Rev. Doug Kuiper
Tolleranza" è la parola che oggi va di moda. Ci viene detto che dobbiamo tollerare le idee, le parole e le azioni di ogni singolo segmento della società. Non dovremmo esprimere un giudizio sul carattere delle altre persone. Ma dobbiamo accettarle così come sono. Quello che i nostri funzionari eletti fanno nelle loro vite private non deve influenzare la nostra considerazione delle loro qualifiche per il pubblico ufficio. Dobbiamo inoltre accettare lo stile di vita degli omosessuali come (possibile!) alternativa al nostro. Dobbiamo poi soddisfare i capricci e i desideri delle femministe. E non dobbiamo parlare di Dio, altrimenti facciamo arrabbiare gli atei.
Questo tipo di tolleranza si trova anche nel mondo ecclesiale di oggi. Molte persone che sostengono di essere Cristiani sarebbero celeri nel ricordarci le parole di Gesù secondo le quali noi non dobbiamo giudicare (Matteo 7:1) e che non possiamo scagliare una pietra perché non siamo migliori delle altre persone (Giovanni 8:7). Questa attitudine ha raso al suolo la chiesa Cristiana, comprese le chiese che hanno un’eredità Riformata. L’eresia non è più denunciata, e gli eretici non sono più disciplinati. L’insegnamento fondamentale del Cristianesimo – che Gesù Cristo, il Figlio di Dio che venne nella carne, è il nostro solo e completo Salvatore – è negato. Ci viene detto di tollerare il pensiero religioso dei non cristiani, e questo perché ogni religione ha un elemento di verità al suo interno e perché la salvezza non è esclusivamente per i Cristiani. Dobbiamo anche tollerare nelle nostre chiese le azioni peccaminose degli altri. Non è affare nostro se una coppia non sposata vive insieme! Non è affare nostro se un membro della nostra congregazione pratica l’omosessualità! Noi non li dobbiamo giudicare.
Considerando la triste condizione del mondo ecclesiale di oggi, non è una sorpresa venire a sapere che il testo della Scrittura più spesso citato non è più Giovanni 3:16, ma Matteo 7:1, come ho avuto modo di sentire recentemente alla radio. In passato ci veniva ricordato "Perché Dio ha tanto amato il mondo …" Questo verso, interpretato erroneamente come se insegnasse la menzogna dell’Arminianesimo la quale sostiene che Dio ama ogni singola persona, era inteso essere un conforto per ogni persona che crede in lui. "Dio mi ama! Con me è tutto apposto." Oggi invece ci viene detto: "Non giudicare!" Questo spostamento sembra logico0. Se Dio ama me e ogni singola altra persona, allora Egli non trova colpe in noi, né nelle nostre azioni né nelle nostre idee. E se Egli non trova colpa in noi, allo stesso modo noi non dovremmo trovare colpe tra di noi. Tuttavia, questa logica fallisce. Essa procede da una premessa sbagliata, cioè che Dio ama ogni uomo, e parte da un’assunzione errata, cioè l’assunzione che se Dio ama una persona ciò vuol dire che Dio ignora o tollera i suoi peccati. E così la conclusione anche è sbagliata. In verità, il cambiamento del verso più citato della Bibbia indica l’aumentare dell’empietà della nostra società. Ora il centro è l’uomo, tanto che in certe situazioni bisogna stare attenti a menzionare il nome di Dio! L’uomo è dio, libero di inventare le sue proprie idee e la sua propria moralità. E la fondazione per tale moralità e il suo pensiero che dice: "Io sono buono. Tu sei buono. Concordiamo quindi nel non trovare alcun male in alcuno."
Tuttavia, c’è un gruppo di persone, contro le quali la società permette di emanare giudizi, e verso le quali noi possiamo essere intolleranti: coloro che giudicano la moderna moralità come sbagliata, e che non la tollerano! In questo ultimo gruppo, i veri Cristiani e la vera chiesa di Gesù Cristo devono ritrovarsi. Noi dobbiamo giudicare la predominante veduta della tolleranza come sbagliata, perché non è scritturale. La Scrittura è la sola base della nostra moralità.
In questo scritto esamineremo più nel dettaglio quanto questa veduta è dannosa, empia e non scritturale. Esamineremo poi in dettaglio i passaggi della Scrittura che sono correlati con l’argomento. Da questi passaggi, vedremo che giudicare è la chiamata di Dio per il Cristiano. Sebbene Dio ponga alcune restrizioni sul come giudicare e sul come mostrare intolleranza, Egli non proibisce l’intolleranza.
Questa veduta, oggi prevalente, può essere ulteriormente spiegata sia da un punto di vista negative che da uno positivo.
Negativamente, la veduta sostiene che la nostra attitudine verso le idée o le azioni degli altri non deve mai essere intollerante. Ci viene detto che un’attitudine di intolleranza è sbagliata per varie ragioni. Primo, ciò è odio manifesto; il che è moralmente sbagliato. Dio stesso condanna l’intolleranza proibendoci di giudicare (Matteo 7:1) e comandandoci di amarci l’un l’altro. Tolleranza è un’espressione d’amore. Secondo, ci viene detto che questa attitudine rivela arroganza da parte nostra perché pensiamo di essere migliori di altre persone, e che la nostra veduta è l’unica giusta, e che il nostro modo di fare le cose è l’unico modo. Questo pensare arrogante nega l’innata bontà di ogni persona, ognuna delle quali è stata creata nell’immagine di Dio (questo secondo i proponitori della tolleranza). Terzo, un’attitudine all’intolleranza è sbagliata perché con essa noi giudichiamo una persona senza cercare di comprenderla o di comprendere cosa l’ha spinta ad agire o pensare in quella maniera.
