grazia. Questo residuo è il servo del Signore solo perché è organicamente connesso con Cristo, è incluso in Lui, ed è dato a Lui dal Padre prima della fondazione del mondo.

Infine, siccome nucleo e guscio sono, nel senso naturale, organico, nelle generazioni di Abraamo, e perché questo intero organismo nella nazione di Israele è chiamato col nome spirituale del nucleo, il nome servo del Signore è anche usato per denotare Israele per come esisteva storicamente nella vecchia dispensazione.

Una quadruplice distinzione, allora, deve essere osservata per comprendere il concetto servo del Signore nella profezia di Isaia:

1. Cristo in quanto il servo di Jehovah par excellence.

2. Il piccolo circolo dei profeti intorno a Lui.

3. Il più ampio circolo della discendenza spirituale di Abraamo.

4. Il più ampio o vasto circolo della chiesa per come esisteva nell’antica dispensazione nella nazione di Israele.

Che questa interpretazione è corretta può essere facilmente provato dai differenti passaggi in Isaia che menzionano il servo del Signore. Chiamiamo l’attenzione dapprima ad Isaia 42:1-7:

«Ecco il mio servo, che io sostengo, il mio eletto in cui la mia anima si compiace. Ho posto il mio Spirito su di lui; egli porterà la giustizia alle nazioni. Non griderà, non alzerà la voce, non farà udire la sua voce per le strade. Non spezzerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; presenterà la giustizia secondo verità. Egli non verrà meno e non si scoraggerà, finché non avrà stabilito la giustizia sulla terra; e le isole aspetteranno la sua legge». Così dice Dio, il Signore, che ha creato i cieli e li ha spiegati, che ha disteso la terra e le cose che essa produce, che dà il respiro al popolo che è su di essa e la vita a quelli che in essa camminano: «Io, il Signore, ti ho chiamato secondo giustizia e ti prenderò per mano, ti custodirò e ti farò il patto del popolo e la luce delle nazioni, per aprire gli occhi dei ciechi, per fare uscire dal carcere i prigionieri e dalla prigione quelli che giacciono nelle tenebre.

E’ perfettamente chiaro che anche se non è menzionato per nome, questi versi si riferiscono a Cristo in quanto il servo del Signore. Ciò che è detto qui non può mai essere applicato in modo completo ad Isaia stesso. Inoltre, tutto ciò che è detto in questi versi del servo del Signore è completamente adempiuto soltanto in Cristo per come appare nella pienezza del tempo. E’ Lui che riceve lo Spirito senza misura. Egli è il Suo amato Figlio in Cui Dio si compiace pienamente. E’ Lui Che è dato per un patto del popolo, che apre gli occhi dei ciechi, e che libera i prigionieri. Non vi può essere dubbio a riguardo che il riferimento qui è direttamente a Cristo in quanto il servo del Signore.

Dovrebbe essere chiaro anche che Egli non appare qui secondo la Sua natura divina e che questi versi non si riferiscono al consiglio di pace o pactum salutis. Il Cristo non appare qui secondo la Sua natura divina, ma secondo la Sua natura umana. Secondo la Sua natura umana Egli non può essere chiamato l’eletto: Egli è il Figlio, generato dal Padre da eternità in eternità. Secondo la Sua natura umana, tuttavia, Egli è l’eletto par excellence. Secondo la Sua natura divina Egli non è il servo di Jehovah, ma Jehovah Stesso, e in quanto persona del Figlio è co-eguale al Padre e allo Spirito Santo. Secondo la Sua natura umana, tuttavia, Egli è il servo del Signore par excellence, Che è posto al di sopra dell’intera casa di Dio e il cui cibo è fare la volontà del Signore. Secondo la Sua natura divina Egli non riceve lo Spirito, ma lo Spirito procede da Lui al Padre in quanto lo Spirito del Figlio. Secondo la Sua natura umana, tuttavia, Egli riceve lo Spirito senza misura. Secondo la Sua natura divina non potrebbe essergli detto che il Signore Lo ha chiamato in giustizia, che sosterrà la Sua mano, e che Lo sosterrà e Lo darà per un patto del popolo e per una luce dei Gentili. Ma tutto questo di certo si applica al Cristo secondo la Sua natura umana. In questi versi, quindi, non vi è menzione, di una relazione pattale tra il Padre e il Figlio, ma soltanto di un patto che Dio triuno ha stabilito con Cristo, il servo di Jehovah.

Ma si noti come nello stesso capitolo la raffigurazione profetica del servo di Jehovah cambia in un modo tale che è applicabile ad Israele in quanto nazione nel senso più ampio della parola, quando essa diviene l’oggetto dell’ira di Dio:

Sordi, ascoltate; ciechi, guardate e vedete! Chi è cieco, se non il mio servo, o sordo come il mio messaggero che invio? Chi è cieco come colui che è in pace con me, cieco come il servo del Signore? Hai visto molte cose, ma senza prestarvi attenzione; le tue orecchie erano aperte, ma non hai udito nulla». Il Signore si è compiaciuto per amore della sua giustizia; renderà la sua legge grande e magnifica. Ma questo è un popolo derubato e spogliato; sono tutti presi nei lacci in prigioni sotterranee e rinchiusi in carceri. Sono abbandonati al saccheggio, ma nessuno li ha liberati; spogliati, ma nessuno ha detto: «Restituisci!». Chi di voi presterà orecchio a questo? Chi farà attenzione e ascolterà in avvenire? Chi ha abbandonato Giacobbe al saccheggio e Israele, ai predoni? Non è forse stato il Signore, contro il quale abbiamo peccato? Essi infatti non hanno voluto camminare nelle sue vie e non hanno ubbidito alla sua legge. Perciò egli ha riversato su di lui l'ardore della sua ira e la violenza della guerra, che lo ha avvolto nelle fiamme tutt'intorno senza che se ne rendesse conto; l'ha consumato, ma egli non ha preso la cosa a cuore (Isaia 42:18-25).

In questi versi il servo del Signore è il soggetto. Il contesto richiede che non pensiamo di un altro servo che non si trova in nessuna connessione col primo. Al contrario, è lo stesso servo, veduto non centralmente, ma nel senso più ampio. In Isaia 42:1-7 è il Cristo Che è il servo di Jehovah. Nei versi 18-25 quel servo è Israele per come esiste storicamente. Che questo servo del Signore possa essere così cieco e sordo, così peccaminoso e disubbidiente che può essere consegnato al distruttore e che Dio può riversare su di lui le coppe della Sua ira, ma che egli tuttavia non perisce e non è consumato, ha la sua causa non nel fatto che egli è nel senso più ampio Israele, ma deve essere attribuito al fatto che centralmente egli è il Cristo. Questa è la ragione per cui l’ira di Dio può essere riversata su questa nazione, che ha il suo centro nel servo di Jehovah par excellence, senza che sia consumata.

Questo spiega anche le altrimenti inesplicabili transizioni da annunciazioni di ira e giudizio a promesse di preservazione, redenzione, e salvezza che così frequentemente si trovano nella profezia di Isaia. All’oscura e disperata conclusione del capitolo 42 segue l’inizio del capitolo 43:

Ma ora così dice il Signore, che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha formato, o Israele: «Non temere, perché io ti ho redento, ti ho chiamato per nome; tu mi appartieni. Quando passerai attraverso le acque io sarò con te, o attraverserai i fiumi, non ti sommergeranno; quando camminerai in mezzo al fuoco, non sarai bruciato e la fiamma non ti consumerà (vv. 1-2).

Il verso 10 menziona Giacobbe in quanto il servo di Jehovah: "I miei testimoni siete voi, dice il Signore, insieme al servo che ho scelto, affinché voi mi conosciate e crediate in me, e comprendiate che sono io. Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me non ve ne sarà alcuno." E’ evidente che il riferimento qui non è più al concetto di servo di Jehovah nel suo senso più ampio, ma alla discendenza spirituale, il nucleo spirituale, il residuo secondo l’elezione della grazia, il servo di Jehovah. Quella discendenza spirituale è in grado di passare attraverso il fuoco senza essere consumata e attraverso le acque senza essere sopraffatta. Esattamente perché il residuo secondo l’elezione della grazia è sempre connesso al servo centrale di Jehovah, il Cristo, la Parola incarnata, Jehovah ha realizzato il Suo patto con questo servo di Jehovah, che si trova in una relazione inseparabile di amicizia nei confronti del Dio di Giacobbe nell’Immanuele. Nello stesso senso si fa riferimento al servo di Jehovah in Isaia 44:1-2, 21:

Ora ascolta, o Giacobbe mio servo, o Israele, che io ho scelto! Così dice il Signore che ti ha fatto e ti ha formato fin dal seno materno, colui che ti aiuta: Non temere, o Giacobbe mio servo, o Jeshurun che io ho scelto! … Ricorda queste cose, o Giacobbe, o Israele, perché tu sei mio servo; io ti ho formato, tu sei il mio servo; o Israele non sarai da me dimenticato.

In questi versi Israele appare secondo il suo nucleo spirituale in quanto il servo del Signore. Questo servo deve essere testimone di Jehovah nel mezzo del mondo; Egli deve conoscerlo e badare alle Sue opere e meraviglie, parlare d’esse e dire della gloria del Signore. Per quella ragione il Signore Gli dà la Sua Parola e quella Parola Egli stabilisce a motivo del Suo nome.

Siccome questo servo del Signore riceve quella Parola nell’antica dispensazione attraverso i profeti, questi appaiono sullo sfondo come il servo del Signore. Per esempio, in Isaia 44:26 Jehovah è descritto come Colui che "conferma la parola del Suo servo, e adempie il consiglio dei Suoi messaggeri." I segni dei menzogneri li frustra, e i divinatori li fa impazzire. Egli fa indietreggiare i saggi e rende la loro conoscenza stolta (v. 25). Ma la parola dei Suoi servi è la Sua propria Parola. Quella Parola la rivela centralmente in ed attraverso Cristo, il servo di Jehovah par excellence. Mediante il Suo Spirito Egli dà quella stessa Parola ai Suoi profeti ed attraverso di essi al Suo popolo così che il Suo servo possa essere il Suo testimone nel patto di amicizia nel mezzo del mondo.

Alcune volte è difficile distinguere e discernere nella profezia se sta parlando il profeta, Israele, o il Cristo, quando è fatta menzione del servo di Jehovah. La ragione è che Israele, il profeta, e Cristo sono uno in quanto il servo del Signore. Per esempio, in Isaia 49:1-9, il profeta appare in quanto il servo di Jehovah. Tuttavia queste parole non possono essere applicate in tutta la loro significatività al profeta, né ad Israele, ma devono riferirsi centralmente a Cristo Stesso:

Isole, ascoltatemi, e prestate attenzione, o popoli lontani. Il Signore mi ha chiamato fin dal grembo materno, ha menzionato il mio nome fin dalle viscere di mia madre. Ha reso la mia bocca come una spada tagliente, mi ha nascosto nell'ombra della sua mano, mi ha reso una freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. Mi ha detto: «Tu sei il mio servo, Israele, in cui sarò glorificato». Ma io dicevo: «Invano ho faticato, per nulla e inutilmente ho speso la mia forza; certamente però il mio diritto è presso il Signore e la mia ricompensa presso il mio DIO». E ora dice il Signore che mi ha formato fin dal grembo materno per essere suo servo, per ricondurre a lui Giacobbe e per radunare intorno a lui Israele (io sono onorato agli occhi del Signore, e il mio DIO è la mia forza). Egli dice: «È troppo poco che tu sia mio servo per rialzare le tribù di Giacobbe e per ricondurre gli scampati d'Israele. Ti ho stabilito come la luce delle nazioni, perché tu sia la mia salvezza fino alle estremità della terra». Così dice il Signore, il Redentore d'Israele, il suo Santo, a colui che è disprezzato dagli uomini, al detestato dalla nazione, al servo dei potenti: «I re vedranno e si leveranno, i principi si prostreranno, a causa del Signore che è fedele, il Santo d'Israele, che ti ha scelto». Così dice il Signore: «Nel tempo della grazia io ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho aiutato, ti preserverò e ti farò il patto del popolo, per far risorgere il paese, per rimetterli in possesso delle eredità devastate, per dire ai prigionieri: "Uscite", e a quelli che sono nelle tenebre: "Mostratevi". Essi pascoleranno lungo le strade e su tutte le alture desolate avranno i loro pascoli.

Molto applicabile ad Isaia 49-1-9 è la domanda che l’eunuco chiese a Filippo: "Ti prego, di chi dice questo il profeta? Di se stesso, o di qualche altro?" (Atti 8:34). Noi potremmo aggiungere: o parla qui del popolo di Israele in generale? La risposta corretta sarebbe indubbiamente che Israele, il profeta, e il Cristo sono tutti il servo del Signore a motivo del fatto che Cristo è il servo centrale, e sono tutti il servo del Signore attraverso di Lui. Dio ha rivelato il Suo patto e lo ha stabilito con Cristo ed i Suoi. A quel patto si fa riferimento quando la Scrittura parla del servo di Jehovah.

Nella profezia di Isaia, questo concetto centrale del servo di Jehovah appare gradualmente sempre di più sullo sfondo, come ci si potrebbe aspettare. Il popolo, il nucleo spirituale, e il profeta stesso scompaiono sempre di più dal circolo della visione profetica per lasciare che tutta la luce della rivelazione si concentri su Cristo Stesso. In Isaia 50:4-10 il servo di Jehovah parla di Se Stesso:

«Il Signore, Jehovah, mi ha dato la lingua dei discepoli perché sappia sostenere con la parola lo stanco; egli mi risveglia ogni mattina, risveglia il mio orecchio, perché io ascolti come fanno i discepoli. Il Signore, Jehovah, mi ha aperto l'orecchio e io non sono stato ribelle, né mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso a chi mi percuoteva e le mie guance a chi mi strappava la barba, non ho nascosto il mio volto all'ignominia e agli sputi. Ma il Signore, Jehovah, mi ha soccorso, per cui non sono stato confuso; per questo ho reso la mia faccia come una selce e so che non sarò svergognato. È vicino colui che mi giustifica; chi contenderà con me? Presentiamoci insieme. Chi è il mio avversario? Si avvicini a me. Ecco, il Signore, Jehovah, mi verrà in aiuto; chi è colui che mi condannerà? Ecco, tutti costoro si logoreranno come un vestito, la tignola li roderà». Chi tra voi teme il Signore e ascolta la voce del suo servo? Chi cammina nelle tenebre senza alcuna luce, confidi nel nome del Signore e si appoggi sul suo DIO!

Infine, in Isaia 52:13 fino ad Isaia 53, questo servo di Jehovah si trova davanti a noi chiaramente come il nucleo centrale di Israele, il rappresentante del Suo popolo nel patto di Dio. Egli è raffigurato come il servo di Jehovah par excellence, che è sopra l’intera casa di Dio, che agirà prudentemente e quindi sarà innalzato ed esaltato molto in alto. Oh, davvero, molti saranno meravigliati per lui. Il Suo sembiante sarà sfigurato più di qualsiasi uomo, ma aspergerà molte nazioni. Re chiuderanno la loro bocca davanti a Lui, perché Egli è il braccio del Signore attraverso il Quale la salvezza sarà realizzata (Isaia 52:13-15).

