Herman Hoeksema
(Capitolo 9 di: Herman Hoeksema, Righteous by Faith Alone: A Devotional Commentary on Romans [Giusti per Sola Fede, un Commentario Devozionale a Romani], ed. da David J. Engelsma, Reformed Free Publishing Association, MI, USA, 2002)
O disprezzi tu le ricchezze della sua bontà e sopportazione e longanimità, non conoscendo che la bontà di Dio ti conduce a ravvedimento?
Ma per la tua durezza e il cuore impenitente ti accumuli per te stesso ira per il giorno dell’ira e la rivelazione del retto giudizio di Dio.
Il cuore di Romani 2:4-5 è indubbiamente espresso nelle parole la bontà di Dio ti conduce a ravvedimento. Questa è l’innegabile verità intorno alla quale il testo in tutti i suoi dettagli è realmente raggruppato. Questa è la certezza che può sempre essere applicata e che rimane sempre ferma, alla quale non vi è mai un’eccezione: la bontà di Dio conduce a ravvedimento.
Per questa ragione non dobbiamo cambiare questa affermazione per adattarla alla nostra nozione di cosa dovrebbe fare la bontà di Dio. Il veleno uccide, il fuoco brucia, ed il pane nutre; così la bontà di Dio conduce a ravvedimento. Noi non dobbiamo dire, o pensare, o tentare di cambiare il significato di questa affermazione in qualcosa come: "La bontà di Dio desidera con piacere condurti al ravvedimento." Non è vero. Né è il significato del testo. Noi dobbiamo lasciare questa parola esattamente com’è e dire—proprio come diciamo che il veleno uccide, il fuoco brucia, ed il pane nutre—la bontà di Dio conduce a ravvedimento.
Essa lo fa sempre. Possiamo conoscere questo fatto o non conoscerlo; non fa differenza—la bontà di Dio conduce a ravvedimento. Voi potete prendere una pozione velenosa o meno, non fa differenza—una pozione velenosa uccide. Voi potete mettere la vostra mano nel fuoco o meno, non fa differenza—il fuoco brucia. Voi potete sentire la potenza della bontà di Dio o meno, ma non fa differenza—la bontà di Dio conduce a ravvedimento.
Ma vi sono quelli che disprezzano quella bontà di Dio. Disprezzando la bontà di Dio, essi accumulano ira per se stessi. E’ su questi che l’apostolo chiama la nostra attenzione nel testo.
L’apostolo sta ancora rivolgendosi all’uomo del verso 1. Egli non sta rivolgendosi a nessuna classe in particolare. Non sta parlando all’ebreo, né l’ebreo è escluso. L’apostolo ha in mente di applicare quanto ha detto agli ebrei in un senso speciale, ma qui egli si sta rivolgendo all’uomo. Egli sta parlando al singolare. Quest’uomo, l’apostolo l’ha descritto in una luce molto peculiare e realistica. In altre parole, egli lo ha descritto proprio come è. Lo ha descritto come uno che giudica e condanna gli altri mentre fa le stesse cose egli stesso. Egli condanna il menzognero, mentre mente egli stesso. Egli condanna il ladro, e ruba egli stesso. Quando condanna il calunniatore diviene lui stesso un calunniatore. Ciò è caratteristico dell’uomo peccatore. Dio lo lascia fare così che gli farà dire che conosce il giusto giudizio di Dio, così che sia senza scusa nel giorno del giudizio.
L’apostolo chiede a quest’uomo (e questa è la connessione col verso 1): "Come spieghi la tua attitudine? Come giungi ad assumere l’attitudine in cui tu condanni in altri quanto tu stesso fai?"
Come deve essere spiegato questo? L’apostolo conosce due possibilità soltanto. La prima possibilità è espressa nella prima domanda al verso 3: "Pensi tu, O uomo, che giudici coloro che fanno tali cose, e fai lo stesso, che tu sfuggirai al giudizio di Dio?" E’ questa la spiegazione? Se è così, la sua attitudine è spiegata.