Siccome questa attitudine di intolleranza è sbagliata, noi non dovremmo mostrarla per esempio con il parlare contro le idee o le azioni degli altri. Noi non dobbiamo condannare coloro che promuovono e praticano l’aborto, perché noi non capiamo le difficoltà che la donna incinta ha e avrà se dovesse avere il suo bambino. E non dobbiamo condannare l’omosessualità, perché Dio ha creato gli omosessuale a Sua immagine, e il loro orientamento omosessuale è parte della creazione. Oltre a questo, gli omosessuali sono capaci così come gli eterosessuali di obbedire alla legge dell’amore di Dio essendo fedeli ai propri genitori. Noi non dobbiamo condannare coloro che teologicamente, socialmente o politicamente differiscono da noi, perché Dio dona ad ognuno di noi una mente, ed ognuno di noi individualmente è libero di usare questa mente come desidera. Inoltre, il fatto che la Bibbia sia stata interpretata in così tante maniere da molte persone, chiese e denominazioni diverse indica che non c’è una veduta corretta della Bibbia e dei suoi insegnamenti.
Positivamente, questa visione predominante afferma che noi dovremmo tollerare coloro che divergono da noi in pensiero e azione. Tale tolleranza indicherebbe amore, compassione e comprensione verso gli altri. In aggiunta al tollerare queste persone, noi dovremmo anche approvare come legittime le loro vedute e le loro azioni. Forse le nostre vedute e pratiche differiranno ancora da quelle del prossimo, ma non perché le nostre sono intrinsecamente sbagliate, perché tutti, a prescindere dalle loro vedute e dalle loro azioni, sono brave persone.
Questa veduta della tolleranza ha implicazioni specifiche per la chiesa di Cristo. Prima di tutto, implica che noi non dobbiamo predicare un vangelo esclusivo della salvezza solo tramite Cristo. Non dobbiamo vedere gli insegnamenti delle altre religioni – Giudaismo, Mormonismo, Buddismo e tutte le altre – come intrinsecamente malvagie. Non dovremmo dire all’ebreo, al mormone o al Buddista che si devono ravvedere dai loro peccati contro i primi quattro comandamenti della legge di Dio, e giungere alla conoscenza del vero Dio che si è rivelato in Gesù Cristo. Piuttosto, dovremmo approvare gli insegnamenti del Giudaismo, del Mormonismo, del Buddismo e delle altre religioni; presentarle come una possibile alternativa alla fede Cristiana; ed incoraggiare i membri delle nostre chiese ad immettere nelle loro vite quanto c’è di buono in questi insegnamenti.
Secondo, questo colpisce l’opera missionaria. La nostra missione non dovrebbe consistere nel chiamare gli altri alla fede e al ravvedimento, ma nell’aiutare i poveri, i malati e coloro che necessitano di aiuto fisico ed economico. Dovremmo anche essere più desiderosi di sviluppare contatti con le altre religioni, e trovare gli aspetti positivi dei loto insegnamenti e delle loro pratiche, e incorporarle nei nostri insegnamenti e nelle nostre pratiche.
Terzo, non dobbiamo disciplinare coloro i quali crediamo vivano nel peccato o insegnino ciò che è contrario alla nostra comprensione delle fondamentali verità della Scrittura. Piuttosto, ricordandoci che tutti noi pecchiamo, dovremmo permettere ai membri di chiesa che vivono nel peccato di rimanere regolarmente membri, e di partecipare liberamente alla Cena del Signore. Dovremmo anche vedere del buono nelle loro azioni, e raccomandare agli altri membri di seguire il loro buon esempio che in qualche modo queste persone hanno dato. Una persona che imita Gesù deve fortemente voler guardare all’altra persona come ad un fratello, ricordandogli che è una brava persona, incoraggiando quella persona nel suo peccato e rammentandogli che Dio ne è compiaciuto.
Di certo la depravazione della natura dell’uomo è una delle spiegazioni. L’uomo per natura è capace di fare e pensare ciò che è male. E questa veduta è proprio un altro esempio dell’indifferenza dell’uomo alla Parola di Dio, e per Dio stesso. La Parola di Dio dice all’uomo di essere uno schiavo del peccato per natura. L’uomo, tuttavia, pretende di essere libero, e insiste nel mostrare questa libertà nel fare ciò che vuole. La donna incinta insiste nella sua libertà di scegliere di vivere la sua propria vita, abortendo dal suo bambino. Un uomo insiste sulla sua libertà di scegliere d’amare un altro uomo.
Tuttavia, questa spiegazione non chiarisce a sufficienza perché la maggior parte del mondo ecclesiale abbia adottato questa veduta. Ciò si spiega maggiormente con il fatto che la chiesa, in genere, si è conformata al mondo sul punto della stessa concezione della vita, fallendo di vivere antiteticamente.1 Questo fallimento sottolinea che la chiesa ha perso la sua consapevolezza della sanità di Dio. Il suo grande messaggio è stato l’amore di Dio, ma essa ha divorziato il Suo amore dalla Sua santità. Se la chiesa capirà di nuovo cosa significa che Dio è santo, comprenderà anche il bisogno di separarsi dalle idee e dalle pratiche del mondo, di denunciare il peccato per quello che è, e di predicare che l’amorevole Dio, Geova, odia il peccato e punisce i peccatori a causa dei loro peccati.
I Cristiani devono giudicare questa veduta come dannosa, empia e non scritturale.
Essa è pericolosa perché conduce ad una maggiore conformazione della chiesa al mondo, in violazione della sua chiamata. Dio chiama la chiesa a vivere antiteticamente, cioè, a vivere in opposizione al peccato e al mondo e con devozione verso Geova. La chiesa vive antiteticamente, non fingendo che il peccato sia buono, ma dichiarando il peccato essere quello che è cioè peccato, e disciplinando coloro che impenitentemente continuano a vivere una vita peccaminosa. Essa vive antiteticamente predicando la verità di Dio, evidenziando la menzogna di Satana il quale oppone la verità, e disciplinando coloro che nel suo mezzo coscientemente e impenitentemente promuovono la menzogna.