Egli è cresciuto davanti a Lui come una tenera pianta e come una radice da un terreno secco. Non vi era forma o avvenenza in Lui, e secondo il criterio del mondo e dei Giudei, non ci si aspettava niente da Lui. Fu disprezzato e rigettato dagli uomini. Portò tutte le malattie dell’intero servo di Jehovah, tutte le coppe dell’ira di Dio furono riversate su di Lui. Noi tutti come pecore ci siamo sviati e ci siamo volti ognuno alla sua via. Ma il Signore ha posto su di Lui l’iniquità di noi tutti. E’ piaciuto al Signore di percuoterlo. Fu condotto come un agnello al macello. Divenne ubbidiente fino alla morte, sì, alla morte della croce. Ma egli vedrà la Sua discendenza. Il beneplacito del Signore prospererà nella Sua mano, e mediante la Sua conoscenza il giusto servo di Jehovah giustificherà molti. Il Signore Gli dividerà una porzione col grande, e dividerà il bottino col forte. Egli, il servo del Signore, ha la vittoria per sempre, ed il patto del Signore è stabilito in e con lui per sempre (Isaia 53:2-12).


II Samuele 7:12-16

Vari altri passaggi della Scrittura (oltre a quelli che abbiamo già discusso) che sono di solito citati in prova del cosiddetto pactum salutis di certo non parlano di un patto tra il Padre ed il Figlio o tra le tre persone della Trinità, ma essi parlano di un patto tra il Dio triuno e Cristo in quanto mediatore del patto. Il problema è che di solito i teologi falliscono nel fare la necessaria distinzione tra l’eterno Figlio di Dio nella natura divina ed il servo del Signore, il capo del Suo popolo nel patto di grazia.

Ciò è vero per quanto riguarda il ben noto passaggio dal Salmo 89 in connessione con II Samuele 7:12-16. Di solito ci si riferisce a questi passaggi come base per il patto tra il Padre ed il Figlio. Ma chi investighi attentamente questi passaggi presto giunge alla conclusione che nessuna menzione in essi è fatta di un patto tra le tre persone della santa Trinità, ma piuttosto di un patto di Dio con Cristo ed il Suo popolo.

L’intenzione del re Davide di costruire una casa al Signore è registrata in II Samuele 7. Il Signore ha stabilito Davide nel suo regno e gli ha dato riposo da tutti i suoi nemici d’intorno. Vedendo che egli viveva in una casa di cedro e l’arca di Dio dimorava in tende, Davide desiderò costruire al Signore una casa stabilita in Gerusalemme. Quando Davide informò il profeta Nathan di questa intenzione, Nathan in un primo momento fu d’accordo con lui. Ma nella stessa notte la parola del Signore giunse al profeta, mandandolo a Davide con l’incarico di proibire al re di eseguire la sua intenzione.

Questa parola del Signore con cui Nathan fu inviato a Davide era ricca per quanto riguarda la promessa del patto che Dio avrebbe stabilito con Davide e la sua discendenza per sempre:

Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu riposerai con i tuoi padri, io innalzerò dopo di te la tua discendenza che uscirà dalle tue viscere e stabilirò il suo regno. Egli edificherà una casa al mio Nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà un figlio; quando farà del male, lo castigherò con verga d'uomo e con colpi di figli d'uomini, ma la mia misericordia non si allontanerà, come l'ho ritirata da Saul, che io ho rimosso davanti a te. La tua casa e il tuo regno saranno resi saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre (vv. 12-16).

Differenti elementi in questo passaggio meritano la nostra speciale attenzione. Primo, dovrebbe essere perfettamente chiaro che chi sta parlando qui non è la prima persona della Trinità, ma il Dio triuno. E’ Lui Che qui promette ed assicura Davide delle Sue misericordie pattali. Questo, inoltre, rende impossibile applicare queste parole ad un patto tra le tre persone della Trinità.

Secondo, colui a cui ci si rivolge qui è certamente non il Figlio in quanto la seconda persona della santa Trinità, ma Davide e la sua discendenza. Questa discendenza di Davide è Salomone, che avrebbe costruito la casa per il Signore, come promesso in questo passaggio. Ma è anche chiaro che non si può intendere soltanto Salomone, perché ciò che è qui detto della discendenza di Davide non è mai adempiuto in Salomone o durante il suo regno. Il Signore parla qui di un regno eterno che Egli stabilirà per questa discendenza di Davide, di una casa perpetua, di un trono stabile, e di misericordie immutabili. E’ evidente, quindi, che questa parola profetica deve essere applicata all’intera linea della discendenza di Davide per come essa punta a e culmina in Cristo, il Figlio di Davide par excellence, la radice di Davide. Da ciò è perfettamente chiaro che qui non è fatta alcuna menzione del Figlio di Dio secondo la Sua natura divina, ma che il riferimento è al mediatore per come egli deve provenire dai lombi di Davide, al re eterno di cui Davide è sempre il tipo, e quindi, al servo del Signore secondo la Sua natura umana.

Terzo, in questo passaggio della Scrittura non vi è menzione affatto di mutue condizioni o mutue richieste e mutue promesse. Al contrario, chi parla qui è il solo che determina ogni cosa. Egli farà sì che la discendenza promessa venga dai lombi di Davide. Egli stabilirà il regno per sempre. Egli castigherà la discendenza con la verga d’uomini e con le battiture dei figli d’uomini, se la discendenza commette iniquità. Egli non rimuoverà mai la Sua misericordia da Lui. Certo, questa discendenza costruirà la casa del Signore, ma questo anche è determinato soltanto da Colui che qui sta parlando. Da tutto questo dovrebbe essere perfettamente evidente che non vi è menzione alcuna di un patto tra le tre persone della santa Trinità, o tra due di loro, ma nel senso centrale ed ultimo, di un patto che Dio stabilisce con Cristo in quanto il capo del Suo popolo.

Queste parole erano una forte base di sicurezza e conforto per i credenti dell’antica dispensazione, specialmente in tempi di oscurità e di sofferenza quando sembrava come se Dio avesse abbandonato il Suo patto e il Suo popolo e come se i nemici di Sion avrebbero avuto la vittoria. Non meraviglia, quindi, che troviamo che la chiesa dell’antica dispensazione amava cantare, e che la chiesa della nuova dispensazione ancora canti, delle eterne misericordie di Davide nella canzone ispirata che lo Spirito di Cristo pose sulle labbra della chiesa di ogni epoca. Questa canzone l’abbiamo nel Salmo 89.


Salmo 89:1-34

Nel Salmo 89 si è trovata prova del pactum salutis come patto tra il Padre ed il Figlio. E’ vero che questo salmo parla di un patto di Dio:

Poiché ho detto: «La tua benignità sussisterà in eterno, tu stabilirai la tua fedeltà nei cieli stessi». «Io ho fatto un patto col mio eletto, ho giurato a Davide, mio servo, dicendo: "Stabilirò la tua progenie in eterno, ed edificherò il tuo trono per ogni età"» … Io gli osserverò la mia misericordia in perpetuo, ed il mio patto sarà fermo con lui … Il mio patto non violerò, né muterò quello che è uscito dalle mie labbra (Salmo 89:2-4, 28, 34).

Tuttavia, è evidente dall’intero salmo che il patto di cui si fa menzione è certamente non un patto tra le tre persone della santa Trinità. Colui che qui è ripetutamente introdotto come chi parla non è il Padre in quanto prima persona della Trinità, ma il Signore, Jehovah, il Dio di patto triuno, il potente Signore degli Eserciti, che è l’incomparabile. Colui col quale questo patto è stabilito non è il Figlio nella Sua natura divina, ma Davide e la sua discendenza, il cuore ed il centro della quale è Cristo, il leone della tribù di Giuda. Egli è Davide, il servo del Signore, l’eletto di Dio par excellence. Con Lui e la Sua discendenza è stabilito il patto. Di Lui e della Sua discendenza, della chiesa eletta, è essenzialmente vero che essi saranno visitati con la verga a motivo della trasgressione dei figli, sì, che la loro iniquità sarà visitata con battiture, come centralmente si verificò nella croce di Cristo, ma che tuttavia la misericordia del Signore non è mai tolta via da loro e che essi possono cantare di un patto eterno.

Se un patto è un accordo tra due parti contraenti con mutue stipulazioni, condizioni, e richieste, allora qui non è nemmeno fatta menzione di alcun patto in questo salmo, perché nel salmo ogni cosa dipende da Dio soltanto, dalla Sua fedeltà e dalle Sue misericordie. E’ Lui soltanto che ha fatto un patto con Davide, Suo eletto. Egli ha giurato a Davide che avrebbe stabilito la sua discendenza per sempre e che avrebbe edificato il suo trono di generazione in generazione. E’ Lui che lo innalza ad un figlio primogenito, il più alto sui re della terra. E’ Lui che manterrà misericordia con Davide per sempre e stabilisce il Suo patto con lui immutabilmente. Non toglierà mai via da lui la Sua misericordia, e la Sua fedeltà verso di lui non fallirà mai. Non romperà il Suo patto con lui, e non altererà la cosa che è proceduta dalla Sua bocca.

In altre parole, il patto qui è strettamente unilaterale. Non vi sono due parti contraenti che contraggono un patto l’una con l’altra. Le parole del Salmo 89 non possono mai essere applicate ad un accordo tra le tre persone della santa Trinità, ma sono certamente applicabili ad un patto tra Jehovah ed il Suo popolo. Nella Sua relazione di patto verso la creatura, Dio rimane sempre Dio, e Lui solo è l’originatore e colui che stabilisce il patto. In un tale patto non vi sono parti contraenti, anche se vi sono due parti. Dio è la Sua propria parte contraente. Quando Egli stabilisce il Suo patto con noi, lo fa in quanto il Dio assolutamente sovrano. Noi diveniamo della Sua parte. Le tre persone della santa Trinità sono essenzialmente uno e coeguali, anche se sono personalmente distinte. Quindi il linguaggio del Salmo 89 non è quello del Padre al Figlio, ma del Dio triuno al Suo eletto, il servo di Jehovah. Il Figlio ode di certo questo linguaggio, ma nella Sua natura umana.


Salmo 2:7-9

Non vi è differenza per quanto riguarda un altro passaggio della Scrittura che è stato citato come prova per il pactum salutis:

Dichiarerò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: "Tu sei mio figlio, oggi io ti ho generato. Chiedimi, e io ti darò le nazioni come tua eredità e le estremità della terra per tua possessione. Tu le spezzerai con una verga di ferro, le frantumerai come un vaso d'argilla" (Salmo 2:7-9).

Dobbiamo stare attenti che non applichiamo questo passaggio direttamente e senza alcun ulteriore pensiero all’eterna generazione del Figlio di Dio. Se lo facciamo, la conclusione sarà che il Padre qui si rivolge al Figlio e che quindi il testo si riferisce ad un patto tra la prima e seconda persona della santa Trinità. Non neghiamo che in ultima analisi questo passaggio di certo insegna anche l’eterna generazione del Figlio di Dio. Tuttavia, è molto chiaro che il riferimento in questo passaggio non è prima a questa eterna generazione.

Dobbiamo ricordare che questo salmo ha il suo sfondo storico nell’infuriare dei pagani contro Davide in quanto il re unto che è stato posto sopra il santo monte di Sion. Queste parole si riferiscono prima a lui nella sua capacità di re sopra Israele. Egli è nel senso teocratico della parola l’unto del Signore, contro il quale i pagani infuriano e i re della terra si pongono e prendono consiglio per detronizzarlo. Egli è il re unto da Dio sopra il santo monte di Sion, il figlio di Dio generato da Lui. E’ su questo sfondo storico, predestinato per questo proposito stesso, che la profezia messianica di questo salmo è basata.

Non possiamo trascurare il fatto che qui è fatta menzione del decreto. Le parole: "Tu sei mio Figlio, oggi Ti ho generato" appartengono al decreto di Jehovah. La generazione del Figlio da parte del Padre non appartiene al decreto di Dio, ma alle opere di Dio all’interno di Se Stesso (ad intra). Quindi questa parola del Salmo 2 non può essere applicata primariamente all’eterna generazione del Figlio dal Padre.


Atti 13:32-37

Ciò è corroborato da Atti 13:32-37, un passaggio neotestamentario che si riferisce a Salmo 2:7:

E noi vi annunziamo la buona novella della promessa fatta ai padri, dicendovi, che Dio l'ha adempiuta per noi, loro figli, avendo risuscitato Gesù come anche è scritto nel secondo salmo: "Tu sei il mio Figlio, oggi ti ho generato." E poiché lo ha risuscitato dai morti per non tornare più nella corruzione, egli ha detto così: "Io vi darò le fedeli promesse fatte a Davide." Per questo egli dice anche in un altro Salmo: "Tu non permetterai che il tuo Santo veda la corruzione." Or Davide, dopo aver eseguito il consiglio di Dio nella sua generazione, si addormentò e fu aggiunto ai suoi padri, e vide la corruzione, ma colui che Dio ha risuscitato, non ha visto corruzione.

Questo passaggio insegna molto chiaramente che la parola del Salmo 2 non può essere separata da Davide e che nel senso tipico è realizzata in lui. Essa appartiene alle sicure misericordie di Davide. Inoltre, Atti 13 insegna chiaramente che Salmo 2 fa riferimento a Cristo secondo la Sua natura umana e che le parole: "Tu sei mio Figlio, oggi Ti ho generato" sono adempiute nella risurrezione di Gesù dai morti.

Attraverso questa risurrezione Dio Lo ha generato così che possa sedere eternamente come re sopra Sion, il monte della santità di Dio. In quella risurrezione vi è il principio dell’esaltazione che è completata nella potenza e gloria che Cristo ricevette alla destra del Padre, quindi a Lui sono dati i gentili per eredità e tutti i confini della terra per Sua possessione. L’ "oggi" di Salmo 2 è, quindi, un riferimento al momento storico dell’unzione di Davide in quanto re sopra Israele e allo stesso tempo un riferimento al momento della risurrezione di Cristo dai morti. Salmo 2 fa riferimento al patto di Dio con Cristo e alla promessa del vangelo che è centralmente realizzata in Lui.


Atti 4:24-28

La stessa verità di Salmo 2 è evidente da quella bellissima e chiara preghiera della chiesa registrata in Atti 4:24-28:

All'udire ciò, alzarono all'unanimità la voce a Dio e dissero: «Signore, tu sei il Dio che hai fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi, e che mediante lo Spirito Santo hai detto, per bocca di Davide tuo servo: "Perché si sono adirate le genti e i popoli hanno macchinato cose vane? I re della terra si sono sollevati e i principi si sono radunati insieme contro il Signore e contro il suo Cristo". Poiché proprio contro il tuo santo Figlio Gesù, che tu hai unto, si sono radunati Erode e Ponzio Pilato con i gentili e il popolo d'Israele, per fare tutte le cose che la tua mano e il tuo consiglio avevano prestabilito che avvenissero.

