Covenant Protestant Reformed Church
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Il Patto di Creazione con Adamo

David J. Engelsma

 

Introduzione

La teologia Riformata ha sempre considerato la speciale relazione in cui Dio si trovava nei confronti di Adamo, e di Adamo nei confronti di Dio, precedentemente alla caduta, come un patto. Non soltanto tutti i teologi Riformati hanno insegnato un patto in paradiso (che essi abbiano usato o meno la parola "patto,") ma la verità di un patto con Adamo è anche espressa autorevolmente dalle confessioni Riformate.

Anche se il Catechismo di Heidelberg non usa la parola "patto" nel suo resoconto della creazione e caduta dell’uomo nel Giorno del Signore 3, il linguaggio che esso usa per descrivere la relazione di Adamo con Dio per virtù della sua creazione, e la sua insistenza sul fatto che la disubbidienza di Adamo fu la caduta nel peccato dell’intera razza umana, sono, di fatto, un insegnamento concernente una relazione di patto. Che "Dio ha creato l'essere umano buono ed a Sua immagine, cioè, in vera giustizia e santità; così che conoscesse Dio, suo Creatore, rettamente, e lo amasse di cuore, e vivesse con lui in eterna beatitudine, per lodarlo e glorificarlo" è linguaggio che ci parla di comunione tra amici, ed in modo specifico la comunione tra Padre e figlio. La comunione tra amici è il patto biblico. La dottrina del Catechismo che insegna che la "natura depravata dell’uomo" proviene "Dalla caduta e disobbedienza dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, in Paradiso, per la quale la nostra natura è divenuta così corrotta che noi tutti veniamo concepiti e nasciamo nel peccato" è la verità che vede Adamo come "capo federale" dell’intera sua posterità in un patto.1

La Confessione di Fede di Westminster chiama esplicitamente col termine "patto" la relazione tra Dio ed Adamo, denominandola "patto d’opere."2

Anche se i teologi Riformati e Presbiteriani sono in accordo sul fatto che la relazione tra Dio il Creatore e la Sua creatura Adamo era un patto, c’è stata controversia a riguardo della natura di quel patto. Fino a tempi recenti, la vasta maggioranza d’essi hanno visto il patto con Adamo con un accordo, tra Dio ed Adamo, in cui Dio ed Adamo hanno contrattato qualche tempo dopo la creazione di Adamo, nel periodo in cui Dio diede il "comando probatorio" di Genesi 2:15-17. Coll’obbedire a questo comandamento, concernente il non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, Adamo avrebbe guadagnato per se stesso e per l’intera razza umana la vita più elevata, spirituale, eterna, la stessa vita che Gesù Cristo ha ottenuto per la chiesa eletta attraverso la Sua incarnazione, espiazione, e risurrezione. Nel seguire questa concezione del patto con Adamo, molti teologi Riformati lo hanno chiamato "patto di opere." La caratteristica principale di quel patto erano le opere umane, cioè opere umane meritorie. Ciò che quelle opere potevano meritare non era niente meno che la vita e la gloria che ora il Figlio di Dio nella carne umana ha guadagnato per la nuova razza umana per mezzo della Sua perfetta ubbidienza.

Opposto a questa spiegazione del patto con Adamo, virtualmente solo, vi fu il teologo Protestante Riformato Herman Hoeksema. Già nei primi anni ’20 del 1900, in scritti che furono poi presto pubblicati in olandese nel booklet De Geloovigen en Hun Zaad e che furono più tardi tradotti e pubblicati in inglese nel libro Believers and Their Seed (I Credenti e la Loro Discendenza), Hoeksema sottopose ad un’acutissima critica questa nozione prevalente che insegnava che il patto con Adamo era un accordo condizionale col quale Adamo avrebbe potuto meritare una vita più elevata. Hoeksema era uno nel concordare con la tradizione Riformata che la relazione tra Dio ed Adamo era un patto. Ciò che egli rigettava erano gli insegnamenti riguardanti il fatto che il patto era un accordo condizionale, e in modo particolare che l’ubbidienza di Adamo nel patto era (o avrebbe potuto essere) meritoria. Contro la concezione popolare del patto con Adamo, Hoeksema propose una visione radicalmente differente. Questa visione, mentre da un lato rende piena giustizia all’insegnamento biblico e confessionale della rappresentatività di Adamo come capo federale nel patto, vede quest’ultimo alla luce dell’insegnamento scritturale che l’idea fondamentale del patto è un vincolo di comunione nell’amore, non un accordo condizionale. Questa visione pone anche il patto con Adamo, come anche il patto di grazia in Gesù Cristo, sullo sfondo del grande archetipo del patto, che è la vita triuna di Dio Stesso in quanto comunione nell’amore. Alcuni dei più commuoventi passaggi in tutti gli scritti di Hoeksema sono quelli che descrivono la benedetta vita pattale di Dio come comunione di Padre, Figlio, e Spirito Santo, sempre nel contesto della sorprendentemente graziosa volontà di Dio di far partecipare altri, in un modo creaturale, alla beatitudine della Sua propria vita.3 In anni recenti, altri teologi Riformati di nota hanno messo in questione quella che potrebbe essere chiamata la dottrina tradizionale del patto di opere. Facendo appello al suo collega, il teologo olandese S. G. De Graaf, G. C. Berkouwer criticò la dottrina del patto di opere come comunemente compresa dai teologi Riformati e Presbiteriani.4 Anche il teologo Presbiteriano John Murray ha espresso forti riserve riguardo alla dottrina tradizionale del patto di opere. Murray preferiva non chiamare la relazione tra Dio ed Adamo come "patto," ma piuttosto faceva riferimento ad essa come "l’Amministrazione Adamitica." Sia Berkouwer che Murray, come Hoeksema prima di loro, avevano problemi con le nozioni di accordo e di merito che stanno al centro della dottrina tradizionale.5 Di recente, l’eresia conosciuta come "Federal Vision" ha portato in primo piano la dottrina del patto con Adamo. Come parte del loro sviluppo della dottrina di un patto condizionale, e seguendo il teologo Riformato olandese Klaas Schilder, Norman Shepherd ed i suoi discepoli rigettano il patto di opere per come tradizionalmente compreso. In difesa di questa reiezione essi fanno occasionalmente appello alla reiezione del patto di opere da parte di Herman Hoeksema. Questo appello è sia fuorviante che errato. E’ fuorviante perché lascia l’impressione che vi è qualche accordo tra la teologia di patto di Herman Hoeksema, e la teologia di patto della Federal Vision. Infatti, la teologia pattale di Herman Hoeksema è la nemica giurata della Federal Vision.6