Fallendo di vivere antiteticamente, la chiesa è in pericolo di diventare il mondo, e di non essere più la chiesa di Dio. Vivendo e pensando come il mondo, mostra in partica di non essere diversa dal mondo, cosa che Dio le comanda di essere. E così, il suo attributo di santità viene perduto. Insegnando ciò che è contrario alla Scrittura, mostra di non essere fondata fermamente nella dottrina degli apostoli e dei profeti, con Gesù Cristo quale somma pietra angolare, cosa alla quale Dio la chiama. E così anche un altro attributo, cioè la sua apostolicità, viene perso. Fallendo nell’essere santa e apostolica, essa non ha diritto di chiamarsi chiesa, non essendo differente dal mondo.
Il pericolo di questa concezione, quindi, è pari a quella di un veleno. Il veleno può apparire innocuo, o anche appetibile, ma se assunto porta alla distruzione. Le idee e le pratiche del mondo sono un veleno che potrebbe apparire attraente ad alcuni, ma quando la chiesa lo tollera e lo approva, essa fa questo a sua propria distruzione. Questa distruzione non consiste solo nel fatto che la chiesa non è più distinta dal mondo nel suo vivere, ma consiste anche in una distruzione eterna. Il Dio che giudica giustamente giudicherà coloro che hanno impenitentemente insegnato false dottrine e chi vive nell’immoralità senza pentirsi. Essendo avvertita, la chiesa non deve conformarsi al mondo, ma essere trasformata (Romani 12:2)!
La nostra seconda valutazione di questa veduta della tolleranza consiste nel fatto che, sebbene sia pia nell’apparenza, essa è in realtà empia. I vari richiami alla Scrittura e all’attributo dell’amore di Dio in sua difesa la fanno sembrare pia. È menzionato un dio – un dio che approva e tollera e che si cura di coloro che sono vittime dell’intolleranza, dell’odio, del bigottismo e del cinismo.2 C’è anche menzione del paradiso – il luogo dove le vittime di tale intolleranza sono condotte quando la loro "persecuzione" termina a causa della loro morte.
Nonostante questa pietà solo apparente, questa veduta è empia in quanto ripudia Geova e la Sua parola come standard per la dottrina e la vita. Che noi dobbiamo tollerare, approvare e abbracciare le idee e le pratiche di altri non è parola di Dio, ma parola dell’uomo! L’uomo si è stabilito come giudice di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato, e perciò dice: "La tolleranza è giusta! L’intolleranza è sbagliata!"
Che questo sia veramente ciò che l’uomo ha fatto è evidente quando uno considera che la società stessa debba decidere in quali situazioni la tolleranza è giusta e in quali altre della intolleranza e permessa, e non piuttosto la Parola di Dio. La Parola di Dio proibisce chiaramente l’omicidio nel sesto comandamento: "Non ucciderai" (Esodo 20:13). Ma la società, mentre condanna l’omicidio del bambino di due anni o dell’adulto di quaranta, tollera l’uccisione di bambini non ancora nati e, in molti casi, l’uccisione dei malati terminali che desiderano una morte dignitosa. La Parola di Dio proibisce esplicitamente l’adulterio e la perversione sessuale, e dichiara che il sesso è permesso solo tra marito e moglie. Questo è fatto nel settimo comandamento, "Non commetterai adulterio" (Esodo 20:14), così come in altri passi (cf. 1 Corinzi 5:1-5 e Ebrei 13:4). Ma la società, mentre non tollera la pornografia e le molestie infantili, tuttavia tollera adulteri e fornicazioni di ogni sorta, e invoca tolleranza riguardo l’omosessualità. E quando giunge la domanda "Cosa è vero?", la società tenta di dare la sua propria definizione, ignorando Gesù Cristo e le Scritture quali verità.
Queste incoerenze rivelano che l’uomo ha accantonato Geova Dio e la Sua Parola quali standard di ciò che è giusto e sbagliato. L’uomo non vuole che Dio gli dica cosa fare! L’uomo vuole essere giudice del bene e del male. Ogni richiamo alla Scrittura per supportare questa prevalente veduta della tolleranza non procede da un ritenere la Scrittura la Parola di Dio, ma da un ritenere la Scrittura come un documento del pensiero della società passata. Nella Bibbia, un testo può essere preso un po’ di qua e un po’ di là per mostrare che anche la società del passato condannava l’intolleranza.
Questo ci conduce alla nostra terza e fondamentale valutazione di questa veduta; essa non è scritturale. Forse sentirai qualcuno chiedere: "Ma come non è scritturale? Non hai letto Matteo 7:1, Giovanni 8:11 e Giovanni 13:24?" Tuttavia, la realtà è che molte persone interpretano questi passaggi in maniera errata. Essi non insegnano quello che insegnano questi promotori della moderna tolleranza!
Dobbiamo esaminare questi ed altri passaggi della Scrittura pertinenti per dimostrare che, piuttosto che comandare tolleranza delle idee e delle pratiche degli altri, la Scrittura proibisce tale tolleranza e ci chiede di giudicare.
Sarà utile stabilire fin da adesso alcuni principi che devono guidarci nella nostra interpretazione della Scrittura. Conoscendo e applicando questi principi dovrebbero essere protetti dal giungere ad un’errata comprensione degli insegnamenti della Scrittura su questo argomento.
Che la Bibbia è la Parola di Dio è il principio più importante. Tutta la Scrittura è la Parola di Dio, secondo 2 Timoteo 3:16. Questo significa che non troveremo nella Bibbia contraddizioni, ma solo la verità, perché Geova è il Dio di verità, e la Sua Parola è verità (Giovanni 17:17). Perciò, possiamo stare certi di non trovare nella Scrittura testi che, propriamente compresi, condonano l’intolleranza mentre altri la condannano; piuttosto, troveremo un'unica, coerente verità su questo argomento. Inoltre, siccome Dio rende la Sua verità chiaramente conosciuta, possiamo aspettarci che la Scrittura affermi quella verità in modo chiaro.