Questo passaggio insegna chiaramente che il riferimento nel Salmo 2 è al Messia secondo la Sua natura umana. E’ nella Sua natura umana che il Figlio di Dio può essere chiamato il santo figlio Gesù. E’ secondo la Sua natura umana che i pagani, con Erode e Ponzio Pilato ed il popolo di Israele, e si sono sollevati contro di Lui.

Nella Sua natura umana il servo di Jehovah poteva chiedere al Signore, sulla base della promessa del vangelo datagli nel decreto, che i pagani Gli fossero dati come eredità e che le estreme parti della terra come possessione, e che le avrebbe governate con una verga di ferro e le avrebbe rotte in pezzi come un vaso di vasaio. Per questa ragione il sollevarsi dei pagani è vano, ed essi non possono realizzare niente se non quanto il consiglio di Jehovah ha determinato precedentemente che fosse fatto. Da tutto ciò è evidente che nel patto a cui Salmo 2 fa riferimento, il Figlio appare come il servo del Signore secondo la Sua natura umana e che il Salmo 2 non fa riferimento ad un patto della prima persona della Trinità con il Figlio di Dio.

 

Ebrei 1:1-6

Senza dubbio il patto di Dio con Cristo ha il suo sfondo eterno nella divinità del Figlio e nell’eterna generazione del Figlio dal Padre. La chiesa non ha commesso un errore quando nel Salmo 2 ha visto anche un’indicazione dell’eterna generazione del Figlio. L’eterna generazione è perfino il cuore di ciò che lì si dice. Che questo sia vero è chiaro da Ebrei 1:1-6:

Dio, dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, per mezzo del quale ha anche fatto l'universo. Egli, che è lo splendore della sua gloria e l'impronta della sua essenza e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver egli stesso compiuto l'espiazione dei nostri peccati, si è posto a sedere alla destra della Maestà nell'alto dei cieli, ed è diventato tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente del loro è il nome che egli ha ereditato. Infatti, a quale degli angeli disse mai: «Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato»? E di nuovo: «Io gli sarò Padre, ed egli mi sarà Figlio»? E ancora, quando introduce il Primogenito nel mondo, dice: «E lo adorino tutti gli angeli di Dio».

Queste parole non devono essere fraintese come un riferimento esclusivo al Figlio di Dio secondo la Sua natura divina. E’ evidente dal passaggio che non è questo il significato. E’ certamente non nella Sua natura divina ma umana che Cristo è fatto erede di tutte le cose, che Egli è assiso alla destra della Maestà nei cieli, e che ha ereditato un nome più eccellente degli angeli. Ciò è vero anche delle parole: "Tu sei mio Figlio, oggi io ti ho generato," come delle parole: "Io gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio."

Che le parole del Salmo 2 (come quelle di II Samuele 7:14 e Salmo 89:27-28) sono rivolte al Cristo in quanto servo del Signore nella Sua natura umana è evidente da una comparazione con Ebrei 5:5: "Così anche Cristo non ha glorificato se stesso per essere reso un sommo sacerdote, ma [lo ha glorificato] colui che gli ha detto: ‘Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato’." E’ evidente che il testo dal Salmo 2 è qui applicato al sacerdozio regale di Cristo.

Tuttavia, in Ebrei 1 tutta questa evidenza è addotta per mostrare che colui a cui tutto ciò è detto alla sua entrata nel mondo è essenzialmente l’eterno Figlio di Dio. Egli è l’unigenito, e per questa ragione diviene anche il primogenito. Mediante lui il mondo è fatto e sostenuto. Egli è lo splendore della gloria di Dio e l’espressa immagine della Sua sostanza. Egli sostiene tutte le cose mediante la parola della Sua potenza. La Sua eterna e divina figliolanza è il necessario background per tutto quanto Egli diviene nel tempo. Siccome Dio Gli dice eternamente: "Tu sei mio Figlio, oggi io Ti ho generato," e siccome all’interno dell’economia divina Egli dice questo come il Padre al Figlio, ciò quindi Gli può essere detto nel tempo in quanto il servo di Jehovah che è posto sopra la casa di Dio come re-sacerdote per sempre.

Per comprendere correttamente la parola di Salmo 2:7 possiamo pensare di tre cerchi concentrici, che hanno il loro centro nella persona del Figlio. Le parole: "Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato," si riferiscono al cerchio più interno, rappresentando l’eterna figliolanza della seconda persona della Trinità in relazione alla prima persona. Da eternità ad eternità il Padre genera il Figlio e dice al Figlio: "Tu sei mio Figlio," mentre il Figlio si rivolge così al Padre: "Tu sei mio Padre."

Questa stessa parola ha il suo secondo circolo nella santa figliolanza di Gesù che è portato nel mondo e a cui Dio dice: "Tu sei mio Figlio, in cui ho tutto il mio beneplacito." Questa è la figliolanza del decreto, realizzata nella natura umana di Cristo ed infine rivelata nella risurrezione e glorificazione del santo figlio Gesù alla destra della maestà nei cieli.

Infine, la parola di Salmo 2 si riferisce nel suo cerchio più ampio alla regalità tipica di Davide, che è unto come re teocratico sopra Sion, il monte della santità di Dio, e contro cui i pagani infuriano. Chi legge Salmo 2 in questa maniera dovrà ammettere che il patto, che non è menzionato in questo salmo, ma a cui tuttavia è fatto riferimento, è lo stesso patto menzionato in Salmo 89. Esso non è un patto tra il Padre ed il Figlio in quanto persone divine della Trinità, ma il patto che Dio rivela e stabilisce in Cristo col Suo popolo. Nel Salmo 2 il Figlio si trova nella natura umana davanti al volto del Dio triuno in quanto suo Padre.


Giovanni 6:38-39

Per provare un cosiddetto pactum salutis o patto di redenzione, si fa riferimento anche a passaggi della Sacra Scrittura dove il Salvatore parla di un compito che deve svolgere, di una missione che Gli è affidata, a passaggi che parlano di una redarguizione che riceve per la Sua opera, a passaggi della Scrittura dove Cristo si rivolge a Dio in quanto il Suo Dio, ed infine ai passaggi in cui il Signore appare in quanto il capo del patto.

E’ ben noto che il Signore parla frequentemente della Sua opera come di un compito affidatogli dal Padre. Tale è la ricorrente presentazione della Scrittura, come potremmo aspettarci. Chiamiamo attenzione a pochi passaggi per rendere chiaro cosa si intende. "Perché io sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà del Padre che mi ha mandato, che di tutto quello che mi ha dato non ne perda niente, ma lo risusciti nell’ultimo giorno" (Giovanni 6:38-39). Sulla base di questo e simili passaggi, si trae la conclusione che vi è un certo patto tra il Padre ed il Figlio, una relazione di mandante a mandato.

Così asserisce Bavinck:

Questa relazione tra Padre e Figlio, anche se appare chiarissimamente durante il soggiorno di Cristo sulla terra, tuttavia non è iniziata al momento dell’incarnazione, perché l’incarnazione stessa già appartiene all’esecuzione dell’opera affidata al Figlio. Ma ricade nell'eternità, ed è esistita già durante il tempo dell’Antico Testamento.23

Ora questa ultima affermazione è certamente vera. Dio conosce tutte le Sue opere dall’eternità. Per Lui la relazione in cui Cristo si trova come colui che è mandato dal Padre è un’eterna relazione. La questione, tuttavia, è se questa relazione di colui che è mandato a colui che lo ha mandato, la relazione in cui Cristo si trova a Dio durante il Suo soggiorno sulla terra, ci conduce ad un pactum salutis, un patto tra il Padre ed il Figlio o tra le tre persone della santa Trinità. E’ possibile concepire l’eterna relazione di patto tra il Padre ed il Figlio in un modo tale che la prima persona in questa relazione si trova nei confronti della seconda come colui che manda, e la seconda persona come colui che è mandato? La risposta a questa domanda deve essere certamente negativa, perché la relazione tra colui che manda e colui che è mandato è una relazione di autorità. Chi è mandato è completamente subordinato al suo mandante.

Che ciò sia applicabile alla relazione di Cristo a Dio, come indicato in Giovanni 6:38-39, è chiarissimo. Il Signore dice che non è venuto per fare la Sua propria volontà, ma la volontà di Colui che Lo ha mandato. Queste parole non implicano che vi un conflitto tra la volontà del Cristo e la volontà del Padre. Non può essere questo il significato. In quanto il servo del Signore, Egli ritiene il Suo cibo quello di fare la volontà del Padre. Ma queste parole non significano che il compito che Cristo è venuto a svolgere ha origine nella Sua propria volontà, ma soltanto nella volontà del Padre. La Sua opera è determinata non da Se Stesso, ma dal Padre.

Il Salvatore comprende la relazione di Se Stesso al Padre come una tra mandante e mandato. Se ciò è così, allora di sicuro questa relazione non può mai essere estesa nel consiglio di Dio. In quel consiglio Cristo sta come l’eterno Figlio, ed in quanto eterno Figlio Egli è co-eguale al Padre. Nell’eterno Dio non vi sono tre volontà, ma vi è una sola volontà. Il Padre vuole eternamente in quanto Padre, ed il Figlio in quanto Figlio, e lo Spirito Santo in quanto Spirito Santo, ma nella loro volontà Padre, Figlio e Spirito Santo sono tuttavia eternamente uno. In quanto Figlio, la seconda persona non è subordinata alla prima, ma eguale a Lui. In quanto Figlio nella natura divina, non può mai dire: "Non la mia volontà, ma la volontà del Padre io farò," perché la volontà del Padre è essenzialmente anche la Sua. Nella vita di patto della santa Trinità le tre persone sono essenzialmente co-eguali mediante distinzione personale. Quindi nel consiglio di Dio, il Figlio non si può trovare come colui che è mandato in relazione al Padre come colui che manda.

Il fatto è che nell’interpretazione di questi e simili passaggi non possiamo mai perdere di vista la distinzione tra la persona del Figlio nella natura divina e la persona del Figlio nella natura umana. Nella Sua natura umana il Figlio è subordinato a Dio in quanto Suo Padre. Nella natura divina Egli è co-eguale al Padre. Nella Sua natura umana Egli si trova in relazione a Dio come colui che è mandato a colui che lo manda. Nella Sua natura divina, insieme col Padre e lo Spirito Santo, Egli è il mandante, non il mandato. La Sua volontà umana è subordinata alla volontà del Padre. Ma nella Sua volontà divina Egli è uno col Padre e lo Spirito Santo. In Giovanni 6:38-39, il Salvatore non parla secondo la Sua natura divina, ma secondo la Sua natura umana. Egli parla lì come il servo del Signore, che non è venuto per fare la Sua propria volontà, ma la volontà di Colui che Lo ha mandato.

Il caso non è alterato dai fatti che il Suo compiere la volontà del Padre include l’incarnazione stessa e che Cristo anche sotto l’antica dispensazione era mediatore ed appare come mediatore. Significa semplicemente che questa relazione di mediatore, questa relazione di servo al suo Signore, questa relazione di colui che è mandato nei confronti del suo mandante, è determinata nell’eterno consiglio di Dio e che anche per quanto riguarda questo tutte le opere di Dio sono a Lui note dall’eternità (Atti 15:18). Se vi è un patto di pace tra le tre persone della divina Trinità, questo patto deve trovarsi dietro la relazione in cui Cristo si trova come colui che è mandato nei confronti del suo mandante. In che modo il Figlio, che è co-eguale al Padre, è posto nell’eternità in relazione a colui che è mandato ed in una relazione di servo di Jehovah al Dio triuno?


Giovanni 10:18

Questa relazione tra Dio Padre ed il Figlio nella natura umana è anche insegnata in Giovanni 10:18: "Nessuno la prende da me, ma la depongo da me stesso. Io ho potere di deporla ed ho potere di riprenderla. Questo comandamento ho ricevuto dal Padre mio." Il Salvatore qui parla del deporre la Sua vita e di riprenderla. Egli parla di un potere di fare così: "Io ho potere [exousiav] di deporla, ed ho potere [exousiav] di riprenderla." Questo potere [exousia] denota un’autorità che Egli ha come colui che è mandato dal Padre in una missione che ha ricevuto in quanto il servo di Jehovah. Ciò è anche chiaro dall’ultima parte del testo: "Questo comandamento ho ricevuto dal Padre mio."

Il Salvatore soltanto ha autorità di deporre la Sua vita e di riprenderla, a motivo di questo comandamento del Padre. Nessun uomo da sé stesso ha questo potere nel senso di autorità. L’uomo ha il potere nel senso di forza o abilità di deporre la sua vita, ma quando fa così commette suicidio, egli cerca di lasciare il posto nella vita in cui Dio lo ha stazionato, e la sua opera è un’opera di ribellione. Ma con Cristo è differente. Quando egli depone la Sua vita, Egli fa così con l’autorità del Padre, in completa armonia con la Sua volontà, come un atto di completa ubbidienza. Proprio come fu un atto di ubbidienza da parte Sua che nell’incarnazione Egli prese su di Sé la natura terrena ed umana, così è un atto di ubbidienza quando depone la Sua vita: Egli fa la volontà di Colui che Lo ha mandato.

Quando i Suoi nemici in apparenza Lo sopraffanno, legano, e conducono all’albero maledetto così che sembra che hanno portato via la Sua vita, deve essere chiaramente compreso che non è così, ma che anche allora Egli realizza un atto della Sua volontà e che volontariamente entra nella morte. Deve essere compreso che quando volontariamente entra nella morte e muore con un atto della Sua propria volontà, questo atto non è un’opera di ribellione, un atto di suicidio, così che Egli lascia la posizione in cui è posto dal Padre, ma è un atto di ubbidienza al Padre, con autorità sopra la Sua propria vita in cui Egli depone la Sua vita per le pecore. Per questa ragione Egli ha anche potere di riprenderla, che è il Suo comandamento da parte del Padre. Egli ha deposto la Sua vita terrena, non per rimanere per sempre separato dalla natura umana, ma per risuscitare quella vita nella natura umana alla gloria dello stato celeste. Quindi il riprendere la Sua vita è un atto di ubbidienza.

E’ chiaro da Giovanni 10:18 che la relazione descritta qui è una di Signore e servo, di padrone e soggetto, di chi manda a chi è mandato. E’ nella natura umana che il Figlio di Dio muore e nella stessa natura che Egli risuscita. Nella natura umana Egli ha questo potere, e nella natura umana Egli è ubbidiente al comandamento del Padre. Ciò non può far riferimento ad una relazione di patto tra il Padre ed il Figlio, perché in quanto Figlio di Dio Egli ha ogni potere in Se Stesso, e non può ricevere un comandamento dal Padre.