L’appello alla reiezione di Hoeksema del patto di opere da parte degli uomini della Federal Vision è errata perchè l’obiezione fondamentale di Hoeksema contro il patto di opere era differente da quella dei proponenti della Federal Vision. Hoeksema obiettava alla nozione che Adamo per mezzo della sua ubbidienza potesse guadagnare una vita più elevata, celeste, eterna. Anche se Hoeksema formulò la sua obiezione dicendo che Adamo era incapace di meritare questo tipo di vita, la sua obiezione valeva, in maniera più generale, contro qualsiasi insegnamento che vedeva Adamo meritare una vita di qualità più alta per se stesso e la razza umana in qualsiasi maniera. Vedendo il patto con Adamo alla luce dell’eterno decreto di Dio di glorificare Se Stesso mediante la realizzazione del Suo patto in Gesù Cristo, Hoeksema insisteva che soltanto il Figlio di Dio in carne umana poteva ottenere la vita più elevata, celeste, migliore, eterna, per Se Stesso e l’umanità eletta, nella via della Sua croce e risurrezione. Hoeksema negava che nel patto in Paradiso Adamo avrebbe potuto meritare qualcosa da Dio. Ma questo diniego della possibilità di meritare da parte di Adamo non implicava una reiezione della rappresentanza federale di Adamo come capo nel patto. Anche se credeva che il patto con Adamo fosse essenzialmente un vincolo di comunione, Hoeksema rese piena giustizia all’aspetto legale della relazione. Hoeksema insegnò che a motivo del fatto che Adamo era il capo legale e federale, la sua disubbidienza fu imputata a tutta la sua posterità, Cristo soltanto eccettuato.

Né il diniego di Hoeksema della possibilità di Adamo di meritare qualcosa implicava un diniego del fatto che l’opera di Gesù Cristo fosse meritoria. In questo aspetto vi è una differenza significativa tra il primo Adamo, che era un mero uomo, ed il secondo Adamo, che è personalmente l’eterno Figlio di Dio. Hoeksema insegnò enfaticamente che con la Sua obbedienza Gesù Cristo meritò la salvezza per tutti i Suoi. L’obiezione contro il patto di opere da parte degli uomini della Federal Vision è radicalmente differente. Essa è parte della reiezione dell’aspetto legale della religione Cristiana. Non soltanto Adamo non poteva meritare da Dio, ma la sua disubbidienza non fu imputata alla sua posterità. Inoltre, l’opera di Gesù Cristo non fu meritoria. Quindi, di conseguenza, per la Federal Vision la giustificazione non è strettamente un atto legale, ovvero l’imputazione dell’ubbidienza di Cristo al peccatore eletto per mezzo della sola fede. Ciò che fa risaltare la differenza tra Hoeksema e gli uomini della Federal Vision è il fatto che, anche se essi negano che Adamo avrebbe potuto meritare una vita più elevata ed alta, gli avvocati della Federal Vision tuttavia concedono che Adamo avrebbe potuto ottenere la vita più elevata per se stesso e la razza col "maturare" in quella vita con la sua ubbidienza. Hoeksema avrebbe condannato questa nozione tanto vigorosamente quanto la nozione di guadagnare. Egli avrebbe risposto con l’accusa che non vi è differenza tra un mero meritare, da parte dell’uomo, la vita più elevata, eterna con la sua opera ed un mero ottenere da parte dell’uomo questa vita con la sua opera. In realtà, non c’è differenza, in entrambi i casi un mero uomo si fa strada verso la vita più elevata del cielo e non la riceve come un dono di grazia attraverso Gesù Cristo.

 

La Rivelazione di un Patto con Adamo

I primi tre capitoli di Genesi non affermano esplicitamente che la relazione tra Dio ed Adamo, prima della caduta, era un patto. E’ chiaro, tuttavia, che vi era una relazione peculiarmente intima tra il Creatore e l’uomo, la Sua creatura. Ciò è evidente dalla meravigliosa creazione dell’uomo ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1:26-27). La speciale relazione che vi era tra di loro diviene evidente dal fatto che Dio parla ad Adamo ed Eva immediatamente al momento della loro creazione, col benedirli, e mandandoli ad essere fruttuosi e ad avere dominio sull’intera creazione terrestre, e concedendo loro il diritto di usare e godere, non soltanto di piante ed alberi, ma anche dell’intera creazione di Dio (Genesi 1:28-30). La relazione tra Dio ed Adamo è presupposta nel comandamento di ornare e custodire il giardino, come anche nella proibizione contro il mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male (Genesi 2:15-17).

Che vi fosse un’intima relazione tra Dio e l’uomo in paradiso, ed, infatti, la natura di quella relazione, il racconto dell’apparizione di Dio ad Adamo ed Eva dopo la loro disubbidienza lo rende chiaro. "Ed essi udirono la voce del SIGNORE Dio che camminava nel giardino nel fresco del giorno" (Genesi 3:8). Jehovah Dio Stesso regolarmente Si presentava ai Suoi amici in una qualche forma visibile, e camminava con loro e parlava loro. Anche se la parola "patto" non è usata nella storia del paradiso per descrivere quella relazione, il resto della Scrittura stabilisce che la relazione unica e stretta tra Dio ed Adamo era un patto. La Scrittura stabilisce che la relazione tra Dio ed Adamo era un patto biblico, un patto ordinato ed istituito da Dio, un patto che rifletteva la Sua natura e vita, un patto che si addiceva ad una relazione tra il sovrano Creatore e la dipendente creatura. Vi è, primo, il fatto ovvio che dopo la caduta Dio si relaziona alla nuova razza umana in Cristo solo per mezzo di patto (Genesi 3:15; 6:18; 17:7; Esodo 2:24; Geremia 31:31-34; Ebrei 8:6; Rivelazione 21:3). Secondo, Osea 6:7, correttamente tradotto, afferma espressamente che la relazione tra Dio ed Adamo era un patto. La Versione Autorizzata inglese del 1611 traduce questo verso in modo che la parola ebraica adam viene resa con uomini. La parola può sicuramente fare riferimento all’umanità in generale, ma è anche il nome proprio del primo uomo, Adamo. Ha poco o nessun senso per il profeta dire che gli Israeliti hanno trasgredito il patto "come uomini." Sarebbe come dire che i cani mordono come cani. Costruendo sulla legge, i primi cinque libri di Mosè, come fecero i profeti, Osea paragonò la trasgressione di Israele a quella di Adamo. Entrambe le violazioni furono violazioni di patto. Entrambi furono grandi peccati, in verità la più grande iniquità. Entrambi furono atti di tradimento col quale Adamo ed Israele tradirono il loro amico divino. Oltre ogni dubbio ciò è descritto da Romani 5:12 e a seguire. Come Cristo, di cui Adamo era "la figura" (v. 14, il greco è tupos, ‘tipo’), Adamo fu creato da Dio come rappresentante legale della razza umana, così che "per l’offesa di uno il giudizio venne su tutti gli uomini a condanna" e "per la disubbidienza di uno molti furono resi peccatori" (vv. 18-19). Proprio come il fatto che Cristo è il capo della nuova razza umana nel patto, così anche Adamo era capo in un patto, era un capo federale. Ma cosa era quel patto con Adamo?