Un secondo principio fondamentale è che la Scrittura interpreta la Scrittura. Ciò significa che quando noi la esaminiamo per vedere cosa insegna su un argomento, noi dobbiamo esaminare tutti i passaggi testuali coinvolti. Se nel fare ciò dovessimo trovare dei versi che sembrano contraddirne altri, dobbiamo prima comprendere i versi più semplici, dopo di che saremo capaci di spiegare quelli più difficili alla luce di questi più semplici.
Terzo, dobbiamo ricordare che, al fine di comprendere correttamente un testo della Scrittura, dobbiamo considerarlo alla luce del suo contesto. Una parte della Scrittura – che sia un singolo verso, o più versi o parte di un verso – non può essere usata lecitamente per sostenere le idee o le azioni di qualcuno se quel testo non è spiegato alla luce del suo contesto. Il contesto definirà spesso l’insegnamento del testo, indicando più specificamente in quali situazioni un comando si applica, o come un comando deve essere effettuato.
La nostra disamina dei vari passi della Scrittura che sono correlate al tema del giudicare e della tolleranza procederà sulla base di questi principi. Siccome la parola "giudice" con i suoi relativi sostantivi e verbi sono usati molte volte nella Scrittura, non tenteremo di esaminare ogni singolo testo nel quale esse si trovano. Piuttosto, ci concentreremo sui passaggi principali che sono usati per sostenere l’idea della tolleranza, e saranno brevemente spiegati quei passaggi che richiedono esplicitamente al figlio di Dio di discernere tra il bene e il male.
Tra I passi biblici usati per sostenere l’idea della tolleranza , Matteo 7:1 è forse quello pià spesso citato. Esso dice: "Non giudicate, affinché non siate giudicati." È chiaro che qui Gesù proibisce il giudicare. Tuttavia, la domanda è se Gesù qui proibisce ogni tipo di giudizio, oppure solo un certo tipo di giudizio. Il verso uno, preso da solo, non ci da risposta a questa domanda. E coloro che citano solo il verso uno per condannare l’intolleranza ignorano il contesto, cioè versi 2-5, e così presumono che il verso proibisca ogni tipo di giudizio. Tuttavia, vediamo che Gesù non proibisce ogni giudicare quando leggiamo versi 2-5, ma che piuttosto egli condanna il giudicare ipocrita. Il testo nel suo contesto (Matteo 7:1-5) dice come segue:
Non giudicate, affinché non siate giudicati. Perché sarete giudicati secondo il giudizio col quale giudicate; e con la misura con cui misurate, sarà pure misurato a voi. Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Ovvero, come puoi dire a tuo fratello: "Lascia che ti tolga dall'occhio la pagliuzza", mentre c'è una trave nel tuo occhio? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello.
Nel primo verso Gesù dice ai Giudei di non giudicare. Nel secondo verso Egli da la ragione per cui essi non devono giudicare: perché lo standard che essi usano per giudicare gli altri sarà lo stesso standard che gli altri useranno per giudicare loro. Non devono ignorare i loro propri peccati mentre condannano gli stessi peccati negli altri. Ignorare ciò significa giudicare secondo uno standard doppio, cioè giudicare ipocritamente. "Non è forse ipocrita giudicare il fratello per una piccola caduta, o anche cercare di aiutarlo a vincere questo peccato, quando tu stesso sei colpevole di colpe anche più gravi?" Questa è la domanda che Gesù stava ponendo al popolo.
Si noti che il peccato dei due peccatori (della persona e del suo fratello) è lo steso peccato per due ragioni. Primo, hanno la stessa natura: in entrambi i casi un pezzo di legno è presente nell’occhio dell’interessato. E secondo, è lo stesso in quanto entrambi peccano: il pezzo di legno era nel loro occhio allo stesso momento. La differenza tra i due peccati è solo rispetto alla misura: l’uno è piccolo, l’altro è grande. E questo perché uno con un peccato grande che condanna un altro con un peccato piccolo è ipocrisia (cf. v. 5). In altre parole, una donna che sta abortendo un feto di otto mesi non è nella posizione giudicare un cassiere, l’omosessuale non è nella posizione di criticare l’infedeltà di un matrimonio eterosessuale!
Matteo 7:1, preso nel suo contesto, non proibisce il giudicare e l’intolleranza, ma solo il giudicare e l’intolleranza ipocrite. Infatti, esso ci chiede che, dopo esserci pentiti dei nostri peccati, noi condanniamo il peccato del fratello per quello che è, e che lo aiutiamo ad abbandonarlo. "Togli prima dal tuo occhio la trave e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello" dice Gesù al verso 5. Gesù comanda la verace intolleranza verso il peccato commesso dal fratello, ma non quella ipocrita.
Anche Giovanni 8:7 e 11 sono importanti. Il contesto è quello di una donna colta sul fatto mentre commetteva adulterio, portata da Gesù dagli scribi e dai Farisei. Nel verso 7, Gesù dice a costoro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei." Al verso 11, Egli si rivolge alla donna: "Neppure io ti condanno; va' e non peccare più." I promotori della tolleranza usano queste parole di Gesù per provare che uno non dovrebbe condannare gli altri, non essendo migliore di loro.
Sebbene spiegheremo in seguito cosa significa giudicare, comprendiamo per ora che quando uno giudica emette un verdetto: colpevole o innocente. Dopo che uno è giudicato, egli riceve il verdetto: la persona colpevole è condannata (alla punizione) e l’innocente è rilasciato. Il punto è che giudicare e condannare sono due azioni distinte, relazionate ma non identiche.