Giovanni 17:4

Il prossimo testo a cui ci rivolgiamo è Giovanni 17:4: "Io ti ho glorificato sulla terra, ho finito l’opera che tu mi hai dato da fare." Qui colui che sta parlando non è il Figlio nella Sua natura divina, ma Cristo in quanto il servo del Signore. In quanto il servo del Signore egli si rivolge al Dio triuno come Suo Padre. Questo è evidente dall’intero capitolo, che registra la preghiera sacerdotale di Cristo. E’ logico che non può essere la seconda persona della Trinità che invia questa preghiera alla prima persona, ma è Cristo, in quanto sommo sacerdote a capo del Suo popolo, che prega al Dio triuno. La persona del Figlio prega qui secondo la Sua natura umana.

Ciò è evidente anche dall’intera forma della preghiera sacerdotale. Quando Gesù prega: "Glorifica tuo figlio" (v. 1), non può far riferimento alla Sua natura divina, che non ha mai lasciato la Sua gloria e non può essere glorificata. Piuttosto, il Figlio prega per la Sua glorificazione nella natura umana. Quando Cristo dice che il Padre Gli ha dato potere su ogni carne (v. 2), è di nuovo evidente che Cristo non può mai parlare così secondo la Sua natura divina, ma che parla in quanto mediatore. Così è in tutta la preghiera sacerdotale. Quando il Salvatore dice: "Io ti ho glorificato sulla terra" (v. 4), è chiaro che il Cristo parla della glorificazione del Dio triuno, conoscere il quale è la vita eterna. Quando Egli continua e dice che Egli ha finito l’opera che il Padre Gli ha dato da compiere, è evidente che si trova davanti al volto del Padre nella relazione di servo del Signore con chi Lo ha mandato. Non è nella natura divina, ma in quella umana che Egli si rivolge così al Dio triuno.

Tutti questi e simili passaggi non ci dicono niente di un patto tra il Padre ed il Figlio o tra le tre persone della Trinità. Se un patto secondo la sua idea è un accordo, questi passaggi non parlano proprio di un patto. Essi menzionano solo una missione, un compito, un’opera che Dio ha assegnato a Cristo e che è realizzata da Cristo in tutta fedeltà.


Giovanni 17:24

Né è differente per quanto riguarda altri testi che menzionano una redarguizione che il Salvatore riceve per la Sua opera mediatoriale che richiede dal Padre. Alla fine della preghiera sacerdotale il Salvatore richiede: "Padre, io voglio che anche essi, che tu mi hai dato, siano con me dove io sono, che essi possano contemplare la mia gloria, che tu mi hai dato; perché tu mi hai amato prima della fondazione del mondo" (Giovanni 17:24). Anche qui non vi è niente che non sia applicabile al Figlio secondo la Sua natura umana. Già abbiamo indicato che queste parole appaiono in un contesto che non permette alcun’altra spiegazione che quella che interpreta questa intera preghiera come procedente dal Suo cuore di mediatore. Queste parole stesse non permettono alcun’altra interpretazione.

Quando il Salvatore parla del fatto che il Padre Gli diede il Suo popolo, Egli fa riferimento all’elezione eterna. L’elezione è un atto non soltanto del Padre in quanto la prima persona, ma anche del Figlio e dello Spirito Santo. Il Dio triuno diede gli eletti a Cristo. Quando è fatta menzione della gloria che il Padre ha dato a Cristo, allora non vi può essere più nessuna questione che ciò sia applicabile al Signore solo nella Sua natura umana. Non si tratta qui di una relazione tra il Padre ed il Figlio o di un patto tra le tre persone della santa Trinità. Il fatto che il Salvatore qui appare con una richiesta e dica: "Padre, io voglio," non altera affatto il caso. Quando Egli richiede la Sua redarguizione di mediatore, fa così in ubbidienza al Padre. Dal Padre Egli ha ricevuto potere di fare richieste. Dio Gli ha detto nel decreto: "Chiedimi" (Salmo 2:8). Cristo sa che è la volontà del Padre che coloro che il Padre Gli ha dato siano con Lui dove Egli è. Anche a questo riguardo Egli è ubbidiente alla volontà del Padre.


Filippesi 2:9-11

Né è diverso in Filippesi 2:9-11. Lì leggiamo le ben note parole concernenti la gloria del mediatore:

Perciò anche Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio delle creature (o cose) celesti, terrestri e sotterranee, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre.

L’intero contesto parla di Cristo in quanto mediatore secondo la Sua natura umana. Di Lui è detto che anche se è nella forma di Dio, secondo la Sua divina natura, Egli non ha mai concepito la ruberia di essere eguale a Dio.

Secondo la nostra convinzione, il verso 6 deve essere spiegato alla luce di questo. Gesù Cristo è eternamente "nella forma di Dio," secondo la Sua natura divina. Questo è vero non soltanto prima della Sua incarnazione, come è spiegato frequentemente, una spiegazione che introduce tempo nell’eternità e mutabilità nell’immutabile natura divina, ma anche quando Egli divenne carne. Durante il Suo soggiorno sulla terra, Egli è, secondo la Sua natura divina, nella forma di Dio.

Anche se nella forma di Dio, Egli non ha mai contemplato nella natura umana la ruberia di essere eguale a Dio. Questa era l’intenzione di Satana, e sorse anche nel cuore dell’uomo in paradiso, ma non così con il Cristo. Al contrario, quando Egli ha assunto la forma di un servo, ha svuotato Se Stesso secondo la Sua natura umana. Essendo fatto a somiglianza degli uomini ed essendo trovato nel sembiante come un uomo, in quella natura umana ha umiliato Se Stesso ed è divenuto ubbidiente fino alla morte, e alla morte della croce.

Per questa ubbidienza in quanto il Figlio nella Sua natura umana, Egli ha ricevuto una redarguizione. Secondo quella natura umana Egli riceve un nome che è al di sopra di ogni nome ed è esaltato a quella gloria in cui ogni ginocchio si piegherà dinanzi a Lui ed ogni lingua confesserà che Gesù Cristo è Signore alla gloria del Padre. In Filippesi 2, quindi, la questione non riguarda la relazione in cui il Figlio si trova nei confronti del Padre nell’essenza divina, ma la relazione in cui il mediatore si trova col Dio triuno. Di un accordo qui non vi è proprio menzione. In quanto il servo del Signore, Egli è ubbidiente alla morte, ed Egli riceve la redarguizione che Gli è promessa, il più alto posto nella creazione di Dio.


Altri Passaggi

Prova per il pactum salutis è tratta anche dal fatto che il Salvatore si rivolge a Dio come il Suo Dio, come nel Salmo 22:1: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?" E nel Salmo 40:7-8: "Allora io ho detto, Ecco, io vengo, nel volume del libro è scritto di me, io mi diletto nel fare la tua volontà, oh mio Dio, sì, la tua legge è nel mio cuore." Ma il fatto stesso che il Salvatore qui si rivolge al Dio triuno come Suo Dio esclude ogni possibilità di un patto tra le tre persone del Dio triuno. La seconda persona non si rivolge alla prima persona come "mio Dio."

Per quanto riguarda Salmo 22:1 è evidente che queste parole fanno riferimento alla croce di Cristo e che esse sono pronunciate dal Figlio non nella Sua natura divina, ma nella Sua natura umana. Per quanto riguarda il passaggio dal Salmo 40, è chiaro dal contesto e dall’intero salmo che si fa riferimento qui al servo del Signore nella Sua natura umana. Di Lui è detto che le Sue orecchie sono aperte. Di Lui è scritto nel volume del libro. Egli porta la legge di Dio nel Suo più profondo cuore. In quanto il servo del Signore, è Lui che si diletta nel fare la volontà di Dio. Egli si trova nel mezzo di una grande congregazione e dichiara la fedeltà di Dio e la Sua salvezza. Da quella congregazione Egli non ha nascosto la benignità e la verità dell’Altissimo.

Non vi è menzione di un accordo o della contrazione di un patto tra il Padre ed il Figlio nell’essenza divina. Anche se applichiamo queste parole all’eternità, dove indubbiamente hanno avuto la loro origine, non possono comunque far riferimento ad un patto tra il Padre ed il Figlio come un accordo tra due parti contraenti uguali, ma soltanto alla relazione del servo del Signore al Dio triuno.

Infine, prova per il pactum salutis è stata cercata in Romani 5:12-21 ed in I Corinzi 15:21. Tuttavia, questi passaggi possono essere applicati ad un cosiddetto pactum salutis o consiglio di pace tra le tre persone della santa Trinità ancora meno di quei passaggi che abbiamo già discusso. In questi passaggi è degno di nota che non vi è menzione affatto dello Spirito Santo. Inoltre, in questi testi non vi è riferimento al Figlio di Dio secondo la Sua natura divina, ma solo a Cristo in quanto il capo di patto nella Sua natura umana, come è evidente dalla comparazione fatta tra Adamo e Cristo. Anche a prescindere da questo, entrambi i passaggi esprimono letteralmente che essi trattano dell’uomo Cristo Gesù. In I Corinzi 15:21 tutta l’enfasi ricade sul termine uomo: "Perché come mediante un uomo venne la morte, mediante un uomo è venuta anche la risurrezione dei morti." In Romani 5:15 la stessa enfasi è posta sul termine uomo: "Ma non come l’offesa, così anche il libero dono. Perché se attraverso l’offesa di uno molti sono morti, molto più la grazia di Dio, ed il dono della grazia, che è mediante un uomo, Gesù Cristo, è abbondata a molti." Cristo non appare qui come una parte contraente eguale in un patto di redenzione o consiglio di pace, ma come il capo del patto e come il servo del Signore ordinato da Dio.


L’Idea Biblica del Pactum Salutis

Tutto quanto abbiamo detto sopra non significa che dobbiamo rigettare l’intera idea di un consiglio di pace o di un patto e di un decreto pattale delle tre persone della santa Trinità. Tuttavia, un tale patto non può essere dedotto dai passaggi della Scrittura che abbiamo appena discusso. E’ chiaro che coloro che vedono in questi passaggi un patto tra il Padre ed il Figlio falliscono nel fare una distinzione tra Cristo in quanto l’eterno Figlio nella Sua natura umana in quanto il servo del Signore, e lo Stesso Cristo in quanto l’eterno Figlio di Dio nella Sua natura divina. Si trae semplicemente una conclusione dalla relazione di Cristo al Dio triuno in quanto il servo del Signore all’eterna relazione economica tra il Padre ed il Figlio. Il risultato è che è formata una concezione errata a riguardo del consiglio di pace e che non vi è luogo nel pactum salutis per la terza persona della santa Trinità.

Finora abbiamo visto che generalmente l’idea del patto viene trovata in un certo accordo concluso volontariamente tra due o più parti contraenti. Kuyper trova la necessità per la conclusione di un tale patto nella circostanza che al di sopra del patto non vi è alcun potere superiore.

Egli scrive:

Da ciò chiunque può vedere che la conclusione di un patto è concepibile soltanto quando non c’è alcun potere superiore che può obbligare l’esecuzione della giustizia.

In questo caso si originerebbe, senza la conclusione di un patto, una completa assenza di ordine e sicurezza e di benessere sociale. Vi sarebbe soltanto un diritto, il diritto del più forte. Chiunque vivrebbe per la sua spada. Ruberia e omicidio diverrebbero generali.

Per impedire questo terribile male vengono conclusi dei mutui patti. Ciò implica che è introdotto un certo diritto stabilito, che è basato sull’onore della parola e la fedeltà del carattere dell’uomo, e così è che gli uomini trovano una via per creare riposo e sicurezza intorno a se stessi, quelli che sono ben intenzionati per un senso di dovere, altri che hanno propositi malvagi per un senso di necessità.

Ma appena giunge una fine a questa condizione di anomia, o appena un governo regolare è istituito, la legge del paese è valida, ed il trasgressore è punito, la conclusione di un patto non è più necessaria. Perché sarebbe necessario istituire una certa regola di giustizia quando vi è già un potere di giustizia al di sopra di noi che salvaguardia la nostra sicurezza?

Ciò che abbiamo postulato dall’inizio rimane vero, quindi: dovunque sui molti che convivono vi è ancora un altro potere, non vi è bisogno di un patto. Ma d’altro canto quando non vi è altro potere su di loro, la conclusione di un patto è necessaria. Ed un patto è la sola base sulla quale la società può agire, la forma di vita che deve necessariamente essere istituita.24

Da ciò Kuyper spiega la conclusione del patto tra le tre persone della santa Trinità:

E siccome il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo sono eguali l’uno all’altro, e siccome è inconcepibile che vi sia qualcuno al di sopra di questi tre, così ne segue che la sottostante relazione tra le tre persone nell’essere divino, deve basarsi sulla mutua comunicazione, il mutuo volere, l’egualità di essere, e deve prendere la forma ed il carattere di un patto.25

Dunque l’idea di un contratto volontario è applicata alla vita pattale nel Dio triuno.

Abbiamo visto inoltre che il patto quanto alla sua idea era considerato come un mezzo per un certo fine, una via per una certa destinazione, nel caso del patto di Dio con l’uomo come un mezzo per la salvezza degli eletti. Il patto stesso non è il fine, non è esso stesso il più alto stato di beatitudine. E’ la via lungo la quale la salvezza degli eletti è stabilita. Dunque il patto di redenzione o consiglio di pace è stato presentato come un accordo tra il Padre ed il Figlio o tra le tre persone nella santa Trinità per salvare gli eletti.

In stretta connessione a questa presentazione, è ragionevole che il pactum salutis è stato considerato come seguire logicamente il consiglio di predestinazione. Gli eletti sono già lì, secondo il consiglio di Dio. Il pactum salutis è l’accordo di redimere e salvare quegli eletti. Il consiglio di predestinazione, il decreto concernente la creazione e la caduta, sia che l’ordine in questi decreti è visto dal punto di vista infra- o supralapsariano, precede il patto di redenzione.

Infine, abbiamo visto che i testi su cui questa presentazione del pactum salutis è basata non sono applicabili ad un patto tra le tre persone della santa Trinità, ma si riferiscono, senza eccezione, ad un patto tra il Dio triuno ed il Suo servo, Cristo nella Sua natura umana, che si trova a capo degli eletti.


L’Idea del Patto

La presentazione del consiglio di pace o patto di redenzione deve essere cambiata quando l’idea del patto non è compresa come un contratto o accordo, ma è concepita come una vivente, spontanea relazione e comunione di amicizia che è data con la natura stessa e relazione tra Dio ed uomo nel patto. Il patto non è una relazione incidentale, ma appartiene all’essenza stessa della relazione nel patto.