 

Il Patto di Opere

La concezione prevalente, in realtà quasi unanime, tra i teologi Riformati fino a tempi recenti, è stata che il patto con Adamo era un patto di opere. Con questo la tradizione intendeva che il patto con Adamo era un accordo o perfino un contratto tra Dio ed Adamo. Poiché è molto difficile trovare perfino una sembianza di un accordo nel passaggio che sta alla base della nozione di un patto d’opere, e cioè Genesi 2:15-17, come è difficile trovare un accordo tra il Creatore ed Adamo dovunque in Genesi 1 e 2, i sostenitori del patto d’opere spesso riconoscerebbero che il patto fu stabilito da Dio soltanto ("unilateralmente"). Il mantenimento di questo patto, tuttavia, essi hanno insistito, aveva la natura di un accordo genuino. Nel suo mantenimento, il patto era "bilaterale." Il patto era un accordo reale tra due parti contraenti.

Herman Witsius definì il patto di opere come "un accordo tra Dio ed Adamo, formato secondo l’immagine di Dio, come il capo e la radice, o rappresentante, dell’intera razza umana, col quale Dio gli promise vita eterna e felicità, se prestava ubbidienza a tutti i suoi comandamenti, minacciandolo di morte se falliva nel minimo punto: ed Adamo accettò questa condizione."7

In quanto accordo, il patto era condizionale. Esso dipendeva dall’adempimento, da parte di entrambe le parti contraenti, di certe stipulazioni. Dio richiedeva ad Adamo che si trattenesse dal mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male come condizione per guadagnare la vita eterna. Adamo stipulò che, a condizione della sua ubbidienza alla proibizione divina, Dio doveva dargli la vita eterna che egli avrebbe guadagnato con la sua ubbidienza.

Joahnnes Heidegger disse chiaramente che mediante le condizioni del patto di opere le due parti contraenti erano molto realmente vincolate l’una all’altra ad adempiere le loro mutue obbligazioni.

Non è Dio soltanto che prescrive e promette qualcosa all’uomo; anche l’uomo entra nel patto di Dio, Deuteronomio 29:12 (così che tu entri nel patto del Signore tuo Dio, e nel Suo giuramento che il Signore tuo Dio ti fa in questo giorno). Egli promette ubbidienza a Dio, quando Egli impone le Sue condizioni, ed aspetta da Lui una promessa. E aggrappandosi in questo modo a Dio, in accordo coi termini del Patto, l’uomo per così dire Lo vincola con la sua omologia, o assenso, con la forza di una disposizione divina, a conferirgli amore e benefici. Così che in questo modo le condizioni dell’uomo e di Dio sono distinte, il loro assenso è distinto, ed in questo senso il patto vero e proprio è correttamente chiamato mutuo e a doppia via.8

I teologi Riformati di solito hanno identificato tre elementi principali del patto con Adamo.

Vi era una promessa divina ad Adamo di vita eterna. Questa vita eterna non era concepita come vita terrena che durava in eterno nel paradiso della prima creazione. Piuttosto, i difensori del patto di opere hanno spiegato la vita eterna promessa ad Adamo come qualitativamente più alta, come la vita celeste che Gesù Cristo ha infatti ottenuto per la nuova razza umana. Questa promessa è supposta essere implicata dalla punizione con cui fu minacciato Adamo in Genesi 2:15-17.

Un secondo elemento del patto di opere era una condizione. La condizione era l’ubbidienza di Adamo al comandamento di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male come un’opera di Adamo con la quale egli avrebbe meritato la vita eterna.

Il terzo elemento era la punizione con la morte in caso di disubbidienza.9

Della visione tradizionale è degno di nota l’insegnamento che Dio ed Adamo fecero l’accordo qualche tempo dopo la creazione di Adamo. Il patto di opere fu concordato quando Dio venne ad Adamo con la proibizione di Genesi 2:17. Mediante, in e con la parola di Dio: "Ma dell’albero della conoscenza del bene e del male, non ne mangerai, perché nel giorno che tu ne mangi di certo morirai," fu fatto l’accordo.

Parte integrale della dottrina del patto di opere era anche il fatto che esso era meramente un mezzo per raggiungere un fine che non era il patto stesso. Esso era un disposizione divinamente ordinata della vita del primo Adamo, che poteva metterlo in grado di raggiungere il fine di una vita più elevata, celeste, eterna. Il patto era il mezzo; la vita immortale e celeste era il fine. Intitolando la sezione in cui trattava il patto di opere "Destino Umano," Herman Bavinck parlò del mezzo col quale l’uomo sarebbe arrivato al suo destino. Il patto di opere era "la strada verso la benedizione celeste per i primi esseri umani, che erano creati ad immagine di Dio e non erano ancora caduti."10