Tenendo questo in mente, vi è ora da notare che in realtà Gesù giudica la donna, ma non la condanna. Dicendole "va' e non peccare più," Gesù sta dicendo che lei peccò. In sé stessa, l’accusa dei Farisei era giusta, e Gesù infatti giudicò quel peccato per quello che è. E questa agire di Gesù mostra intolleranza verso un azione peccaminosa! Seguendo l’esempio di Gesù, anche noi dobbiamo dire ai peccatori di dover mostrare evidenze di un genuino ravvedimento non peccando più.
Mentre Gesù giudicò la donna, tuttavia non la condannò. Poteva andare; non sarebbe stata messa a morte. Il vangelo per il peccatore penitente è questo: "Ora dunque non vi è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù, i quali non camminano secondo la carne ma secondo lo Spirito" (Romani 8:1). Questo è il messaggio dato da Gesù alla donna: è Gesù stesso che sarebbe stato condannato al suo posto! Egli stesso avrebbe portato la punizione, affinché lei potesse essere libera!
La risposta di Gesù ai Farisei smaschera il loro giudicare ipocrita su quella materia. (Infatti, il loro scopo primario, ovviamente, non aveva nulla a che fare con la donna, ma consisteva nell’intrappolare Gesù nelle sue stesse parole. Ma Gesù sapeva che i Farisei si inorgoglivano nella loro propria giustizia, e perciò gli rispose alla luce di questo fatto). Gesù ricorda ai Farisei che anche loro erano colpevoli di peccato, e specialmente di adulterio, sia che fosse effettivo sia quello del cuore. Anche loro non erano liberi dal peccato, ma erano degni di morte come lo era lei. Così, chiedendosi quale giudizio lei avrebbe dovuto ricevere, rivelano la loro ipocrisia e le loro motivazioni sbagliate.
Giovanni 8:7 e 11 ci insegna ad avere a che fare con altri che peccano. Il verso 11 ci insegna che dobbiamo desiderare il ravvedimento del peccatore, il verso 7 ci insegna che non dobbiamo farlo ipocritamente, per motivazioni sbagliate, o in una maniera inopportuna. Ma il passaggio non insegna che noi non dobbiamo mai ritenere gli altri responsabili dei propri peccati (e cioè, che non dobbiamo giudicare il peccato in quanto peccato).
Un altro passaggio che è frequentemente citato è uno nel quale ci viene comandato di amarci gli uni e gli altri. Molti passaggi della Scrittura danno questo comando. Giovanni 13:34 è uno di questi. In esso leggiamo: "Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri."
Cos’è l’amore, e cosa comporta? Amore è un vincolo d’amicizia che si manifesta nel volere il bene dell’altra persona. Questo può significar volere il bene fisico dell’altro: nel caso sia affamato, assetato, infreddolito, o nudo, dobbiamo curarci dei bisogni fisici di quella persona. Ma ciò potrebbe anche significare ricercare il bene spirituale della stessa. Se costui o costei sta camminando in una via che è contraria alla legge di Dio e che dispiace al Signore, dobbiamo cercare con amore di far volgere indietro quella persona dalla sua via peccaminosa.
In Giovanni 13:34, Gesù non comanda a tutti di amare. Il comando è per i suoi discepoli – i dodici uomini che Gesù scelse in maniera speciale per seguirlo durante il Suo ministero terreno. Il comando non andò nemmeno a tutti i dodici, ma solo a undici di loro. Uno di loro, Giuda Iscariota, che successivamente tradirà con odio Gesù, non era presente. Questo fatto è significativo. Come Gesù amo questi undici, così costoro devono amarsi tra loro! Il comando non implica che tutti gli uomini devono amare tutti; piuttosto, significa che nella chiesa (rappresentata dagli undici discepoli) i santi devono amarsi a vivendo così come Gesù amò la chiesa, dando Sé stesso per essa.
Questo amore non elimina l’intolleranza nei confronti di idee o azioni sbagliate da parte dei santi. Il vero amore desidera la salvezza del compagno credente. Tale vero amore desidera che il santo si ravveda dai suoi peccati (Giacomo 5:20).
Romani 2:1-3 è un altro passo che, sebbene non sembri essere adoperato dai sostenitori della tolleranza, potrebbe sostenere la loro posizione. In esso leggiamo:
Perciò, o uomo, chiunque tu sia che giudichi, sei inescusabile perché in quel che giudichi l'altro, condanni te stesso, poiché tu che giudichi fai le medesime cose. Or noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità su coloro che fanno tali cose. E pensi forse, o uomo che giudichi coloro che fanno tali cose e tu pure le fai, di scampare al giudizio di Dio?
O uomo" al quale Paolo si riferisce deve essere compreso come riferendosi a tutti gli uomini e ad ogni uomo. Paolo, dopo aver spiegato nell’ultima parte del capitolo primo i peccati ai quali il mondo si consegna (si noti il contesto!), ora dice che tutti e ogni uomo che condannano questi peccati mentre essi stessi li compiono, sono inescusabili. Possiamo aspettarci il giudizio di Dio sopra di noi, se viviamo negli stessi peccati che condanniamo negli altri! Il punto è che Paolo avverte contro il giudicare ipocrita – un avvertimento di cui abbiamo tutti bisogno. Ma il testo non ci proibisce di giudicare rettamente!
Positivamente, altri passi della Scrittura ci comandano di giudicare. Giovanni 7:24 lo fa chiaramente. Esso è posto nel contesto della discussione di Gesù con i Giudei che dubitavano della Sua dottrina, accusandolo di avere un demone (Giovanni 7:20) e di dissacrare il giorno del Sabbath guarendo un uomo in questo giorno (Giovanni 5:1-16). A costoro Gesù dice: "Non giudicate secondo l'apparenza, ma giudicate secondo giustizia." Dicendo "non giudicate," Egli non sta condannando il giudizio in quanto tale, ma sta proibendo un certo tipo di giudizio, come chiarisce l’altra parte del verso. Noi possiamo giudicare, ma quando lo facciamo dobbiamo farlo rettamente.