In stretta connessione a questa presentazione dell’idea del patto, la concezione del patto di redenzione deve anche essere alterata in modo che questo patto non è concepito come un mezzo per un fine, come una via per la salvezza, ma come il fine stesso, come il più alto fine che possa mai essere raggiunto dalla creatura: non come una via per la vita, ma come la più alta forma di vita stessa; non come una condizione, ma come l’essenza stessa della religione, non come un mezzo per la salvezza, ma come la più alta beatitudine stessa. Quindi il consiglio di pace è presentato come il decreto che domina tutti gli altri decreti di Dio concernenti il fine ultimo di tutte le cose per come Dio l’ ha concepito nel Suo consiglio.

Invece di un decreto concernente i mezzi, il consiglio di pace è il decreto concernente il fine di tutte le cose. Invece di un luogo subordinato nell’ordine dei decreti di Dio, il posto principale in questo caso è dato al consiglio di pace negli eterni decreti di Dio. Quindi, la questione è se la Scrittura insegni che l’idea del patto è un accordo o una relazione vivente di amicizia, se il patto è presentato come un mezzo o come un fine, come la via o come l’essenza propria della religione e della salvezza.

In risposta a questa questione, è certamente richiesto che procediamo da quanto la Scrittura insegna concernente l’essere e la vita del Dio infinito Stesso. Dietro all’essere e al divenire, dietro tutte le relazioni e connessioni delle creature e di esse col creatore, si trova l’eterno decreto dell’Altissimo. Note a Dio sono tutte le Sue opere dall’eternità (Atti 15:18). Tutto ciò che esiste è e diviene soltanto conformemente alla Sua eterna volontà.

Ma il decreto non è la base ultima da essere considerata. Dietro al decreto si trova l’infinito, eternamente beato, ed autosufficiente Dio Stesso. Il decreto è il Dio che decreta. Proprio come la causa di tutte le cose sta nel decreto di Dio, così anche il motivo del decreto stesso deve essere trovato nell’essere e vita di Dio Stesso. Il decreto è il Suo beneplacito. Esso è perfettamente sovrano. Esso non è determinato né motivato da alcuna cosa al di fuori di Dio. Egli ha fatto tutte le cose per il Suo nome, anche l’empio per il giorno del male. Nessuno Gli ha mai dato consiglio o istruzione. Niente Lo ha mai limitato o determinato. Nel Suo eterno decreto Dio è perfettamente sovrano. Le ragioni e motivi per il Suo decreto devono sempre essere trovate in Se Stesso, e queste ragioni e motivi si concentrano sempre intorno al solo proposito di tutte le cose, ovvero la Sua auto rivelazione e auto glorificazione.

Ci è sempre richiesto di volgerci dalla cose create al decreto di Dio e che andiamo indietro dal decreto a cosa la Scrittura insegna a riguardo dell’eterno Dio Stesso, perché solo dal Suo essere può essere spiegato l’essere di tutte le cose, non nel senso panteistico, ma secondo il consiglio della Sua volontà. Dunque anche l’idea e l’essenza del patto deve essere spiegata dalla relazione tra le tre persone della santa Trinità.


Dio un Dio Pattale

Le Scritture insegnano molto chiaramente che Dio è in Se Stesso un Dio pattale. Egli è un Dio pattale non a motivo di alcuna relazione in cui si trova con la creatura. La creatura può partecipare alla e godere della Sua vita secondo la misura della creatura, ma non può arricchire quella vita. Essa è eternamente di Dio. E’ eternamente perfetta in Lui. Egli è il Dio pattale in Se Stesso. Egli è il Dio del patto, non secondo un decreto o secondo un accordo, ma secondo la Sua natura ed essenza divina stessa. Dio è davvero uno in essenza, ma non è solitario in Se Stesso.

Se potesse essere detto nient’altro se non che Dio è uno, Egli non sarebbe e non potrebbe essere il Dio vivente, Che è in Se Stesso l’eternamente beato. Un Dio che è solitario non conosce Se Stesso e non ama Se Stesso, non vive e non è beato, è una fredda e morta astrazione. Ma Dio è uno in essere e tre in persone: Padre, Figlio, e Spirito Santo. In quanto Dio triuno, Egli è il Dio vivente Che vive l’infinitamente perfetta vita pattale in Se Stesso.

Primo, l’idea della Trinità ci insegna non soltanto che le tre persone sono essenzialmente co-eguali, ma anche che sono essenzialmente uno. Non vi sono tre esseri perfettamente co-eguali. Ma Dio è uno. Egli è uno in essere e natura, uno in intelletto e volontà, uno in tutti i Suoi attributi e virtù essenziali, uno in perfezione infinita. Non vi sono in Dio tre esseri, nature, intelletti, volontà, sapienze, e poteri divini che sono perfettamente co-eguali, ma per il resto separate l’una dall’altra. Se fosse così, sarebbe concepibile che il patto potrebbe esistere in un accordo tra queste persone divine tre perfettamente eguali, distinte, che, secondo la presentazione di Kuyper, non hanno più alto potere al di sopra di sé e che per quella ragione determinano la loro mutua relazione l’una verso l’altra mediante un accordo volontario. Ma non è così. Padre, Figlio, e Spirito Santo sono essenzialmente co-eguali perché essi sono essenzialmente uno. Essi pensano, vogliono, si muovono, e vivono soltanto in ed attraverso l’una essenza divina, nell’una natura divina, da eternità ad eternità inseparabili ed indivisi.

Secondo, la verità della Trinità ci insegna che queste tre persone esistenti nell’una essenza divina sono tuttavia distinte personalmente in modo che ognuna d’esse sussiste nell’essere divino nella Sua maniera personalmente distinta. Mediante l’unità d’essenza vi è distinzione personale. Il Padre è eternamente Padre, mai Figlio o Spirito Santo. Il Figlio è eternamente Figlio, mai Padre e mai Spirito Santo. Lo Spirito è eternamente Spirito, mai Padre e mai Figlio.

Il Padre genera il Figlio eternamente; il Figlio è generato dal Padre eternamente, lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre. Il Padre è il Padre del Figlio e colui che spira lo Spirito del Padre. Il Figlio è il Figlio del Padre e colui che spira lo Spirito del Figlio. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Padre e del Figlio e investiga le profondità di Dio.

Il Padre è Dio in quanto Padre, Egli pensa e vuole, Egli vive ed ama come Padre. Il Figlio è Dio in quanto Figlio, Egli pensa e vuole, Egli vive ed ama in quanto Figlio. Lo Spirito Santo è Dio in quanto Spirito, Egli pensa e vuole, Egli vive ed ama in quanto Spirito. Vi è in Dio non soltanto unità di essenza, ma anche personale distinzione, in modo che le persone sono co-eguali e stanno in un’inseparabile relazione l’una all’altra mediante generazione e spirazione. La Trinità è una perfettà treità, una pienezza di perfetta vita divina.

Nelle tre persone Dio vive in modo perfetto. Egli è nelle tre persone il Dio perfettamente autosufficiente. Nessuna quarta persona è concepibile. Nessuna delle tre persone potrebbe mai mancare. Il Padre dà eternamente al Figlio di avere vita in Se Stesso, presenta quel Figlio a Se Stesso come l’espressa immagine della Sua sostanza e come l’effulgenza della Sua gloria. Il Figlio Si rivolge eternamente al Padre, è nel seno del Padre (Giovanni 1:18), ed è l’espressa immagine della piena gloria divina del Padre (Ebrei 1:3), il Figlio è l’eterna Parola. Lo Spirito procede eternamente dal Padre al Figlio e ritorna in quanto lo Spirito del Figlio al Padre. Il Padre conosce Se Stesso attraverso il Figlio nello Spirito. Il Figlio conosce il Padre attraverso Se Stesso nello Spirito. Lo Spirito conosce il Padre attraverso il Figlio in Se Stesso. Così vi è un’eterna corrente di amore-vita divina dal Padre, attraverso il Figlio, e nello Spirito Santo che ritorna al Padre. Vi sono tre che testimoniano in cielo, il Padre, il Figlio, e lo Spirito Santo, e questi tre sono uno (I Giovanni 5:7).

Questa vita divina trinitaria è la vita del patto, perché nell’eterna sfera dell’essenza divina, le tre persone della santa Trinità vivono in inseparabile, perfettissima, ed eternamente completa comunione l’una con l’altra. Essa è la vita dell’eterna e perfetta conoscenza, di un perfetto entrare l’uno nella vita dell’altro, di una perfetta comprensione l’uno dell’altro. Nell’economia divina non vi sono segreti. Il Padre non pensa o vuole mai ciò che il Figlio e lo Spirito Santo non pensino o vogliano. Essa è una vita del più perfetto amore in cui le tre persone della santa Trinità eternamente trovano l’una l’altra e sono eternamente unite nella più perfetta, divina armonia nel vincolo della perfetta unione. Non vi è mai separazione, mai disarmonia, nella vita divina di amicizia. Quindi Dio è in Se Stesso beatissimo, quindi Egli è in Se Stesso autosufficiente, Colui che non ha bisogno di essere servito dalle mani dell’uomo, al Quale nessuno può aggiungere alcuna cosa, e Che ha fatto tutte le cose per il Suo nome, quindi Egli è anche da eternità ad eternità il Dio pattale in Se Stesso, l’architetto di ogni vita pattale. La vita della divina Trinità è una vita di intimissima comunione di amicizia.


Il Patto tra Dio e l’Uomo

Tuttavia, appena presentiamo il patto in questo modo, se la vita del patto in Dio è una tale vita di perfettissima amicizia, di intimissima comunione, di profondissima conoscenza e affezionatissimo amore, allora ne segue che l’idea del patto non si può trovare in un accordo, o patto inteso in senso comune. L’idea di un accordo o la conclusione di un trattato non si confanno con la perfetta armonia e comunione di vita, con il perfetto, eterno conoscersi l’un l’altro, e con il perfettissimo amore ed unità. In una tale relazione ogni cosa è spirito e vita. L’idea del patto è data con la vita del Dio triuno in Se Stesso. Essa sorge in eterna spontaneità dall’essenza divina e realizza se stessa con perfetta coscienza divina nelle tre persone. Dio conosce e vuole Se Stesso, ama e cerca Se Stesso eternamente, e lo fa in quanto Dio pattale. Il patto è il vincolo di Dio con Se Stesso. Esso è l’eterna vita di perfetta luce.

Se ciò è così in Dio Stesso, deve essere anche applicabile all’idea del patto come una relazione tra Dio e l’uomo. Siccome tutte le cose sono da Dio, attraverso di lui, e per Lui, anche la relazione pattale non può mai essere alcun’altra cosa che una riflessione ectipica della vita pattale di Dio in Se Stesso. Se l’essenza del patto in Dio è la comunione di amicizia, ciò deve essere anche l’essenza del patto tra Dio e l’uomo. Se questa comunione di amicizia in Dio riposa sulla perfetta unità d’essenza mediante la distinzione personale, allora deve essere così anche col patto tra Dio e l’uomo: esso anche deve essere basato su una somiglianza creaturale dell’uomo a Dio mediante la distinzione personale. Se questa comunione di amicizia nella Trinità implica una perfetta conoscenza l’uno dell’altro, allora anche la vita pattale dell’uomo deve consistere di conoscenza e comunione: Dio rivela Se Stesso all’uomo, fa sì che egli Lo conosca, Gli rivela i Suoi segreti, Gli parla come un amico col suo amico, cammina con lui, mangia e beve con lui, e vive con lui sotto un solo tetto. Se la vita pattale in Dio consiste nell’unità delle tre persone della santa Trinità nel vincolo dell’amore perfetto, allora anche la relazione pattale tra Dio e l’uomo deve originarsi nel fatto che Dio apre il Suo cuore all’uomo.

Allora la vita del patto è la vita eterna stessa. "E questa è la vita eterna, che essi conoscano te il solo vero Dio, e Gesù Cristo, che tu hai mandato. Io in loro, e tu in me, così che essi siano resi perfetti in uno" (Giovanni 17:3, 23). Come la versificazione Olandese di Salmo 25:7 dice: "God’s verborgen vinden Zielen, daar Zijn vrees in woont; ‘t Heilegeheim wordt aan Zijn vrinden, Naar Zijn vreeverbond, getoond," di cui una parafrasi che rispetti la metrica originale sarebbe: "Sì, è il segreto di Jehovah con chi il nom Suo temerrà, coi Suoi amici in tener grazia il Suo patto Ei manterrà," ma che tradotto più letteralmente sarebbe: "Il segreto di Dio trova (luogo in) anime in cui abita il Suo timore; il Santo Segreto vien mostrato ai Suoi amici, nel Suo vincolo (che è il modo in cui l’olandese, più adeguatamente, denomina ciò che in italiano, meno adeguatamente, è denominato "patto") di timore." Quindi il patto è l’essenza stessa della religione, il più alto bene, il meglio che possa essere mai impartito all’uomo attraverso la grazia, la più alta beatitudine. L’idea del patto è certamente non quella di un patto comunemente inteso nel senso di accordo, sia che si concepisca tale accordo in senso unilaterale che bilaterale. Il patto è la relazione di intimissima comunione di amicizia, in cui Dio riflette la Sua propria vita pattale nella Sua relazione alla creatura, dà a quella creatura vita, e fa sì che essa gusti e riconosca il bene più alto e la sovrabbondante fonte di ogni bene.


Il Patto come Fine

Se possiamo così concepire l’essenza stessa del patto, allora esso non è una via per un certo fine, non è un mezzo per l’ottenimento di un certo proposito, e non è la maniera in cui siamo salvati. E’ esso stesso il più alto proposito, il fine, l’eterna beatitudine, a cui tutte le cose tendono e devono tendere. Allora il proposito di tutte le cose è sempre il patto di Dio. Allora il patto determina e domina l’intero consiglio di Dio, e l’intera storia si concentra intorno alla più alta realizzazione del patto di Dio.

Questo è il solo proposito nella creazione e ricreazione. Questo è il proposito del mondo, della croce e risurrezione, e dell’unione di tutte le cose in cielo e sulla terra in Immanuel, Dio con noi. Nel patto di Dio si trova il motivo della battaglia di tutte le epoche nel mondo. In quel patto è trovata la ragione per la consumazione di tutte le cose. L’idea del patto domina tutta l’esistenza, e tutta la vita, e tutte le relazioni delle creature a Dio, e delle creature mutuamente. Tanto domina tutte le cose l’idea del patto che non sarebbe impossibile scrivere una completa dogmatica dal punto di vista del patto. Non una via, non un mezzo, ma la finale destinazione e il proposito che tutto domina, è il patto di Dio.

Dovrebbe essere chiaro che questa concezione del patto deve alterare la comune presentazione del pactum salutis o consiglio di pace. Chi ha compreso una volta questa bellissima idea del patto, che domina tutto, o piuttosto è stato ispirato da questa idea del patto che scintilla di spirito e vita, di certo non può più essere attratto dall’arida, scolastica presentazione del patto di pace che presenta il Padre come concludente un accordo col Figlio, un patto in cui Padre e Figlio presentano mutuamente le loro richieste e condizioni, una presentazione in cui non vi è posto per lo Spirito Santo. Chi ha imparato una volta a comprendere la vivente idea del patto della Sacra Scrittura è spontaneamente convinto che la concezione usuale del pactum salutis o consiglio di pace è certamente un errore e non può essere applicata al vivente Dio pattale Stesso.