Fondamentale alla dottrina di un patto di opere è la nozione di merito. Col suo accordo condizionale con Dio, con le sue opere, in modo particolare l’opera di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, Adamo avrebbe guadagnato da Dio un grande bene che non possedeva in quel momento, e cioè la vita eterna e celeste. Se la nozione di merito è tolta dalla dottrina, la dottrina tradizionale del patto di opere collassa. Anche se i teologi Riformati non avevano usato il termine "merito" per descrivere ciò che Adamo era capace di fare nel patto di opere, l’idea di meritare era inerente alla dottrina stessa. Con l’opera di adempiere una condizione, Adamo poteva ottenere qualcosa da Dio, come qualcosa che gli era dovuta, una vita eterna che al momento in cui fu creato egli non aveva. Questo è merito, anche se il termine è evitato. Ma, sorprendentemente, i teologi di solito usarono questa parola. Formulando il consenso della tradizione Riformata dopo Calvino, Heppe scrisse: "A condizione che Adamo avesse prestato perfetta ubbidienza gli fu promessa vita eterna … che egli doveva meritare per se stesso ex pacto."11

Louis Berkhof osservò che nella "relazione puramente naturale" in cui Adamo si trovava nei confronti di Dio in virtù della creazione, egli "non avrebbe potuto meritare niente." In virtù del patto di opere, è chiaramente implicato qui, Adamo avrebbe potuto meritare qualcosa.

Nel patto di opere, Adamo "acquistò certi diritti condizionali." Quando Berkhof aggiunse: "Questo patto mise in grado Adamo di ottenere la vita eterna per se stesso e i suoi discendenti nella via dell’ubbidienza," il significato è che Adamo avrebbe meritato la vita eterna per se stesso e i suoi discendenti.12

Anche il teologo Riformato contemporaneo Cornelis P. Venema usa la parola "merito," anche se con notevole timidezza. Il suo è uno scritto curioso in ogni sua parte. Venema intende difendere la dottrina tradizionale del patto di opere, particolarmente la dottrina del patto di opere nella Confessione di Fede di Westminster, contro "critiche recenti." Il titolo dell’articolo è: "Critiche Recenti del ‘Patto di Opere’ nella Confessione di Fede di Westminster."13 Nella sua indagine dei critici del patto di opere, Venema riesce a lasciarsi sfuggire il teologo Riformato che più acutamente e pervasivamente di qualsiasi altro e prima di tutti quelli menzionati da lui ha rigettato il patto di opere: Herman Hoeksema. Quindi egli trascura anche le pesanti critiche di Hoeksema alla dottrina tradizionale.

Poi, anche se si propone di difendere la tradizione, Venema descrive coerentemente il patto con Adamo come "una relazione pattale di comunione o amicizia con Dio."14 Questo di certo non è né il linguaggio né la concezione della tradizione Riformata. La tradizione Riformata ha sempre visto il patto con Adamo come un accordo, e perfino come un contratto d’affari condizionale. Di chi è debitore Venema per questa concezione radicalmente differente del patto con Adamo? O, forse, ha egli fatto una scoperta teologica riguardo a quel patto? Ripudierebbe ora i termini "accordo," e "contratto condizionale?" Egli non ce lo dice. Che la sua differenza con la tradizione è soltanto superficiale diviene evidente quando egli difende l’uso del termine "merito" per descrivere l’attività di Adamo nel patto di opere, anche se la sua difesa è esitante, perfino ambigua, che di certo non dovrebbe essere il modo di difendere l’elemento del patto di opere che è fondamentale alla dottrina.

Il fatto è che Dio, ha, coll’entrare in un patto con l’uomo, vincolato se stesso con le promesse come con le richieste/obbligazioni di quel patto. Ciò significa che l’ubbidienza di Adamo al comandamento probatorio, anche se era un mettere in pratica ed uno sviluppo della comunione pattale in cui fu posto dal favore preveniente di Dio, tuttavia avrebbe "meritato" la redarguizione di giustizia che Dio stesso aveva promesso … I termini del comandamento probatorio … permettono un uso qualificato del linguaggio di "merito," o "redarguizione."15

Il fatto che Venema impieghi delle parentesi per difendere le parole "merito" e "redarguizione," fondamentali alla dottrina che lui sta difendendo, indica o che si trova grandemente a disagio con esse, cosa che avrebbe dovuto fermarlo nel difenderle, o deliberate ambiguità, che non è degna di un teologo. E poi suggerire che "merito" e "redarguizione" sono sinonimi ("uso qualificato del linguaggio di ‘merito’ e ‘redarguizione’") è inescusabile. Da teologo Riformato che sottoscrive il Catechismo di Heidelberg, il Dr. Venema sa molto bene che la fede Riformata distingue acutamente tra "merito" e "redarguizione" e che questa distinzione è basilare alla controversia Riformata con Roma, la grande sostenitrice del merito umano. All’obiezione Cattolico-Romana alla verità della giustificazione per sola fede: "In che modo le nostre buone opere non meritano niente, mentre tuttavia è la volontà di Dio di redarguirle in questa vita ed in quella a venire?" il Catechismo di Heidelberg risponde: "La redarguizione proviene non da merito, ma da grazia."16 La redarguizione, in quanto data per grazia, è confessata dalla fede Riformata. Il merito, per quanto riguarda meri uomini, le confessioni Riformate lo rigettano, in realtà lo abominano.

Qualsiasi cosa le sue virgolette a "merito" possano indicare, Venema insegna, di fatto, che Adamo avrebbe potuto meritare nel senso pieno e reale della parola. Senza nessuna virgoletta, ed in italiche per enfasi, egli scrive: "Nel patto stesso, Dio vincolò se stesso a concedere, come una redarguizione in qualche senso ben meritata, la pienezza della comunione di patto in cui Adamo era chiamato."

"Ben meritata!"17

A conferma della sua difesa del robusto meritare di Adamo, Venema difende la sua dottrina dell’abilità di Adamo di poter meritare appellandosi all’opera meritoria di Cristo.

Questa [cioè, l’affermazione che nel patto di opere Adamo poteva meritare—DJE] diviene specialmente significativa quando consideriamo l’opera di ubbidienza di Cristo, il Mediatore del patto ed il secondo Adamo. Cristo, con il suo ubbidiente adempimento di tutto ciò che la legge richiedeva, può legittimamente essere detto aver meritato [nessuna virgoletta—DJE] o guadagnato [nessuna virgoletta—DJE] il favore del Padre nei confronti del suo popolo.18

Per Venema, tanto quanto sicuramente e realmente Cristo meritò nel patto di grazia, cosí anche Adamo avrebbe potuto meritare nel patto di opere.