Il giudicare esteriore e superficiale – cioè, giudicare semplicemente sulle basi di ciò che sembra essere giusto, senza conoscere i fatti – è quel giudicare privo di discernimento, ingiusto e frettoloso contrario al nono comandamento della legge di Dio. Dio odia questo tipo di giudizio. Un giudizio retto è effettuato usando la legge di Dio come standard con il quale discernere ciò che è giusto e ciò che non lo è.
1 Corinzi 5 è un capitolo importante riguardo il dovere di giudicare. Primo, al verso 3, Paolo afferma sotto ispirazione dello Spirito di aver trasmesso un giudizio su di un membro della chiesa in Corinto che stava vivendo nel peccato di fornicazione. Ecco il suo giudizio: "ho deciso che quel tale sia dato in mano di Satana a perdizione della carne, affinché lo spirito sia salvato nel giorno del Signor Gesù" (v.5). Questo è un giudizio deciso da parte sua.
Inoltre, nei versi 9-13, Paolo ricorda ai santi il loro dovere di giudicare le persone che sono nella chiesa, se stanno obbedendo alla legge di Dio o meno. Coloro che sostengono di essere Cristiani e che sono membri della chiesa, ma che sono anche giudicati essere impenitentemente disubbidienti ai comandamenti di Dio (cf. vv. 9-10, la quale non è una lista esaustiva) devono essere esclusi dalla comunione della chiesa. Paolo, sotto l’ispirazione dello Spirito, dice alla chiesa di non tollerare i peccatori impenitenti.
Ci sono anche altri passaggi che parlano della nostra responsabilità di giudicare. Gesù chiede alle persone in Luca 12:57, "E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?" Qui Gesù riprende gli scribi e i Farisei in Matteo 23:23 e Luca 11:42, dicendo: "voi pagate la decima della ruta, della menta e di ogni erba, e poi trascurate la giustizia e l'amore di Dio. Dovevate fare queste cose, senza trascurare le altre." Era loro dovere, secondo la legge, quello di giudicare – ma essi avevano fallito nel loro compito. Paolo pregava che l’amore dei Filippesi potesse abbondare "sempre di più in conoscenza e in ogni discernimento" (Filippesi 1:9). Egli dice ai Corinzi, "Io parlo come a persone intelligenti; giudicate voi ciò che dico" (1 Corinzi 10:15).
Alcuni passi Scritturali sembrano proibire il giudicare, mentre altro lo richiedono esplicitamente. Studiando i contesti di quei versi che sembrano proibire il giudizio, notiamo che ciò che è proibito non è il giudicare in sé stesso, ma un tipo sbagliato di giudicare. Dio odio il giudicare ipocrita! Ma Dio ama il giudizio retto da parte di Suoi figli, e che Egli lo ami è chiaro dal fatto che Egli lo comanda, e ha dato la Sua legge come standard per fare ciò.
Perciò, è il dovere del Cristiano quello di giudicare.
Giudicare coinvolge due fattori principali. Primo, esso implica un pronunciarsi su se qualcosa è giusto o sbagliato. Esso deve essere critico. Infatti, il sostantivo "giudice" nel Nuovo Testamento della nostra King James Version è, in molti casi, la traduzione del sostantivo greco kritees, dal quale è derivato il nostro termine inglese "critic" (e in nostro termine italiano "critica", N.d.T).
Nell’essere critico, si fanno varie cose. Primo, si osserva un’azione o si ascolta un’opinione di un’altra persona. Secondo, si valuta ciò che è stato osservato, considerando gli aspetti positivi e negativi o le implicazioni di quell’azione o opinione. Terzo, si giunge ad una conclusione e si esprime un’opinione su se ciò che è stato osservato sia buono o cattivo. Per usare l’esempio di un giudice che deve decidere su un caso criminale, diremmo che egli prima riceve le prove contro l’accusato, poi pesa queste prove e infine esprime la sua conclusione riguardo l’innocenza o la colpevolezza dell’accusato.
Il secondo fattore principale compreso nel giudicare è quello del pronunciare una sentenza. Se il giudice trova l’accusato colpevole del crimine, egli lo condanna ad una apposita punizione. Se il giudice trova l’accusato innocente, egli lo rilascia senza punizione. Anche ordinare il rilascio di uno che è assolto è una sentenza: la persona innocente merita di vivere.
Nel dire che il Cristiano deve giudicare, noi abbiamo in mente prima di tutto il primo significato del giudicare, cioè il decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ogni giudizio Cristiano coinvolge tale determinazione. Tuttavia, solo in alcuni casi il nostro dovere di giudicare implicherà anche una sentenza. Per esempio, quando un concistoro scomunica dalla chiesa un peccatore impenitente, una sentenza è pronunciata – una sentenza di morte, di vita fuori da Cristo, di esclusione dal regno dei cieli (Matteo 16:19). Anche in tal caso, questa sentenza non è mai assoluta, perché è Dio ad essere l’ultimo giudice che da la sentenza. In molti casi, il Cristiano che giudica se le azioni di un altro siano giuste o sbagliate deve lasciare la sentenza a Dio. Questo perché, sebbene tutti noi pecchiamo e meritiamo in noi stessi di morire a causa dei nostri peccati, Cristo portò la sentenza di morte per i peccati dei figli di Dio, mentre Egli non portò questa punizione per coloro che non sono figli di Dio. Dio condannerà a punizione eterna coloro che non sono Suoi figli, e a vita eterna coloro i quali Cristo ha redento.