Oppure—e questa è l’altra possibilità—questa attitudine è radicata nel peccaminoso disprezzo nel quale voi dite: "Io so che sarò chiamato in giudizio, ma non me ne importa"? Come dice il verso 4: "O disprezzi tu le ricchezze della sua bontà … non conoscendo che la bontà di Dio ti conduce al ravvedimento?"
Nell’originale greco, sono usate quattro parole, a differenza della nostra versione. Il testo, quindi, dovrebbe essere letto in questo modo: "O disprezzi tu la gentilezza, sopportazione e longanimità e bontà di Dio?" Per quanto riguarda il significato di questi vari termini, essi sono così correlati l’uno all’altro che la bontà include tutte le altre virtù. La gentilezza di Dio è la Sua bontà manifesta. La sopportazione di Dio è la Sua bontà manifesta. La Sua longanimità e la Sua bontà manifesta.
Cos’è la bontà di Dio? In primo luogo, la bontà di Dio è quella virtù di Dio per la quale Egli è in Se Stesso infinita perfezione. Questo è lo sfondo di tutte le altre bontà. La bontà di Dio non significa che Egli è il nostro benefattore, che Egli conferisce del bene su noi. La bontà di Dio significa che Egli è buono nel senso di perfezione. Poiché Dio è buono in Se Stesso, Egli fa anche del bene. Dio fa del bene a tutte le Sue creature. Non vi è eccezione. Egli fa del bene a tutte le Sue creature considerate organicamente ed individualmente. Dio fa sempre del bene. Egli fa del bene ai malvagi ed ai giusti. Quando Dio benedice i giusti, Egli fa del bene. Quando Dio maledice i malvagi, Egli fa del bene. Dio non farebbe del bene se benedicesse i malvagi. Dio è in Se Stesso buono ed è la sovrabbondante fonte di ogni bontà.
Per questa ragione vi è nel testo menzione di una triplice manifestazione della bontà di Dio. Queste tre sono anche correlate. La gentilezza di Dio è la prima manifestazione della Sua bontà. La gentilezza di Dio è il Suo intimo desiderio di benedire il giusto. La bontà di Dio opera in tal modo e rivela se stessa in tal modo che vi è in Dio il desiderio eterno di benedire il giusto. Non potete mai dire lo stesso per quanto riguarda l’attitudine di Dio nei confronti del malvagio. Egli sarebbe quindi non buono. Non vi è mai in Dio una volontà, un desiderio, di rendere felice il malvagio. Noi dobbiamo comprendere questo. Il pensiero centrale del testo è enfatizzare che è impossibile per Dio benedire chiunque a meno che non venga a ravvedimento. Intanto che non giunge a ravvedimento, e disprezza e non conosce la bontà di Dio, non può gustare la benedizione di Dio. Dobbiamo comprendere, quindi, che la gentilezza di Dio è quella manifestazione della bontà di Dio secondo la quale è il Suo desiderio eterno quello di benedire il giusto. Questo è il motivo per cui l’uomo naturale disprezza quella gentilezza di Dio. L’uomo non disprezzerà mai una grazia generale, ma disprezza il fatto che Dio benedice il giusto.
Gli altri due termini, la longanimità e la sopportazione di Dio, sono, ancora, manifestazioni della bontà di Dio per come esse sono rivelate nel tempo. La longanimità di Dio è il Suo desiderio di liberare il Suo popolo sofferente, ma anche il Suo aspettare fino a che le cose siano mature. Se io ho mio figlio sulla tavola operatoria e quel bimbo mi implora di fermarsi, ma io continuo fermo nel tagliare la carne viva fino a che l’operazione è completa, io sono longanime con quel figlio. Così la longanimità di Dio è il Suo proposito di portare alla fine il Suo popolo in gloria, e nel frattempo permettendo loro di soffrire fino a che il tempo non sia maturo.