Questa dottrina del patto di opere ricevette uno status quasi confessionale nelle chiese Riformate nel diciassettesimo secolo con la sua incorporazione nella Formula del Consenso Elvetica (1675), anche se il credo non fu cosí incauto nell’usare la parola "merito."

Inoltre quella promessa annessa al Patto di Opere non era una continuazione solo della vita e della felicità terrena, ma la possessione specialmente della vita eterna e celestiale, una vita, cioè, di corpo ed anima in cielo, se l’uomo avesse seguito il corso di una perfetta ubbidienza, con indicibile gioia in comunione con Dio … Quindi non possiamo assentire all’opinione di coloro che negano che una redarguizione di beatitudine celeste era profferta ad Adamo a condizione di ubbidienza a Dio, e non ammettiamo che la promessa del Patto di Opere era qualsiasi altra cosa che una promessa di vita eterna che abbondava di ogni tipo di bene che può essere adatto per il corpo e l’anima in uno stato di perfetta natura, e il suo godimento in un Paradiso terrestre.19

E’ in dubbio il fatto che chi è vincolato dagli Standard di Westminster sia impegnato a difendere la nozione che Adamo avrebbe potuto meritare la vita eterna e celeste con la sua opera di ubbidienza. La Confessione descrive di certo il patto con Adamo come un "patto di opere, in cui la vita era promessa ad Adamo, ed in lui alla sua posterità, a condizione di ubbidienza perfetta e personale." Ma né qui né nel Catechismi gli Standard di Westminster parlano del fatto che Adamo era in grado di meritare qualcosa. Né essi definiscono "la vita promessa ad Adamo" come la vita più elevata, immortale ed eterna che Cristo ha ora vinto per la nuova razza umana.20

 

"Quella Profana, Empia Parola ‘Merito’"

La critica fondamentale della dottrina del patto di opere, una critica mossa contro la fondazione stessa di essa, in modo che la dottrina ne viene demolita, è che un mero uomo, Adamo, non avrebbe mai potuto meritare da Dio, nemmeno in uno stato di perfezione senza peccato. Meritare da Dio da parte di un mero uomo sarebbe compiere un’opera che merita pagamento da parte di Dio.

Il merito rende Dio debitore nei confronti di un mero uomo. Dio ora deve qualcosa ad un mero uomo. Dio è obbligato nei confronti di un mero uomo, ed è obbligato da un’opera che un mero uomo ha compiuto. Siccome quel mero uomo deve a Dio perfetta ubbidienza in virtù del fatto che è stato creato da Dio, il merito implica un’opera da parte di un mero uomo al di sopra ed oltre la perfetta ubbidienza richiesta da lui in quanto creatura. In ambito di merito, dovrebbe esserci un accordo ben definito tra la dignità dell’opera meritoria ed il valore del pagamento che è guadagnato dall’opera. Non si paga il chirurgo che ha compiuto un trapianto di cuore di successo con mezzo staio di pomodori coltivati in casa. Il mero uomo che merita non è grato a Dio per ciò che di buono ha guadagnato, né dovrebbe esserlo. Egli si aspetta la sua ricompensa e la vede giungere. La merita. Dio gliela deve. E’ un pagamento. In realtà egli può legittimamente vantarsi di aver guadagnato quella cosa buona mediante la sua propria opera (meritoria).

Nel caso della relazione tra Dio ed un mero uomo, il merito è diametricamente opposto al libero favore e alla bontà di Dio. Parafrasando l’apostolo in Romani 11:6, se la vita eterna era ottenibile per merito nel patto con Adamo, allora non era più per libero favore. Adamo non era capace di meritare. In quanto mero uomo, era obbligato nei confronti di Dio ad amarlo con tutto il suo cuore, mente, anima, e forza, e ad amarlo perfettamente. In base all’insegnamento di Gesù, se Adamo avesse fatto tutto quanto Dio gli aveva comandato, incluso il facile astenersi dal frutto di un albero nel giardino, egli avrebbe dovuto dire, ed avrebbe detto: "Io sono un servo inutile, ho fatto quello che era mio dovere fare" (Luca 17:10).

Nella sua giustizia originale, Adamo era incapace di concepire la sua relazione a Dio come una relazione di merito. Se un sostenitore del patto di opere si fosse trovato in paradiso (prima della caduta) per suggerire ad Adamo che il suo servizio a Dio era meritorio, Adamo lo avrebbe cacciato fuori dal giardino in indignazione: "Servirò questo Creatore gloriosamente buono e meravigliosamente benevolo, mio Padre, con uno spirito che mira al guadagno, piuttosto che con uno spirito di amore, di ringraziamento? Forse che il mio Fattore, il Dio del cielo e della terra, nel quale io vivo e mi muovo e sono, dal quale ho ricevuto l’intera gloriosa creazione terrestre, dal quale io dipendo, non soltanto per il mio prossimo respiro, ma anche per ogni buon pensiero che penso ed ogni buon desiderio che ho, e che è un privilegio servire, dovrà essere indebitato con me?"

La serietà dell’errore dell’attribuire del merito ad un mero uomo, che sia Adamo prima della caduta o i figli caduti di Adamo, non è soltanto che quest’errore ascrive troppo all’uomo, ma anche che sminuisce Dio. Se un mero uomo guadagna qualcosa, Dio gli deve qualcosa. La Sua bontà nei confronti dell’uomo non è più libera e sovrana, Dio è dipendente dalla creatura meritevole. E se ciò che è guadagnato dall’uomo è niente di meno che la vita e la gloria eterna, che, infatti, dovettero richiedere l’incarnazione, espiazione e risurrezione di Gesù Cristo affinchè fosse ottenuta per la razza umana eletta, il merito sminuisce, in realtà nega, il libero favore di Dio per quanto riguarda il bene più alto. L’uomo ottiene il bene più alto che Dio può conferire all’uomo, non mediante il puro, immeritato favore di Dio, ma per l’opera propria dell’uomo. Eternamente—questa è l’implicazione del tradizionale patto di opere—la relazione di Dio alla razza umana sarebbe stata: divino debitore/umano obbligante.