Alcune cose non le possiamo giudicare. Se un’altra persona è un eletto o meno, o se la fede che professa sia genuina o no, questo è noto solo a Dio, e non è rivelato a noi (1 Timoteo 2:19). Alcuni potrebbero obbiettare dicendo che noi possiamo determinare se la fede di un’altra persona sia genuina o meno, perché possiamo giudicarlo dalle opere che quella persona compie; questo perché la vera fede porta buone opere (Giacomo 2:18, 26), e gli alberi buoni non possono portare frutti cattivi, né gli alberi cattivi frutti buoni (Matteo 7:18). Tuttavia, dicendo ciò, uno deve essere certo che egli stia cercando il frutto, e non semplicemente frutti di un grado che non tutti i figli di Dio mostrano. Questo perché, mentre ogni figlio di Dio porta buoni frutti, sa comunque di fatto che ogni figlio di Dio da prova della sua natura corrotta e peccatrice, la quale rimane in lui fino alla morte.
Dato che non conosciamo il cuore degli altri, non dobbiamo giudicare le motivazioni segrete (1 Corinzi 4:5). Dio le giudicherà.
Ci è anche proibito di giudicare gli altri in cose indifferenti (Romani 14). Se qualcuno dovesse sentirsi in coscienza legato a fare qualcosa che io non farei, Io non posso giudicarlo nello sbaglio fino a quando le sua azioni non cono chiaramente contrarie alla legge di Dio. Se mangiano o no, se beviamo o meno, o se riteniamo o non riteniamo un giorno come santo, la nostra scelta deve essere motivata da fede e amore per il Signore, e non dobbiamo condannare le azioni degli altri in questioni che sono indifferenti. A tal riguardo, Paolo dice in Romani 14:13: "Perciò non giudichiamo più gli uni gli altri ma piuttosto giudicate questo: di non porre intoppo o scandalo al fratello." Il punto che Paolo mantiene è che noi non dobbiamo condannare come sbagliata la pratica del fratello Cristiano solo perché noi faremo in modo diverso.
Dal lato positivo, dobbiamo giudicare se le pratiche o gli insegnamento degli altri sono in accordo con la legge e la Parola di Dio.
Che dobbiamo stare in guardia dai falsi profeti è stato già menzionato (Matteo 7:15). Non dobbiamo credere "ad ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio, perché molti falsi profeti sono usciti fuori nel mondo" (1 Giovanni 4:1). Dobbiamo guardarci da quegli ingannatori ed anticristi "i quali non confessano che Gesù Cristo sia venuto in carne"; non dobbiamo ricevere nelle nostre case coloro che insegnano false dottrine (2 Giovanni 7, 10). Tutti questi testi parlano del nostro dovere di distinguere la verità dalla menzogna. Da tutti i punti di vista il nostro standard è Cristo e la Scrittura, perché Cristo è la verità (Giovanni 14:6), e la Parola di Dio è la verità (Giovanni 17:17). Dopo che il Cristiano comprende chiaramente cosa sia verità e cosa non lo è, egli deve confessare la verità e opporre la menzogna, così come deve allearsi con altri credenti e separarsi dagli ingannatori.
Anche il nostro dovere riguardo le azioni degli altri è chiaro. Dobbiamo giudicare il peccato per quello che è (1 Corinzi 5:1 e seguenti). In tal senso seguiamo l’esempio di Gesù (Matteo 5:13 e seguenti). Lo standard per il nostro giudizio del peccato è la legge di Dio, perché Cristo ci comanda di giudicare "secondo giustizia" (Giovanni 7:24). Giudicando il peccato, dobbiamo anche separarci da coloro nella chiesa che persistono nei loro peccati (1 Corinzi 5;13).
Non solo dobbiamo giudicare gli insegnamenti erronei o i peccati degli altri, ma dobbiamo anche giudicare i nostri propri peccati e il nostro pensare sbagliato. L’avvertimento contro il giudicare ipocrita rende necessario chiarire ciò. Come possono le nostre azioni essere all’altezza della legge di Dio? Come possono le nostre idee essere all’altezza dell’insegnamento delle Scrittura? Se esse non lo sono, cosa faremo? Condanneremo noi stessi, o continueremo nei nostri peccati, mantenendo le nostre idee sbagliate, e insistendo sulla difettosità dello standard?
Il dovere di giudicare cade sia sui credenti individuali che sulla chiesa come un intero.
Esso cade sui credenti individuali perché costoro sono Cristiani. Questo titolo indica che siamo partecipi dell’unzione di Cristo – che noi siamo profeti, sacerdoti e re. In quanto re in questa vita combattiamo contro il peccato e contro Satana (Catechismo di Heidelberg, D&R 32). Un aspetto dell’opera di un re è quello di giudicare, sia dentro che fuori del suo regno. Dentro, egli giudica se quelli che gli sono soggetti hanno obbedito o meno alla sua legge. Fuori, egli giudica (discerne) chi è il nemico, e lo combatte. Ugualmente il Cristiano, in quanto re, giudica il peccato che è in lui, così come quello esterno a sé, per quello che è, e lotta contro il peccato e contro Satana. Il Cristiano e credente figlio di Dio non esiterà a giudicare come sbagliata ed a pronunciarsi contro l’immoralità che affligge la nostra società. Usando la Bibbia come suo standard, il Cristiano dire, "Ogni omicidio, compreso quello dell’aborto, è sbagliato. Ogni fornicazione, inclusa l’omosessualità, è sbagliata. Ogni dissacrazione del Sabbath, compresi gli sport professionali o scolastici e ogni vendita o compera di merce, è sbagliata." Egli non tollera queste cose. Oltretutto, egli deve essere coerente a tal proposito. Egli deve giudicare come sbagliate non solo l’omosessualità e l’aborto, ma anche l’uccisione di omosessuali e di coloro che praticano aborti. Ogni peccato è sbagliato! .