La sopportazione di Dio è l’antitesi della longanimità. Essa è la volontà di Dio di distruggere il malvagio nel giorno del giudizio mentre gli permette di prosperare fino a quel giorno. La sopportazione di Dio è questo: Io ho un uomo in casa mia che mangia il mio pane, beve la mia acqua, indossa i miei abiti, e dorme nel mio letto. Quell’uomo mi ignora ed abusa dei miei figli. Io sono paziente nel metterlo fuori di casa fino a che il tempo non sia maturo. Questa è la sopportazione di Dio. La sopportazione e la longanimità di Dio sono manifeste.
L’apostolo chiede al peccatore: "Disprezzi tu la gentilezza e sopportazione e longanimità di Dio, non conoscendo che la bontà di Dio ti conduce al ravvedimento?" Disprezzare una cosa presuppone che noi veniamo a contatto con essa. L’apostolo vuole dire, quindi, che in qualche modo, ed in qualche misura, l’uomo viene sempre a contatto con questa triplice manifestazione di Dio, il cuore della quale è che il Signore benedice il giusto.
Disprezzi tu questo?
E’ enfaticamente nella chiesa, dove la bontà di Dio è conferita, che la bontà di Dio è disprezzata.
Disprezzare una cosa è pensare in termini molto bassi di essa. Disprezzare una cosa è giudicarla senza valore, non desiderarla. Quindi, quando la testimonianza è: "Il Signore benedice il giusto," semplicemente ignoriamo ciò e continuiamo a camminare nel peccato. Non vedete che il peccatore, andando avanti in questa via, disprezza la bontà di Dio?
Come è possibile questo? L’apostolo dice che la causa più profonda è nel cuore impenitente del peccatore. "Ma secondo la tua durezza ed il cuore impenitente," dice il testo. Il cuore è il centro della vita di un uomo da un punto di vista spirituale. Dal cuore è la vita dell’uomo per quanto concerne la sua direzione spirituale. Un cuore impenitente è un cuore che non può ravvedersi. Non è un cuore che non si ravvede, né è un cuore che non può essere portato a ravvedimento. E’ un cuore che non può ravvedersi da se stesso.
Ravvedersi è cambiare, in modo tale che il nostro giudizio del nostro proprio peccato è come il giudizio di Dio a riguardo d’esso. Un cuore impenitente è l’esatto opposto. E’ un cuore che ama il peccato, che cerca il peccato, che cammina nel peccato.
Quel cuore impenitente, dice l’apostolo, è duro. Non è indurito. E’ duro. "Secondo la tua durezza," dice l’apostolo. Durezza è la caratteristica del cuore impenitente. Quel cuore è duro, così che non può ricevere il ravvedimento. Quando quel cuore impenitente si trova sotto l’influenza della Parola di Dio, perfino prima che quella Parola giunga, si prepara a non ravvedersi. Un cuore impenitente è sempre duro. Non è che prima è morbido e poi gradualmente si indurisce. Quel cuore è duro dall’inizio. Ogni cuore impenitente è duro.
E’ vero che vi è un indurimento del cuore in un modo naturale, ma non in senso spirituale. Perfino un cuore duro, impenitente può divenire indurito in un modo naturale. Quando la prima volta quel cuore duro e impenitente si trova sotto l’influenza della Parola di Dio, vi sono i dolori della coscienza, una certa paura, un tremore davanti a quella Parola. Ma sotto l’influenza della bontà di Dio quel cuore impenitente diviene indurito. Noi possiamo vedere, spesso con profonda tristezza, in che modo si indurisce un cuore impenitente. Questo è il risultato immediato.
La distorsione Arminiana è che Dio è buono nel senso di essere grazioso con tutti. Egli è buono nel senso che Gli piace di salvare tutti. Siccome vuole salvare tutti cerca di condurre tutti a ravvedimento. Quando Egli fa questo, vi sono alcuni che resistono questa bontà di Dio. Questa è la distorsione Arminiana del testo.