Il fatto che i teologi Riformati avvertivano che il merito era un elemento estraneo alla confessione Riformata della verità, proprio mentre lo affermavano essere la base del patto con Adamo, è da mettersi a loro credito. Essi erano specialmente apprensivi riguardo al loro insegnamento di merito a motivo del grande conflitto con Roma proprio su questo errore. Cercando valorosamente di sfuggire le implicazioni della loro dottrina che Adamo avrebbe potuto meritare qualcosa, e per distanziarsi dall’eresia Cattolico-Romana di merito, essi inventarono la distinzione di "merito ex pacto," ovvero che il meritare di Adamo nel patto di opere non era lo stesso di quello Cattolico-Romano della dignità inerente all’opera stessa ("ex condigno"). Esso era un meritare distintamente Riformato, un meritare in virtù del patto che Dio per grazia fece con Adamo. Nello stabilire il patto di opere, Dio graziosamente permise ad Adamo di meritare da Lui.

Bavinck è stato rappresentativo dei più solidi teologi Riformati nel suo disagio con la nozione di merito nel patto di opere e nella sua preoccupazione a distinguere questa nozione di merito da quella di Roma.

E’ anche possibile, dopo tutto, postulare una connessione forgiata da Dio tra certe promesse di redarguizione e certe opere tali che la redarguizione non è in un senso stretto meritata ex condigno da quelle opere. La promessa della vita eterna fatta ad Adamo in caso di disubbidienza era di una simile natura, come i teologi Riformati hanno insegnato nella loro dottrina del patto di opere. Vi era un merito ex pacto (che sgorgava dal patto), non ex condigno. Le buone opere di un uomo non meritano mai la gloria celeste, esse non sono mai dello stesso peso e dignità (condignitas). Roma, tuttavia, coll’introdurre l’idea di meritorietà delle buone opere sia nel caso del credente che di Adamo, fallisce nel rendere piena giustizia alla grazia.21

Questo valoroso sforzo di iniettare la nozione di merito da parte di un mero uomo nella teologia Riformata per mezzo di una distinzione, e cioè quella di "merito ex pacto," è un completo fallimento.

Primo, la debolezza e il pericolo dello sforzo dovrebbe essere evidente dal fatto che una tale distinzione è necessaria per distinguere merito nel patto di opere dall’eresia Cattolico-Romana. Roma anche si riduce a tali distinzioni per rendere il merito gradevole a chi è poco accorto. In addizione al suo merito ex condigno, Roma ha inventato un merito ex congruo, cioè, il merito di un’opera che non guadagna il pagamento divino per l’inerente dignità dell’opera, ma soltanto perché l’opera piace a Dio. Il merito Riformato ex pacto è essenzialmente la stessa cosa del merito Cattolico-Romano ex congruo. Tutte queste distinzioni di tal tipo sono inutili e ingannevoli. Merito è merito è merito. Ogni merito da parte di un mero uomo è guadagnare da Dio un pagamento che è meritato.

Secondo, se la validità del merito ex pacto è concessa nel patto di opere, cosa proibirà un merito ex pacto nel patto di grazia? Perché Dio, che concesse ad Adamo il diritto di meritare in virtù del patto di opere non concede anche ai credenti il diritto di meritare da Lui nel patto di opere, naturalmente ex pacto? Che questo non sia un pericolo immaginario è chiaro dal fatto che i difensori del patto di opere sono entusiasti di avere condizioni nel patto di grazia così come lo sono nell’avere una (meritoria) condizione nel patto di opere.

Terzo, Dio Stesso non poteva porre una mera creatura umana in condizione di meritare da Lui, che fosse ex condigno, ex congruo, ex pacto, o ex qualsiasi altra cosa. Ciò era impossibile per due ragioni: primo, avrebbe reso l’uomo inumano, o superumano. Essere meramente umano è dovere a Dio perfetta ubbidienza in modo che si è un servitore inutile quando si ubbidisce perfettamente. Essere uomo è essere completamente dipendente dalla libera bontà e favore di Dio. In virtù della creazione, l’uomo è sempre debitore a Dio. Per Dio, aver messo in grado ad un mero uomo di meritare, sarebbe significato contraddire la vera umanità che Egli Stesso aveva creato. Secondo, era impossibile per Dio permettere ad un mero uomo di meritare, anche ex pacto, perché è impossibile per Dio negare Se Stesso (II Timoteo 2:13). Dio non può abbandonare la Sua sovranità nel Suo rapportarsi all’uomo. Dio non può sacrificare il Suo libero favore affinchè l’uomo guadagni, quando si tratta di conferirgli il bene più alto. Dio non può mettersi nella posizione di essere debitore nei confronti dell’uomo. Dio non può permettere ad un mero uomo di vantarsi di aver ottenuto la vita eterna. Dio non può dare via la Sua gloria ad un altro. Ciò sarebbe "s-deificare" Se Stesso.

Oltre a tutto questo, vi sono le insuperabili difficoltà connesse all’insegnamento che ciò che Adamo avrebbe potuto meritare era la vita e la gloria eterna che ora Gesù Cristo ha vinto per la chiesa eletta. Ho già messo in evidenza che la Formula del Consenso Elvetico difendeva questa posizione. Bavinck era d’accordo: "Cristo non soltanto acquistò quanto Adamo perse, ma anche quanto Adamo, nella via dell’ubbidienza, avrebbe guadagnato."22

Un’obiezione a ciò è che non vi è corrispondenza tra l’opera meritoria e il pagamento che esso guadagna. Tutto ciò che un Adamo perfettamente privo di peccato doveva fare era trattenersi dal mangiare un pezzo di frutto. Con questa opera avrebbe guadagnato per se stesso e l’intera razza la vita molto più gloriosa, eterna e celeste che Cristo vinse per la chiesa, e il cambiamento radicale dell’intero universo nei nuovi cieli e nuova terra.

Un’altra obiezione, più pesante, è che l’insegnamento che Adamo avrebbe potuto guadagnare la vita eterna e celeste sminuisce Gesù Cristo e la Sua opera. Il Figlio incarnato di Dio realizza meramente quanto il mero uomo Adamo avrebbe potuto fare. Tutto ciò che Cristo fece con la Sua incarnazione, morte espiatoria, e risurrezione, Adamo avrebbe potuto farlo col non mangiare un pezzo di frutto. Cristo porta solo un rimanente nella gloria. Almeno per quanto riguarda i loro poteri e potenziali, Adamo e Cristo sono uguali.

Contro questo la coscienza Cristiana di ognuno che conosce l’unicità della Persona, della posizione, la dignità, la potenza e l’opera di Gesù Cristo, si ribella. Cristo ha fatto quello che Adamo non poteva fare. Cristo ci ha portato dove Adamo non avrebbe mai potuto portarci. Cristo è esaltato sopra Adamo, per quanto riguarda i loro poteri, come il cielo è al di sopra della terra.