Il Cristiano si comporta allo stesso modo per quanto riguarda la falsa dottrina. Egli giudica erronea la nozione secondo la quale Cristo non è il solo salvatore. Egli nega che l’amore di Dio alla fine prevarrà sopra la Sua giustizia e che ogni persona sarà in qualche modo salvata. Egli ripudia la dottrina secondo la quale Giudei, Mormoni, Buddisti e altri gruppi religiosi posseggono la verità pur essendo separati da Cristo
Anche la chiesa come un intero deve giudicare tramite i suoi ministri (pastori, anziani e diaconi). Nella predicazione della Parola di Dio dei pastori, deve esporre la verità contro la menzogna, la vera via di vivere contro quella errata. Sulle basi della Parola, il pastore deve giudicare il giusto come giusto e l’errore come errato. Nell’opera di disciplina della chiesa che gli anziani sono chiamati ad esercitare, il peccato è giudicato. Un membro che commette un crasso peccato contro la legge di Dio deve egli stesso giudicarlo come peccato, confessarlo e pentirsi. Gli anziani devono giudicare e disciplinare coloro che mancano di confessare il loro peccato e che rimangono impenitenti. Gli anziani devono anche custodire il pulpito sottoponendo la predicazione del pastore al test della Scrittura, e chiamare la predicazione come eretica nel caso fosse necessario. Che la chiesa debba giudicare è evidente da 1 Corinzi 5, dove Paolo comanda alla chiesa di giudicare il peccatore, e se è necessario di rimuoverlo da mezzo a loro.
Sebbene sia chiaro che è nostro dovere giudicare, la domanda del come giudichiamo è importante.
Giudicare usando uno standard diverso dalla legge e dalla Parola di Dio è sbagliato. Usando lo standard della Parola di Dio, giudichiamo il peccato in quanto peccato, sapendo di essere nel giusto anche se la società ci accusa di intolleranza. Il nostro giudizio sarà allora in accordo al giudizio di Dio nel Giorno del Giudizio, perché Egli userà anche la Sua legge e Parola come standard per il Suo giudizio. (Si ricordi che in questi casi non stiamo pronunciando una sentenza – cioè, condannando al paradiso o all’inferno – ma stiamo giudicando se Dio troverà giusto o sbagliato un certo insegnamento o azione).
Giudicare ipocritamente è sbagliato. Noi dovremmo giudicare gli altri solo dopo aver esaminato prima noi stessi. Questo non significa che non possiamo giudicare un altro per un peccato che una volta commettemmo; piuttosto, significa che dobbiamo esser sicuri di esserci del tutto ravveduti dal nostro peccato prima che possiamo parlare degli altri o dei loro peccati (Matteo 7:1-5).
Talvolta, orgogliosamente, immaginiamo che noi non commetteremmo mai il peccato che giudichiamo negli altri. Altre volte invece giudichiamo frettolosamente, non avendo esaminato i fatti in maniera sufficientemente attenta per sapere se un peccato è stato realmente commesso o meno. Oppure possiamo giudicare con ignoranza, giudicando le azioni o le idee degli altri come sbagliate solo perché esse differiscono da quello che abbiamo sempre pensato, senza valutare se i nostri stessi pensieri sono in accordo con la Scrittura. Un tale giudicare è sbagliato.
Un giudizio corretto deve essere portato con uno spirito di umiltà, con misericordia e prontezza di perdono e in accordo alla legge di Dio. Tale legge ci richiede inoltre di ricordare che anche noi dovremmo stare davanti al tribunale di Cristo. Ma tale giudizio è anche fatto con autorità e fermezza, perché Dio ci chiama a farlo, ci rende partecipi dell’unzione di Cristo in modo che possiamo farlo, e ci dona la Sua parola come standard per farlo.
Il più grande motivo è il nostro amore per Dio. In amore per lui dobbiamo difendere la Sua Parola e la Sua legge. Non giudicare il peccato significa condonarlo. Ma Dio non condona il peccato; piuttosto, lo odia! Condonare l’aborto, l’omosessualità e i falsi insegnamenti significa negare la Parola di Dio e mostrare odio per Dio stesso.
Il secondo motivo, legato al primo, è il fatto che noi saremo sottoposti al giudizio. Dio ci giudicherà secondo le nostre opere, sia giuste che malvagie. Giudicare il male come bene in questa vita di certo ci porterà addosso il Suo giudizio di condanna e di eterna distruzione. Giudicare il male in quanto male porterà su di noi il Suo giudizio di innocenza e di vita eterna – non perché lo abbiamo meritato con il nostro buon giudicare, ma perché il nostro buon giudicare è prova del fatto che il Suo Spirito opera in noi tutte le benedizioni della salvezza, una della quali è il privilegio di testimoniare della verità.
Terzo, siamo motivati a giudicare dal nostro desiderio di vedere la salvezza del nostro prossimo. Desideriamo il suo ravvedimento! Desideriamo la sua sottomissione alla volontà di Dio! Desideriamo che proclami la verità come Dio l’ha rivelata! Per questo giudichiamo i suoi peccati per quello che sono così che possa ravvedersi. Paolo ci istruisce a riguardo, quando dice che il fine che i Corinzi devono desiderare nell’esclusione del fornicatore dalla loro comunione è la salvezza del suo spirito nel giorno di Cristo (1 Corinzi 5:5).
Perciò, giudichiamo con un retto giudizio! Persistiamo nel farlo!
Un tal giudicare ci porterà di certo la derisione non solo del mondo, ma anche di molti che si definiscono Cristiani. Esso potrebbe portare su di noi il disprezzo di fratelli e sorelle, parenti o figli, amici o amati! Giudicare con giusto giudizio non ci renderà le cose facili in questa vita. Non lo fu per Cristo – ciò lo portò alla morte della croce.
Tuttavia, dobbiamo persistere nel giudicare rettamente, con la certezza che la condanna di Dio non verrà su di noi a causa del nostro giudicare, e con il conforto che la condanna che il mondo ci fa a causa del nostro retto giudizio servirà effettivamente alla loro stessa condanna nel giorno di Cristo.
Possa il vostro amore abbondare sempre di più in ogni conoscenza e giudizio! Approvate le cose che sono eccellenti! E allora, per la grazia di Dio, saremo strumento a Sua gloria e lode.
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