Ma questo non è l’insegnamento del testo. Il testo non dice che la bontà di Dio cerca di condurti al ravvedimento. Il testo fa un’affermazione di fatto. Il testo dice che la bontà di Dio ti conduce al ravvedimento. E’ impossibile, se lasciate il testo nel suo contesto, estrarvi una grazia generale. Invece, esso è un’affermazione generale di un fatto: la bontà di Dio conduce a ravvedimento.
Ciò diviene manifesto in quelli che giungono a contatto con questo fatto. E’ come se volessi dire: "Non sai che il fuoco ti brucia?"—volendo dire, naturalmente, appena tu giungi a contatto con esso. O: "Non sai che il veleno ti uccide?"—volendo dire, ovviamente, quanto giungi a contatti con esso. Così l’apostolo dice: "Non conosci che la bontà di Dio ti conduce a ravvedimento?"—volendo dire, appena giungi a contatto con essa.
L’uomo naturale non conosce che la bontà di Dio conduce a ravvedimento. Non conosce il fatto? Lo conosce. Non è questo il significato. Ma egli non la conosce nel senso che non ne fa esperienza e non gusta che la bontà di Dio conduce a ravvedimento, e nel senso che la disprezza. Egli disprezza la bontà di Dio per come essa diviene manifesta nella Sua gentilezza, sopportazione e longanimità, non conoscendo, nel senso di non facendo esperienza del fatto che la bontà di Dio conduce a ravvedimento.
E’ questo il caso? Se lo è, non vi è che un risultato: l’uomo che disprezza in tal modo la bontà di Dio accumula per se stesso ira per il giorno dell’ira e del giudizio.
Viene un giorno in cui sarà rivelato il giudizio di Dio. Il passaggio mette in guardia: "Secondo la tua durezza ed il cuore impenitente ti accumuli per te stesso ira nel giorno dell’ira e della rivelazione del retto giudizio di Dio." Non dobbiamo dire che viene un giorno del giudizio di Dio. Questo giudizio è sempre presente. Ma viene un giorno quando questo giudizio sarà rivelato.
Questo giudizio è ora frequentemente coperto. E’ coperto in tal modo che frequentemente diremmo che il giudizio di Dio non è retto. Il malvagio sembra prosperare, ed il giusto si trova nei problemi. Questo giudizio è coperto in modo tale che gli uomini sono giunti alla conclusione che vi è una grazia generale. Il giudizio di Dio è per ora coperto, ma viene un giorno quando quella copertura sarà tolta. Quello è il giorno della rivelazione del giudizio di Dio.
Quel giorno sarà un giorno di ira. Per chi? Per quell’uomo. Esso sarà un giorno di ira, cioè, sarà un giorno di nient’altro che ira. E quell’uomo si accumula ira. Egli accumula ira come accumula denaro in una banca. Egli accumula ira nella banca del giudizio di Dio. Egli fa questo in tutta la sua vita. Egli aumenta costantemente il suo capitale di ira. Egli si accumula ira per il giorno dell’ira. Voi potete chiamarlo "grazia" se così vi piace, ma l’apostolo non ne sa niente di questo.
Cosa diremo quindi?
Concluderò con le stesse parole con le quali sono partito: "La bontà di Dio ti conduce al ravvedimento." Se non siete giunti a ravvedimento, non avete mai conosciuto la bontà di Dio. Se nel mezzo di quegli uomini che disprezzano la bontà di Dio siete divenuti peccatori penitenti, che dire allora? Vi è qualche speranza? Io non mi vergogno del vangelo di Gesù Cristo, questo l’apostolo ha ancora in mente. Io non mi vergogno del vangelo di Gesù Cristo, perché in esso è rivelata la giustizia di Dio che è per fede in Cristo Gesù. Il giusto vivrà per fede. Vivendo per fede egli dice questo: "Essendo giustificati per fede, abbiamo pace con Dio" [Romani 5:1].