Questo è l’insegnamento dell’apostolo in I Corinzi 15:45 e a seguire. Adamo era "dalla terra, terrestre, il secondo uomo [Cristo] è il Signore dal cielo" (v. 47). Tutto quanto era in potere di Adamo nel patto di cui era capo era confermare se stesso e la sua posterità nella piacevole vita terrena nella quale fu creato: "Come è il terrestre, tali sono anche quelli che sono terrestri" (v. 48). Soltanto il Signore dal cielo poteva portare la nuova razza umana in una vita più alta, molto migliore, spirituale, e celeste: "e come è il celeste, tali sono anche quelli che sono celesti" (v. 48). Noi rigettiamo la tradizionale teologia del patto di opere con la sua nozione fondamentale che Adamo avrebbe meritato la vita eterna, perché siamo determinati ad onorare Gesù Cristo.

Mediante l’insegnamento che Adamo avrebbe potuto meritare ciò che Cristo ha ottenuto per la chiesa, il patto di opere postula un’opera di Dio nella storia che è indegna di Dio. L’opera di Dio è in larga misura un fallimento. Attraverso la tremenda e costosa opera dell’incarnazione, espiazione e risurrezione e nell’agonizzante via del peccato, della sofferenza, del combattimento, e della morte, Dio ne porta relativamente pochi alla gloria, mentre Egli avrebbe potuto portare tutta l’umanità, senza eccezione, alla stessa gloria con la facile, economica opera dell’ubbidienza di Adamo e senza nessuna miseria.

Herman Hoeksema aveva ragione nella sua devastante critica della dottrina del patto di opere, che senza dubbio è la ragione per cui i difensori del patto di opere preferiscono ignorarlo del tutto:

Né vi è qualcosa di attraente riguardo ad essa [la dottrina del patto di opere]; né essa apre gli occhi sulla gloriosa opera di Dio riguardante il Suo patto. Essa in realtà ci fa stare sempre coi nostri nasi nostalgicamente appoggiati sulla recinzione del Paradiso, con il futile desiderio nelle nostre anime che Adamo non fosse caduto! Perché dopo tutto, se è vero che anche Adamo era capace di quanto Cristo ora conferisce su noi, se solo fosse rimasto in piedi, allora rimane eternamente tragico il fatto che il primo Paradiso non è più lì e che noi non riceviamo la vita eterna attraverso l’ubbidienza del primo uomo. Se solo fosse rimasto in piedi, allora l’intera storia presente di combattimenti e di sofferenza si sarebbe potuta evitare, ed allora tutti gli uomini senza eccezione sarebbero entrati nella vita eterna attraverso di lui. Ma ora non c’è soltanto la paurosa storia fatta di combattimento, tristezza e miseria, con la croce di Cristo al centro, ma anche il fatto che alla fine del corso della storia migliaia e milioni affondano via in un’eterna notte di miseria e di sofferenza infernale. Quindi potrà anche essere vero che il Signore alla fine ha la vittoria, ma il fatto rimane che il diavolo ha avuto successo attraverso la sua tentazione nell’aprire una tremenda breccia nelle opere di Dio. E così arriviamo al punto di criticare, in modo vero e proprio, il consiglio del Signore Jehovah, che di certo ha concepito e voluto tutte queste cose fin da prima della fondazione del mondo.23

Noi facciamo eco a Lutero: "Via con quella profana, empia parola ‘merito’."

La nozione che Adamo guadagna la vita eterna, basilare alla dottrina delle opere, è meramente un’assunzione. Non vi è niente a riguardo di questa nozione nel testo di Genesi 2, né in un’affermazione esplicita né per inferenza. Sulla base di una minaccia di una punizione di morte nel caso Adamo avesse disubbidito, i teologi hanno assunto una promessa di un meritare la vita eterna nel caso Adamo avesse ubbidito. La sola inferenza che può essere legittimamente tratta dal testo è che nella via della richiesta ubbidienza Adamo avrebbe continuato a vivere la benedetta vita nella quale era stato creato e che, in quanto capo del patto, avrebbe confermato se stesso e la razza che rappresentava in questa vita.

 

L’Opera Meritoria dell’Ultimo Adamo

Il fatto che il primo Adamo non poteva meritare da Dio non implica in alcun modo che l’ultimo Adamo, Gesù Cristo, non meritò. Questa è l’implicazione che gli uomini della Federal Vision vogliono trarre dal loro diniego del patto di opere. Con l’offensivo sarcasmo caratteristico di molti del loro gruppo, ed una leggerezza non degna del vangelo, Rich Lusk non soltanto nega, ma anche disdegna la verità che Cristo con la Sua ubbidienza meritò la vita eterna per il Suo popolo. Criticando la dottrina della meritorietà dell’opera di Cristo, Lusk scrive:

Gesù è il Pelagiano di successo, il sol Ragazzo nella storia del mondo che ce l’ha fatta nell’adempiere il piano della giustizia per opere. Gesù ha coperto i nostri demeriti morendo sulla croce e provvede tutti i meriti di cui abbiamo bisogno coll’osservare i termini legali del patto di opere perfettamente. Quei meriti sono allora imputati a noi per sola fede.24

Il lettore non familiare con lo stile del discorso teologico degli uomini della Federal Vision ha bisogno che gli sia detto che questo è il modo di Lusk per negare apertamente che l’opera di Gesù Cristo fu meritoria, cioè, il Suo aver guadagnato la vita eterna per la chiesa eletta (anche se Lusk rigetta anche che via sia una chiesa eletta). Inoltre, questo è il modo di Lusk di negare anche che vi sia un’opera divina di Giustificazione che consiste nell’imputare, da parte di Dio, i meriti di Cristo al peccatore eletto per fede soltanto. Tradendo la sua affinità spirituale con l’eretica teologia della "nuova prospettiva su Paolo," Lusk critica i Riformatori per aver insegnato che l’opera di Cristo era meritoria:

Purtroppo, i Riformatori non sono andati fino in fondo nella loro reiezione di un paradigma di merito/opere. Al contrario, essi hanno teso a rilocare il merito rimuovendolo dalle opere del peccatore e ponendolo nelle opere di Cristo … una rielaborazione più drastica del modello soteriologico è richiesta.25