Ma più su questo tra poco. Prima di ciò, desideriamo mettere in evidenza che a prescindere dall’idea di patto per come l’abbiamo dedotta dalla vita del Dio triuno Stesso, la Scrittura dovunque presenta la stessa idea del patto tra Dio e l’uomo.


Il Significato della Parola Patto

La parola che la Scrittura usa per il patto è di poco aiuto per determinare l’idea scritturale del patto. La derivazione della parola veterotestamentaria berith è incerta. Alcuni pensano che derivi da un termine che significhi "tagliare." Secondo questa interpretazione, berith è connesso con il costume di tagliare animali sacrificali a metà e porli l’uno di fronte l’altro quando era concluso un patto così che le parti pattuenti potessero passarvi attraverso come un segno e pegno di fedeltà da parte di entrambe le parti contraenti. Quando il Signore concluse il Suo patto con Abraamo, secondo Genesi 15:9-17, Egli adattò Se Stesso a quell’uso.

Tuttavia, secondo questo passaggio in Genesi, il Signore soltanto passò attraverso i pezzi degli animali sacrificali. Abraamo no. Questo può solo significare che il Signore non concluse un contratto o patto con Abraamo, ma che semplicemente Egli lo stabilì. Dio stabilisce il Suo patto. Il patto è Suo. Mai l’uomo diviene una parte contraente nei confronti di Dio nel concludere un patto. Ciò è nella natura del caso. Come può la creatura mai essere una parte contraente nei confronti del creatore? Come può l’uomo, che non ha assolutamente niente da se stesso, che deve ricevere ogni cosa da Dio, mai apparire come una parte contraente in relazione all’Altissimo?

Secondo altri, il termine patto nel Antico Testamento significa "legame, vincolo" e deve essere derivato da una parola che vuol dire "legare, vincolare."26 Il fatto è che il termine patto che appare circa trecento volte nell’Antico Testamento, ha più di una volta il significato di "testamento," e nel greco è reso col termine diatheke, una parola che ha esattamente quel significato.27


Il Patto: Una Relazione di Amicizia

Per determinare l’idea del patto, è meglio notare quei passaggi della Scrittura che parlano della relazione tra Dio ed il Suo popolo pattale. Quando facciamo così, non vi può essere dubbio che l’enfasi non è sull’idea di un accordo o patto comunemente inteso, ma piuttosto su una relazione vivente di amicizia tra Dio e coloro che Egli ha scelto in Gesù Cristo loro Signore. In quella relazione Egli vive, come se fosse, allo stesso livello col Suo popolo, rivela Se Stesso a loro, fa sì che loro Lo conoscano, apre a loro il Suo cuore, parla con loro faccia a faccia, come un amico coi Suoi amici, impartisce loro i Suoi segreti, vive sotto un solo tetto con loro, mangia e beve con loro, e cammina con loro.

La relazione è tale che Dio li riceve nella Sua propria famiglia e che, secondo la misura della creatura, essi entrano nella vita di amicizia del Dio triuno e in quella relazione godono della beatitudine più alta possibile. Dio rimane sempre Dio e Signore, e l’uomo rimane creatura e servo. La distanza tra il creatore e la creatura, tra Dio ed uomo, non è rimossa. Tuttavia, in quanto Signore Dio nel patto, Egli è l’amico sovrano del Suo popolo, Che li benedice nel Suo favore, benedice coloro che li benedicono, maledice coloro che li maledicono, fa il Suo popolo erede di tutte le cose, li pone sopra le opere delle Sue mani, e li fa entrare nel Suo riposo e godere i piaceri che vi sono alla Sua destra. Colui che come servo entra nel patto di Dio è tuttavia amico di Dio, amico ubbidiente, che ha la legge di Dio nel suo cuore e si diletta nel fare la Sua volontà, di cantare le Sue lodi, di consacrare se stesso con corpo ed anima e tutte le cose al Dio vivente, e di governare solo nel Suo nome sopra tutte le opere delle Sue mani.

Che questa sia la relazione tra Dio ed il Suo popolo di patto è l’idea ricorrente della Parola di Dio. Era così per quanto riguarda la relazione in cui Adamo si trovava nei confronti di Dio in paradiso. Dio creò l’uomo a Sua immagine e somiglianza, ed in virtù di quella creazione l’uomo si trovava in relazione pattale con Dio. Il patto non era qualcosa di addizionale, ma era dato con la creazione stessa di Adamo ad immagine di Dio. E’ vero che in quella relazione Adamo era servo. Fu Dio a porlo nel giardino di Eden per coltivare e custodirlo. Egli impose anche su di lui il cosiddetto comando probatorio, e mediante esso Dio pose Adamo davanti all’antitesi e lo minacciò di morte nel caso avesse violato quel comando e avesse calpestato il patto di Dio. Anche se tutto questo è una manifestazione della relazione di patto, il patto stesso fu dato alla creazione di Adamo ad immagine di Dio. In quell’immagine Adamo possedeva la necessaria somiglianza creaturale che è la base di tutta la relazione pattale. A motivo di quella somiglianza egli era in grado di udire la parola di Dio non soltanto attraverso quanto Dio diceva nella creazione, ma anche attraverso quanto Dio gli diceva come un amico col suo amico.

In virtù di quell’immagine, egli era in grado di conoscere Dio e di entrare nei Suoi segreti, di gustare il Suo favore e di considerare quel favore come il bene più alto. Attraverso quell’immagine egli poteva conoscere la volontà del suo Dio e considerare l’osservanza dei Suoi comandamenti come il suo più alto bene. Attraverso quell’immagine egli poteva amare il Signore suo Dio con tutto il suo cuore, mente, anima e forza, e consacrare se stesso al Dio vivente con l’intera creazione sopra la quale aveva ricevuto dominio. Non soltanto era in grado di fare tutto questo in virtù del suo essere creato ad immagine di Dio, ma in quella relazione pattale egli funzionava già dal momento stesso della sua creazione. Il patto di Dio con Adamo, quindi, non era un accordo addizionale alla creazione, ma fu indubbiamente la vivente relazione di amicizia in cui il primo uomo si trovava nei confronti del suo Dio in virtù del suo essere creato ad immagine di Dio.

Quando Adamo violò il patto di Dio con una disubbidienza volontaria, e Dio mantenne il Suo patto in Cristo Gesù, l’idea del patto non mutò. Il patto rimase la vivente, eterna relazione di amicizia, che è possibile perché in Cristo il Suo popolo ridiviene conforme all'immagine di Dio. Dio mantiene il Suo patto nonostante il peccato, e perfino attraverso il peccato. Egli stabilisce il Suo patto in Cristo, ed in Lui quel patto non può mai essere distrutto o abolito. In Cristo Egli realizza il Suo patto nel più alto senso possibile nell’incarnata Parola.

La caduta di Adamo doveva servire a far spazio per Cristo e per il patto migliore, ma l’idea del patto non è cambiata. Dio è uno, ed il Suo patto è uno. Nella prima rivelazione di quel patto, Dio pose inimicizia tra la discendenza della donna e la discendenza del serpente. Parlando positivamente, quell’inimicizia, che fu stabilita da Dio Stesso, era amicizia con Dio. Qui, anche, dobbiamo notare che non vi è menzione di alcun contratto o accordo.

Il patto è di Dio. Egli lo stabilisce ed annuncia che Egli sarà eternamente fedele al Suo patto. Col porre inimicizia tra l’uomo e il serpente e la sua discendenza da parte di Dio, l’uomo è ricevuto di nuovo nel patto di Dio e diviene del partito del Dio vivente nel mezzo del mondo. Proprio come l’amicizia del mondo è inimicizia contro Dio, così anche l’inimicizia contro il serpente e la sua discendenza è amicizia con Dio.

Lo stesso pensiero ricorre ripetutamente nella Sacra Scrittura. Leggiamo che Enoc camminò con Dio (Genesi 5:22), che Noè camminò con Dio (Genesi 6:9), e che con Noè Dio stabilì il Suo patto (v. 18). Questo camminare con Dio non consisteva in una certa esperienza mistica ed inesprimibile, ma nella chiara coscienza del patto secondo la quale Enoc e Noè erano amici di Dio, Lo conoscevano, Lo servivano, osservavano i Suoi comandamenti, confessavano il Suo nome, e camminavano davanti a Lui in rettitudine nel mezzo di un mondo empio che apostatava dal Dio vivente.

Jehosafat chiamò Abrahamo l’amico di Dio. Quando a Jehosafat fu portata la notizia che un considerevole esercito di Moabiti ed Ammoniti stavano venendo contro di lui a far battaglia, egli stette nella casa del Signore davanti alla nuova corte e pregò:

O Signore, Dio dei nostri padri, non sei tu il DIO che è nel cielo? Sì, tu domini su tutti i regni delle nazioni; nelle tue mani sono la forza e la potenza e non c'è nessuno che ti possa resistere. Non sei stato tu, il nostro DIO, che ha scacciato gli abitanti di questo paese davanti al tuo popolo Israele e l'ha dato per sempre alla discendenza del tuo amico Abrahamo? (II Cronache 20:6-7).

Per quanto riguarda l’amicizia di Abrahamo con Dio, leggiamo anche in Isaia 41:8: "Ma tu, Israele, sei mio servo, Giacobbe che io ho scelto, la discendenza di Abrahamo l’amico mio." Ancora, in Giacomo 2:23: "E la scrittura fu adempiuta che dice, Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu imputato a giustizia, e fu chiamato l’amico di Dio."

Ad Abrahamo il Signore disse: "Ed io benedirò chi ti benedice, e maledirò chi ti maledice, ed in te tutte le famiglie della terra saranno benedette" (Genesi 12:3). Ad Abrahamo il Signore rivelò i pensieri segreti del Suo cuore:

E il Signore disse: «Celerò io ad Abrahamo quello che sto per fare, poiché Abrahamo deve diventare una nazione grande e potente e in lui saranno benedette tutte le nazioni della terra? Perché io lo conosco, così che ordinerà ai suoi figli e alla sua casa dopo di lui di seguire la via del Signore, mettendo in pratica la giustizia e l'equità, perché il Signore possa compiere per Abrahamo ciò che gli ha promesso» (Genesi 18:17-19).


Dio che Dimora col Suo Popolo

Inoltre, la relazione di Dio al Suo popolo di patto è di solito indicata con la parola dimorare. Dio dimora col e in mezzo al Suo popolo. Egli li rende la Sua dimora, ed essi dimorano con Lui. Questo denota comunione ed amicizia. Significa che Dio mangia e beve coi Suoi amici, vive in modo intimo con loro, non ha segreti che gli nasconde, e fa gustare loro il Suo amore e la beatitudine della Sua casa.

L’ombra di ciò si trovava nel tabernacolo e più tardi nel tempio. Così il Signore comandò enfaticamente: "E mi costruiscano un santuario, che io possa dimorare tra loro" (Esodo 25:8). Questa stessa idea si trova in Esodo 29:42-46:

Sarà un olocausto perpetuo per tutte le future generazioni, offerto all'ingresso della tenda di convegno, davanti al Signore, dove io vi incontrerò per parlarti. E là io mi incontrerò coi figli d'Israele; e la tenda sarà santificata dalla mia gloria. Così santificherò la tenda di convegno e l'altare; santificherò pure Aaronne e i suoi figli, perché mi servano come sacerdoti. Dimorerò in mezzo ai figli d'Israele e sarò il loro DIO. Ed essi conosceranno che io sono il Signore, il loro DIO, che li ho fatti uscire dal paese d'Egitto per dimorare tra di loro. Io sono il Signore, il loro DIO.

Questo dimorare di Dio nel mezzo del Suo popolo aveva la sua ombra non soltanto nel fatto che il Signore rappresentava Se Stesso nel luogo santissimo, ma anche nel fatto che Israele costruì il tabernacolo e più tardi il tempio stesso. Nel luogo santissimo il Signore dimorava tra i cherubini, ma nel luogo santo il popolo stesso dimorava simbolicamente. Lì vi era l’altare dell’incenso, il candelabro d’oro, e la tavola del pane della presentazione, che erano simboli del popolo di Dio sotto l’antica dispensazione. Anche se il tempio dell’antico patto certamente proclamava che la via nel santuario interno non era ancora aperta, era tuttavia una prefigurazione molto chiara dell’idea del patto, cioè che Dio dimora sotto un solo tetto col Suo popolo.

Di questo dimorare di Dio col Suo popolo la Scrittura parla ripetutamente: "Signore, chi dimorerà nel tuo tabernacolo? Chi dimorerà nel tuo santo monte? Colui che cammina rettamente, e opera rettitudine, e dice la verità nel suo cuore" (Salmo 15:1-2); "Beato è l’uomo che tu scegli, e fai avvicinare a te, che egli possa dimorare nelle tue corti; noi saremo soddisfatti con la bontà della tua casa, del tuo santo tempio" (Salmo 65:4). Quindi, Cristo è asceso in alto e ha condotto in cattività prigionieri e ricevuto doni per gli uomini: "Sì, per i ribelli anche, che il Signore possa dimorare tra loro" (Salmo 68:18).

Oh, quanto amabili sono le tue dimore, o Signore degli eserciti! L'anima mia anela e si strugge per i cortili del Signore; il mio cuore e la mia carne mandano grida di gioia al DIO vivente. Anche il passero trova una casa e la rondine un nido, dove posare i suoi piccoli presso i tuoi altari, o Signore degli eserciti, mio Re e mio DIO. Beati coloro che abitano nella tua casa e ti lodano del continuo (Salmo 84:1-4).


L’Adempimento del Patto in Cristo

Questo dimorare di Dio col Suo popolo è certamente adempiuto nell’incarnazione della Parola ed è realizzato ulteriormente attraverso la croce e la risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, attraverso il Suo entrare nel santuario interno di sopra, e attraverso lo spargimento dello Spirito Santo nella chiesa. In Cristo il patto di Dio è realizzato centralmente: "E la Parola fu fatta carne, e ha dimorato tra noi (e noi abbiamo contemplato la sua gloria, la gloria come dell’unigenito del Padre) piena di grazia e verità" (Giovanni 1:14). In Cristo il patto di amicizia che Dio stabilisce col Suo popolo è eternamente fissato, perché Egli è Immanuele, Dio con noi, Che nella Sua persona unisce la natura divina con noi ed in Cui dimora tutta la pienezza di Dio corporalmente.

Per questa ragione Egli è centralmente il servo del Signore Che è posto al di sopra di tutta la casa di Dio. Nel Suo sangue il patto di Dio è fondato su giustizia e verità, e quindi quel sangue è il sangue del nuovo patto. Nella Sua risurrezione il patto di Dio è glorificato e risuscitato all’altezza di gloria che non fu mai conosciuta prima. Perché "il primo uomo è della terra, terrestre, il secondo uomo è il Signore dal cielo. Come è il terrestre, tali sono anche quelli che sono terrestri, e come è il celeste, tali sono anche quelli che sono celesti. E come abbiamo portato l’immagine del terrestre, porteremo l’immagine del celeste" (I Corinzi 15:47-49). Quando Cristo è esaltato nei cieli altissimi ed ha ricevuto la promessa dello Spirito Santo, Egli ritorna ai Suoi e dimora col Suo Spirito nella Sua chiesa.


Il Patto e la Chiesa

La chiesa è divenuta il tempio del Dio vivente. Il velo è rotto, la via nel santuario interno è stata aperta, e la chiesa entra nella più intima amicizia con il Dio vivente. La preghiera sacerdotale di Cristo è adempiuta:

Affinché siano tutti uno, come tu, o Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno. Io sono in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell'unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato e li hai amati, come hai amato me (Giovanni 17:21-23).

Questo dimorare di Dio col Suo popolo è simbolizzato nella cena del Signore, perché non vi può essere dubbio che la cena del Signore certamente consiste nel loro sedere alla tavola del Signore e nel dimorare nella Sua casa, nel mangiare e bere col Dio della loro salvezza. Attraverso la comunione col Suo corpo e sangue, il popolo di Dio entra nel patto di amicizia.

Per questa ragione alla chiesa è comandato:

Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo diverso, perché quale relazione c'è tra la giustizia e l'iniquità? E quale comunione c'è tra la luce e le tenebre? E quale armonia c'è fra Cristo e Belial? O che parte ha il fedele con l'infedele? E quale accordo c'è tra il tempio di Dio e gli idoli? Poiché voi siete il tempio del Dio vivente, come Dio disse: «Io abiterò in mezzo a loro, e camminerò fra loro; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo». Perciò «uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d'immondo, ed io vi accoglierò, e sarò come un padre per voi, e voi sarete per me come figli e figlie, dice il Signore Onnipotente» (II Corinzi 6:14-18).

Quindi, Cristo sta sempre alla porta della chiesa per invitare la vera chiesa ad aprirgli la porta e a separarsi dalla falsa chiesa: "Ecco, io sto alla porta, e busso, se qualcuno ode la mia voce, ed apre la porta, io entrerò a lui, e cenerò con lui, e lui con me" (Apocalisse 3:20).


La Realizzazione Finale del Patto

In questo mondo questa relazione pattale, anche se in principio è perfetta, è in realtà ancora molto imperfetta. Essa assume la forma di una battaglia. Nel patto la chiesa è del partito del Dio vivente e attraverso la grazia di Dio combatte le sue battaglie. Quindi ella deve indossare l’intera armatura di Dio e vegliare in preghiera così che possa resistere e rimanere fino alla fine (Efesini 6:13; I Pietro 4:7). E’ dato a lei, per grazia, nella causa di Cristo, non soltanto di credere in Lui, ma anche di soffrire con Lui. Tuttavia, in tutto questo ella è più che vincitrice attraverso Colui che la ha amata, perché mai può alcuna cosa separarla dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù il suo Signore (Romani 8:37-39).

A breve, le sarà concessa la completa vittoria. Nella casa di suo Padre vi sono molte dimore, e Cristo è entrato per prepararle un posto. Quando le ha preparato un luogo, ritornerà così che ella possa essere dove è Lui (Giovanni 14:1-3). A breve, i nuovi cieli e la prima terra saranno passati via, ed il mare non vi sarà più, ed allora la santa città, la Nuova Gerusalemme, discenderà da Dio dal cielo, preparata come una sposa per suo marito, ed allora sarà udita la parola della realizzazione finale del patto di Dio:

Ecco, il tabernacolo di Dio è con gli uomini, ed egli dimorerà con loro, e saranno il Suo popolo, e Dio stesso sarà con loro, e sarà il loro Dio. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, e non vi sarà più morte, né tristezza, né pianto, né vi sarà mai più alcun dolore, perché le cose di prima sono passate via (Apocalisse 21:1-4).

Da tutto questo è perfettamente evidente che il più profondo pensiero della Scrittura non è che il patto di Dio è un certo accordo tra due parti contraenti, ma che il patto è nel senso più pieno di Dio soltanto. E’ anche chiaro che l’idea e l’essenza stessa del patto non si trovano in un certo accordo o patto comunemente inteso, ma nella vivente ed intimissima comunione di amicizia, nel nostro essere ricevuti nella vita di amicizia che è in Dio Stesso, la vita che Egli in quanto il Triuno vive eternamente in Se Stesso. Di quella vita di patto di Dio, il Suo patto con noi in Cristo è la più alta e più bella manifestazione, nella rivelazione di quella vita pattale di Dio, il Suo patto con noi ha allo stesso tempo il suo più alto proposito, perché da lui, attraverso di Lui, e per Lui sono tutte le cose, così che Sua possa essere la gloria in sempiterno.

E’ allora evidente che il patto di Dio non può essere presentato come una mera via di salvezza o come una via per la vita, ma come la più alta forma di vita e beatitudine possibile stessa. Per questa ragione il patto di Dio è un patto eterno. Se vogliamo parlare di un pactum salutis o consiglio di pace, è certamente necessario che noi non perdiamo di vista questa idea essenziale del patto. Nel patto di redenzione o consiglio di pace, il patto non può essere presentato come qualcosa di incidentale, ma come il più alto proposito della rivelazione di Dio intorno alla quale tutte le cose nel consiglio di Dio si concentrano e verso la quale esse tutte sono adattate.


La Corretta Concezione del Pactum Salutis

Come, allora, dobbiamo concepire ciò che di solito è chiamato il pactum salutis, che io preferisco chiamare il consiglio di pace? E’ divenuto chiaro che questo consiglio di pace non può essere lo stesso che la vita pattale di Dio Stesso. La vita pattale di Dio è certamente la base per il consiglio di pace, ma non è il consiglio di pace stesso. L’essere di Dio ed il Suo consiglio devono essere distinti. L’essere di Dio è ciò che Egli è in Se Stesso. Il consiglio di Dio rappresenta ciò che, con assoluta libertà e sovranità, Egli determina e vuole. Di sicuro il Suo consiglio è sempre in armonia col Suo essere, ma non può essere derivato, senza nient’altro, dall’essere di Dio in modo immediato. Il consiglio di Dio è il Suo libero e sovrano decreto. Se, quindi, possiamo parlare di un consiglio di pace, questo consiglio non può essere identificato con la vita pattale nel Dio trino stesso.

Né (come abbiamo mostrato) questo consiglio può essere identificato con il patto per come Dio lo stabilisce con il Suo servo e con la chiesa eletta in Cristo Gesù nostro Signore. Questo è quanto è di solito designato come "patto di grazia," ma deve essere distinto dal consiglio di pace. Il patto di grazia non è il consiglio di pace stesso, ma piuttosto la rivelazione e realizzazione d’esso. Nel patto di grazia, Cristo compare come uomo nella Sua natura umana, e in quanto uomo non può avere alcuna partecipazione nel decreto del Dio triuno. Quindi, se menzione può esser fatta di un consiglio di pace, allora questo consiglio di pace deve stare tra la vita triuna di Dio, che è la base di ogni relazione pattale con gli uomini, e il patto stabilito con Cristo e i Suoi come gli amici-servi di Dio. In altre parole, il consiglio di pace deve essere il decreto concernente il patto.

Tenendo a mente questo e ricordando allo stesso tempo che il patto non può essere concepito in un senso infralapsariano, come un mezzo per un fine, ma che è esso stesso il proposito ed il fine di tutte le cose nelle opere di Dio al di fuori di Se Stesso, noi definiamo il consiglio di pace come l’eterno decreto di Dio di rivelare la Sua vita pattale triuna nel senso più alto possibile nello stabilimento e realizzazione di un patto al di fuori di Se Stesso con la creatura nella via del peccato e della grazia, della morte e redenzione, alla gloria del Suo santo nome.

In altre parole, il consiglio di pace, che possiamo anche semplicemente chiamare il consiglio del patto, è l’eterna volontà o l’eterno decreto di Dio di rivelare Se Stesso come il Dio che vive in Se Stesso una perfetta vita pattale di amicizia, facendo questo col ricevere un popolo nella sua comunione pattale e rendendoli partecipi in un modo creaturale e secondo la misura della creatura della Sua propria vita pattale, e così di far gustare loro che il Signore è buono. Questo è l’elemento che tutto domina nell’eterno beneplacito di Dio, al quale tutti gli altri elementi devono essere resi susservienti.


Il Consiglio di Pace ed i Decreti di Dio

Alla luce di questa presentazione, sarà chiaro che il consiglio di predestinazione segue logicamente il consiglio di pace o consiglio del patto. Il consiglio di predestinazione serve il consiglio del patto, proprio come il consiglio di provvidenza serve il consiglio di predestinazione. Di solito la presentazione è differente. Quando si considera l’idea del patto come un accordo di redimere alcuni, e quindi come una via per la salvezza, segue che il consiglio di pace riceve un posto subordinato nei decreti di Dio. Allora il consiglio di pace serve l’elezione, ed ogni cosa nei decreti di Dio è voltata al contrario. Il consiglio concernente la creazione, il permettere la caduta nel decreto, e la predestinazione, con elezione e riprovazione, tutti precedono il consiglio di pace. Il consiglio di pace non è nient’altro che l’accordo tra le tre persone della santa Trinità di salvare gli eletti, ed il cosiddetto pactum salutis non è nient’altro che un mezzo per la salvezza degli eletti, una via in cui la salvezza è realizzata.

Secondo la nostra presentazione, in cui l’idea del patto occupa un posto che domina tutto, le relazioni sono differenti. Dio vive una perfetta vita pattale in Se Stesso in quanto Dio triuno. Egli decreta eternamente di glorificare Se Stesso e quindi di rivelare Se Stesso in quanto il Dio del patto. Egli determina di impartire la Sua propria vita pattale, e così di farsi conoscere nella gloria e beatitudine di quella vita pattale, al di fuori di Se Stesso. Per fare questo il Dio triuno ordina il Figlio perché diventi mediatore. Attraverso di lui il patto di Dio sarà rivelato al di fuori di Se Stesso (ad extra), ed in Lui la vita di patto di Dio dimorerà centralmente. Il Dio triuno nel decreto del patto ha dato il regno al Suo amato Figlio,

In cui abbiamo la redenzione per mezzo del suo sangue e il perdono dei peccati. Egli è l'immagine dell'invisibile Dio, il primogenito di ogni creatura, poiché in lui sono state create tutte le cose, quelle che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, le cose visibili e quelle invisibili: troni, signorie, principati e potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli stesso è il capo del corpo, cioè della chiesa; egli è il principio, il primogenito dai morti, affinché abbia il primato in ogni cosa, perché è piaciuto al Padre di far abitare in lui tutta la pienezza, e, avendo fatta la pace per mezzo del sangue della sua croce, di riconciliare a sé, per mezzo di lui, tutte le cose, tanto quelle che sono sulla terra come quelle che sono nei cieli (Colossesi 1:14-20).

Non possiamo entrare in una spiegazione dettagliata di questo esaltato passaggio, in cui abbiamo un panorama della grande opera di Dio per come l’ha concepita e voluta nel Suo eterno beneplacito, per come la realizza nel tempo nella creazione e ricreazione, e per come Egli la presenterà nei nuovi cieli e nuova terra, in cui dimorerà la giustizia. Ma è necessario chiamare l’attenzione ad alcuni dei suoi elementi principali.

Primo, dovrebbe essere molto chiaro che in questo passaggio l’opera di Dio nella creazione e rigenerazione o ricreazione è veduta dal punto di vista dell’eterno beneplacito di Dio. L’opera di Dio è presentata qui dal punto di vista del Suo eterno beneplacito per come la vedremo soltanto quando la Sua opera è adempiuta alla fine. E’ chiaro che nel tempo non Cristo ma Adamo è il primogenito di ogni creatura. Ma è l’eterno beneplacito del Padre che in Cristo (non in Adamo) dimorerà tutta la pienezza.

Secondo, è chiaro che in questo passaggio è fatta menzione non del Figlio in quanto seconda persona nella Trinità, ma del Figlio come mediatore del patto di Dio, perché del Figlio secondo la Sua natura divina non può essere detto che è il primogenito di ogni creatura. Questa espressione deve certamente essere spiegata alla luce della simile espressione al verso 18, "il primogenito dai morti." In altre parole, proprio come l’espressione "il primogenito dai morti" Gli dà un luogo coi morti, così l’espressione "il primogenito di ogni creatura," Gli assegna un posto con le creature. Non è appropriato dire del Figlio nella Sua natura divina che Egli è il primogenito di ogni creatura. Secondo la Sua natura divina Egli non è il primogenito, ma l’unigenito. In quanto Figlio Egli non appartiene alle creature, ma Egli è "l’interamente altro." In quanto Figlio Egli non è nel tempo, ma Egli è l’eterno.

Anche dal resto di questo passaggio, è evidente che la Scrittura non parla qui del Figlio nella natura divina, ma del Cristo o del Figlio per come è stato ordinato nell’eterno beneplacito del Dio triuno per divenire mediatore. In Lui noi abbiamo la redenzione attraverso il Suo sangue, il perdono dei peccati. Egli è il capo del corpo, cioè, della chiesa, il principio, il primogenito dai morti. Attraverso il sangue della Sua croce Dio ha fatto la pace e riconciliato tutte le cose a Se Stesso, sia quelle che sono in cielo che quelle che sono in terra. Non vi può essere dubbio, allora, che il passaggio parli del Figlio per come è stato ordinato nel decreto del Dio triuno per essere Signore e Cristo.

Terzo, è evidente che questa ordinazione del Figlio attraverso il Dio triuno è prima nei decreti di Dio concernenti tutte le Sue opere al di fuori di Se Stesso (ad extra) e segue in ordine logico immediatamente il consiglio del patto, l’eterno decreto di Dio di rivelare Se Stesso in tutta la gloria della Sua vita pattale. Questa soltanto può essere la spiegazione appropriata di Colossesi 1:14-20. E’ l’eterno beneplacito del Padre che in Cristo dimorasse tutta la pienezza, che attraverso di Lui tutta la gloria della vita pattale radiasse al di fuori di Dio, perché Cristo è il principio, e in quanto il principio Egli è il primogenito dai morti.

Ciò suona strano davvero quando cerchiamo di spiegare queste parole dal punto di vista della storia. Da un punto di vista storico, non la morte e la risurrezione dai morti sono il principio, ma la creazione lo è. Tuttavia, Colossesi 1 non parla della storia ma del beneplacito del Padre, cioè, del Dio triuno. In quel beneplacito del Padre, quello che è la fine nella storia è il principio nel decreto. Quel fine non è la creazione, ma la ricreazione. Non è Adamo ma Cristo. Tutte le cose in cielo ed in terra, unite in Cristo e riconciliate a Dio: questo è il fine! Di quel fine Cristo in quanto il primogenito dai morti è esattamente il principio nel consiglio di Dio. Questo fine è primo nel beneplacito di Dio. Il Figlio è ordinato come il primogenito dai morti così che in Lui dimorasse tutta la pienezza. Così nel consiglio di Dio e in quanto il primogenito dai morti, il Figlio è anche il primogenito di ogni creatura. Egli è prima di Adamo, non solo in ordine di tempo, ma anche in senso logico. Nel consiglio di Dio tutte le creature seguono Colui che è risuscitato dai morti, il principio.

Il principio nel primogenito dai morti non è un’opera di riparazione del principio in Adamo. Piuttosto, Adamo era ordinato in tal modo nel consiglio di Dio che tutte le cose erano adattate a colui che è il primogenito dai morti. Intorno a Lui in Cui, secondo il beneplacito del Padre, tutte le cose devono essere unite, in Cui anche la pienezza della Deità avrebbe dimorato corporalmente, ogni cosa è concentrata per la realizzazione del patto di Dio. Non la creazione, non la caduta, non la chiesa, non la predestinazione degli eletti, nemmeno l’incarnazione, non la croce, sono prime nel beneplacito di Dio. Ma il primogenito dai morti, il Cristo glorificato, è primo. Egli è il primogenito di ogni creatura, il principio.

Forse potete chiamare questo "supralapsarismo." Non lo nego. Potete obiettare, forse, che le nostre confessioni sono infralapsariane. Ancora, lo ammetto. Ma aggiungerò immediatamente che anche se la concezione supralapsariana non fu adottata nelle confessioni, non fu nemmeno condannata. Ognuno dovrà ammettere che la presentazione offerta sopra è certamente fondata sulla Sacra Scrittura. Chi pensa che questo non è vero dovrebbe provare a dare una spiegazione differente di Colossesi 1:14-20 rispetto a quella presentata sopra.

Questo non è il solo passaggio della Scrittura che dovremmo essere in grado di addurre come prova per la correttezza scritturale della nostra concezione. Efesini 1:1-12, per esempio, offre basilarmente lo stesso pensiero di Colossesi 1:14-20. Anche in questo passaggio ogni cosa si concentra intorno al mistero della volontà di Dio che ci aveva resa nota, secondo la quale nella dispensazione della pienezza del tempo Egli vuole radunare insieme sotto un solo capo tutte le cose in Cristo, sia quelle che sono in cielo che quelle che sono sulla terra. Soltanto in questa maniera noi, che siamo stati predestinati prima della fondazione del mondo, abbiamo ottenuto un’eredità alla lode della Sua gloria.

Cristo è il principio. In Lui ed attraverso di Lui Dio realizza il Suo patto. La pienezza di Dio in Cristo, deve, tuttavia, radiare mille volte tanto: la vita di patto di Dio in tutta la sua pienezza per come è in Cristo Gesù deve scintillare e divenir manifesta in ed attraverso i cuori di una moltitudine innumerevole come le stelle del cielo e come la sabbia presso la riva del mare. L’unità della pienezza di Dio in Cristo può giungere a manifestazione nel suo più alto senso possibile soltanto nella varietà e differenziazione dei molti. Quindi nel decreto di Dio riguardante il patto e dopo la Sua elezione del Cristo, l’elezione della chiesa segue immediatamente.


Il Patto e la Predestinazione

La riprovazione è immediatamente connessa all’elezione ma non può essere posta al suo pari. La riprovazione segue l’elezione, e la riprovazione serve l’elezione. La riprovazione ha il suo motivo nella divina volontà di realizzare il patto nell’antitetica via del peccato e della grazia. La pienezza della Deità dimora nel Cristo risuscitato. Dalla profondità della miseria e della morte, Cristo entra nella gloria della piena vita pattale di Dio. La chiesa deve seguire questa via dalla sofferenza alla gloria, dal peccato alla giustizia del regno dei cieli, dalla morte nella vita. Mentre la chiesa segue questa via, il guscio reprobo dell’organismo umano serve la chiesa in Cristo. Nel guscio della riprovazione il nucleo eletto diviene maturo. Per questa ragione la riprovazione non può esser posta sulla stessa linea dell’elezione.28

L’elezione è la divina preordinazione della sola chiesa, con i suoi milioni di eletti, alla salvezza della vita del patto di Dio in Cristo. La chiesa serve Cristo. La chiesa eletta è data a Cristo come il Suo corpo. Ella deve servire a manifestare e radiare in mille modi la gloria che è in Cristo Gesù, che è la gloria di Dio. Per quella ragione gli eletti sono coloro che sono dati dal Padre a Cristo. Coloro che sono dati formano un’unità. Tutto quello (al singolare) che il Padre mi dà verrà a me, e coloro (al plurale) che vengono a me non li caccerò affatto via (Giovanni 6:37).

Questo è l’insegnamento della Scrittura. Contro questa presentazione è stato obiettato che la parola elezione è una traduzione del greco eklèghein, che in realtà significa "scegliere da." Da ciò si argomenta che se è possibile parlare di elezione o scegliere da, allora la moltitudine da cui la scelta è fatta deve essere presupposta esistere. Applicato all’eterna elezione, ciò significherebbe che nel decreto di Dio la moltitudine di uomini dai quali Dio elegge il Suo popolo deve precedere l’elezione stessa. Si conclude che nel consiglio di Dio il decreto di creazione e la permessa della caduta devono certamente precedere il decreto di predestinazione. Quindi Dio ha scelto da una moltitudine di uomini caduti.

Dietro questa presentazione indubbiamente c’è la buona intenzione di non rendere Dio l’autore del peccato. Possiamo osservare, primo, che deve essere certamente lontano da noi il rendere Dio l’autore del peccato. E’, tuttavia, una questione del tutto differente se Dio debba essere presentato o meno come la causa decretante del fatto della caduta e del fatto del peccato. Se non desideriamo detronizzare Dio e presentare Dio ed il peccato come un dualismo, dobbiamo certamente sostenere che Dio è la causa decretante del fatto del peccato.

Secondo, l’infralapsariano, nonostante tutte le sue buone intenzioni, non risolve in ultima analisi il problema del peccato in relazione a Dio più di quanto faccia il supralapsariano. Anche l’infralapsariano dovrà dare al peccato un luogo nel decreto di Dio.

Per quanto riguarda il ragionamento dalla parola eklèghein (eleggere), possiamo dire che riposa su un fraintendimento. Questo fraintendimento è che uno applica a Dio ciò che è applicabile soltanto agli uomini. Quando gli uomini eleggono, niente giunge all’esistenza con questo. Gli uomini possono soltanto fare distinzione e separazione. Quindi quando essi scelgono ciò da cui è fatta la scelta esso deve prima esistere. Ma con Dio è esattamente l’opposto. Con Lui l’elezione è causale, creativa, divina.

Questa distinzione è la stessa di quella tra la parola divina e la parola umana. La parola di Dio è creativa. Quella parola è prima. La cosa che giunge all’esistenza attraverso la parola segue. La parola dell’uomo può soltanto essere un’imitazione della parola di Dio. Prima che l’uomo possa mai parlare, la cosa creata deve prima essere giunta all’esistenza mediante la parola di Dio. Lo stesso è vero dell’elezione. Quando Dio nel Suo decreto sceglie da, allora attraverso quel decreto la differenziazione o la moltitudine differenziata giunge all’esistenza. In altre parole, l’elezione di Dio è prima di tutto preordinata alla salvezza e alla gloria della vita pattale in Cristo.

Così è nella Scrittura. In un’altra connessione abbiamo già evidenziato il fatto che la Scrittura parla di un’elezione prima della fondazione del mondo: "egli ci ha scelti in lui prima della fondazione del mondo" (Efesini 1:4). Ciò non significa che questo "prima della fondazione del mondo" è semplicemente prima del mondo o prima della fondazione del mondo nel tempo. L’eternità, in cui si trova il decreto di Dio, non precede il tempo, ma è di molto al di sopra del tempo, essa non è tempo.

Inoltre, la Scrittura spesso parla del fatto che Dio conosce il Suo popolo:

Poiché quelli che egli ha preconosciuti, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del suo Figlio affinché egli sia il primogenito fra molti fratelli. E quelli che ha predestinati, li ha pure chiamati, quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati e quelli che ha giustificati, li ha pure glorificati (Romani 8:29-30).

In I Pietro 1:2 leggiamo: "Eletti secondo la preconoscenza di Dio il Padre, attraverso la santificazione dello Spirito, all’ubbidienza ed aspersione del sangue di Gesù Cristo."

Questa preconoscenza di Dio non può essere spiegata in un modo umano, come vuole spiegarla l’Arminiano. Allora abbiamo l’idea di una prescienza di Dio, di un vedere dall’eternità chi crederà e chi non crederà in Cristo e persevererà fino alla fine, e di un’elezione fondata su questa prescienza. Secondo una tale presentazione, ciò che è applicabile solo alla conoscenza umana è applicato a Dio. Piuttosto, questa preconoscenza di Dio è un conoscere d’amore creativo, mediante il quale l’oggetto stesso viene a trovarsi davanti a Dio. Solo in questa luce possiamo comprendere un passaggio come Isaia 43:4: "Siccome tu eri prezioso ai miei occhi, sei stato onorevole, ed io ti ho amato, quindi darò uomini per te, e popoli per la tua vita." Nella stessa luce dobbiamo vedere Isaia 49:16: "Ecco, io ti ho scolpito sulle palme delle mie mani, le tue mura sono del continuo davanti a me."

Questa, allora, è la conclusione della materia riguardante il patto di Dio: Dio vuole rivelare la Sua gloriosa vita pattale a noi; in quanto Dio triuno Egli ordina il Suo Figlio perché sia Cristo e Signore, il primogenito di ogni creatura, il primogenito dai morti, il glorificato, in Cui dimora tutta la pienezza della Deità; a questo fine Egli ordina la chiesa e la dà a Cristo, ed Egli elegge per nome tutti quelli che nella chiesa avranno un luogo per sempre, così che la pienezza (pleroma) di Cristo possa scintillare in una grandissima varietà nella chiesa alla lode della Sua gloria. Intorno a quel Cristo e la Sua chiesa e quel proposito della rivelazione della gloria della vita pattale di Dio, tutte le cose nel tempo e nell’eternità si concentrano. Il fine di tutto questo è che noi cadiamo in adorazione davanti a questo Dio sovrano ed esclamiamo:

Oh la profondità delle ricchezze della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi, e le sue vie inesplorabili! Perché chi ha conosciuto la mente del Signore? O chi è stato il Suo consigliere? O chi gli ha dato per primo sì che gli sarà ricompensato di nuovo? Perché da lui, e attraverso di lui, e per lui, sono tutte le cose; a cui sia gloria in sempiterno. Amen (Romani 11:33-36).

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1N.d.T. Questo capitolo (19) inaugura il trattamento del terzo locus (Cristologia) della Dogmatica di Herman Hoeksema.

2Petrus van Mastricht, Beschouwende en Praktikale Godgeleerdheit (Theoretical and Practical Divinity), trad. Da Cornelius Vander Kemp (Rotterdam: Hendrik van Pelt, 1749), vol. 2, 373 (traduzione di Francesco De Lucia).

3Francesco Turretini, Istituzioni di Teologia Elenctica, vol. 2, 12.2.12.

4Wilhelmus à Brakel, The Christian’s Reasonable Service (Ligonier: Soli Deo Gloria, 1992-1995), vol. 1, 252.

5Ibid., 253.

6Ibid., 254.

7Ibid., 255.

8Ibid., 252.

9Charles Hodge, Systematic Theology, 3 vol. (Grand Rapids: Eerdmans, 1986), vol. 2, 3.2.§4, 359-360.

10Geerhardus Vos, Systematische Theologie: Compendium (Compendio di Teologia Sistematica) (Grand Rapids: Eerdmans, 1998), 76.

11Ibid., 76-77.

12Ibid., 77.

13Ibid., 78.

14H. Bavinck, Gereformeerde Dogmatiek (Dogmatica Riformata) (Kampen: J. H. Kok, 1976), vol. 3, 192-194.

15Ibid., 194-195.

16Louis Berkhof, Systematic Theology 4ª ed. (Grand Rapids: Eerdmans, 1965), 265 e a seguire.

17Abraham Kuyper, Dictaten Dogmatiek (Dettati di Dogmatica), 2ª ed. (Grand Rapids: Sevensma, n.d.), vol. 3, Locus de Foedere, §5, 81 (traduzione di Francesco De Lucia).

18Ibid., 82.

19Ibid., 82.

20Ibid., 84-85.

21Ibid., 86.

22Ibid., 80-81 (traduzione di Francesco De Lucia).

23H. Bavinck, Gereformeerde Dogmatiek, vol. 3, 194 (traduzione di F. De Lucia dall’inglese di H. Hoeksema).

24Abraham Kuyper, Uit Het Woord (Dalla Parola) (Höveker & Wormser, Amsterdam, n.d.) vol. 5, 13 (traduzione di Francesco De Lucia dall’inglese di Herman Hoeksema).

25Ibid. 14-15.

26N.d.T. In questo caso il sostantivo veterotestamentario berith proverrebbe dalla radice accadica baru e il sostantivo correlato biritu, vedi ad es. Weinfeld in Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament (Stuttgart, 1973) citato in O. Palmer Robertson, The Christ of the Covenants, P&R Publishing Co., 1980, Phillipsburg, New Jersey, p. 5. L’autore di questo ultimo libro, un Presbiteriano, e direttore dell’African Bible College in Uganda e professore aggiunto di Antico Testamento al Knox Theological Seminary in USA, nella sua opera sopra citata argomenta che l’idea di "vincolo, legame" stabilito sovranamente, rispetto ad "accordo" o altri significati attibuitigli in campo Riformato e Presbiteriano, è quello che si trova maggiormente al centro della concetto di "patto" (berith) nella Scrittura.

27N.d.T. Secondo Thayer, il cui lessicografo è ritenuto universalmente uno dei migliori in ambito Protestante, il termine diatheke, che nella Settuaginta è la traduzione di berith nell’Antico Testamento, anche se ha certamente anche il significato di "testamento," è usato "per denotare l’intima relazione in cui Dio entrò prima con Noè, Genesi 6:18; 9:19, poi con Abraamo, Isacco e Giacobbe e la loro posterità, Lev. 26:42, ma specialmente con Abraamo, Genesi 15 e 17, e successivamente attraverso Mosè col popolo di Israele, Esodo 34; Deut. 5:2; 28:69 … [in cui essi] sono vincolati ad obbedire alla legge di Dio per come espressa e solennemente promulgata nella legge mosaica." (italiche mie).

28N.d.T. A riguardo si consulti anche "Il luogo della Riprovazione nella Predicazione del Vangelo" dello stesso autore.