La reiezione da parte di questo rappresentante della Federal Vision della dottrina della meritorietà dell’ubbidienza di Gesù Cristo è parte del diniego della Federal Vision dell’aspetto legale della religione Cristiana nella sua interezza. Lusk nega l’imputazione della giustizia di Cristo al peccatore eletto per sola fede, cioè, la dottrina Riformata e confessionale della giustificazione: "La giustizia di Dio è la sua propria giustizia, non qualcosa imputato o infuso;" "la giustificazione non richiede nessun trasferimento o imputazione di alcuna cosa. Non ci forza a deificare ‘giustizia’ in qualcosa che può essere portato in giro in libri di contabilità celesti. Piuttosto, siccome sono nel Giusto e nel Vendicato, sono giusto e vendicato. Il mio essere in Cristo rende l’imputazione ridondante."26

Lusk nega l’imputazione della disubbidienza di Adamo alla razza umana, non direttamente ma assicurandoci che "Calvino non credeva nell’imputazione immediata del peccato di Adamo."27

E’ significativo che, nel contesto dell’argomento dell’imputazione, Lusk può descrivere l’opera di Cristo senza affermare che Egli ha soddisfatto la giustizia di Dio al posto di peccatori colpevoli i cui peccati furono a Lui imputati. Senza dubbio l’imputazione a Cristo dei peccati di altri sarebbe stata altresì un insensato "portare in giro in libri di contabilità celesti."

Nel negare che l’ubbidienza di Cristo fu strettamente meritoria, Lusk e il resto degli uomini della Federal Vision contraddicono le confessioni Riformate, alle quali tutti loro professano di aderire e che molti di loro hanno solennemente sottoscritto. Come se avesse tutti i gravi errori di Lusk e della Federal Vision in vista, incluso il loro diniego che l’opera di Cristo fu meritoria, il loro diniego che la giustificazione è l’imputazione dei meriti di Cristo, e il loro diniego che le buone opere di Cristo durante tutta la Sua vita ci sono imputate, la Confessione Belga dichiara quanto segue a riguardo della giustificazione nell’Articolo 22:

[…] noi non intendiamo dire che sia la fede stessa a giustificarci, poiché essa non è che lo strumento per il quale noi abbracciamo Cristo nostra giustizia; ma Gesù Cristo, imputandoci tutti i suoi meriti e tante sante opere che egli ha fatto per noi e a nome nostro, è nostra giustizia […].28

I Canoni di Dordt confessano che la morte di Cristo "merita la redenzione;" che è eresia insegnare che "Cristo, con la Sua soddisfazione, non merita né la salvezza stessa per nessuno, né la fede, per la quale ci si appropria effettivamente di questa soddisfazione di Cristo alla salvezza;" e che nel nuovo patto "la fede … riceve i meriti di Cristo" per la giustificazione.29

Negando la natura meritoria dell’ubbidienza di Cristo, e con questo l’intero aspetto legale del Vangelo, gli uomini della Federal Vision mostrano chiaramente essere dei nemici dei credi Riformati, che molti di loro hanno giurato di sostenere, e che si nutrono di un altro vangelo.

Contro di essi non c’è bisogno che vi sia, e non vi può essere, alcun argomento concernente la natura meritoria dell’ubbidienza di Cristo. Essi sono già confutati e condannati dalle confessioni Riformate. Se avevano una grave obiezione alle confessioni (e il diniego della natura meritoria dell’ubbidienza di Cristo è una grave obiezione), era loro dovere portare la loro obiezione alle assemblee della chiesa affinchè fossero giudicate. Per coloro che hanno sottoscritto i credi, come ufficiali Riformati o Presbiteriani, contraddire pubblicamente l’insegnamento dei credi è rompere una solenne promessa, se non un giuramento. Per quelli che ad alta voce professano di aderire alle confessioni Riformate, contraddire pubblicamente le confessioni, e poi considerare l’insegnamento delle confessioni riguardante i meriti di Cristo, l’imputazione, e la giustificazione, è pura doppiezza. Anche se sarebbe sbagliato cercare di provare agli uomini della Federal Vision che l’opera di Cristo fu meritoria, perché sarebbe una specie di complicità nel loro attacco traditore alle confessioni, è dovuta una certa risposta per dimostrare ai difensori del patto di opere che il diniego che Adamo avrebbe potuto meritare in nessun modo implica un diniego della natura meritoria dell’opera di Cristo. Gesù Cristo meritò da Dio, mentre Adamo non poteva meritare. Gesù Cristo guadagnò la vita eterna per Se Stesso come uomo e per il Suo popolo come la giusta ricompensa dell’opera che Egli compì. Dio doveva a Gesù la vita e la gloria eterna che difatti Gli diede per Se Stesso ed il Suo popolo nella risurrezione. Gesù Cristo aveva diritto alla vita eterna per Se Stesso ed il Suo popolo sulla base della perfetta opera che aveva compiuto. Negare che Cristo meritò è negare che la vita eterna è una questione di diritto. Ciò sarebbe rimuovere le fondamenta dalla salvezza, come anche rimuovere le fondamenta dalla sicurezza del credente di essere salvato. Gesù Cristo meritò da Dio e poteva meritare da Dio perché Egli personalmente è il Figlio eterno di Dio. Egli non è un mero uomo. Un mero uomo non può mai meritare, Dio in carne può meritare, e difatti meritò.

In quanto Dio in carne, Gesù Cristo meritò perchè Egli fece qualcosa che non era un obbligo da parte Sua. Liberamente, Lui, che è in forma di Dio, prese su Se Stesso la forma di un servo e fu reso simile agli uomini (Filippesi 2:5 e a seguire). Liberamente, Lui, che è il Legislatore, Si assoggettò alla legge, per ubbidirvi perfettamente (Galati 4:4-5). Liberamente, Lui, che è colui contro il quale si è peccato e il vendicatore del peccato, prese su Se Stesso la punizione dovuta al peccato. Siccome chi ha meritato è Dio Stesso in carne umana, non è offesa alla divina maestà o un deprivare Dio del Suo onore il fatto che Gesù Cristo guadagnò da Dio. In Gesù Cristo, Dio meritò da Dio! Né ciò è in contrasto con il fatto che Gesù è il benamato Figlio di Dio. Secondo il decreto del Dio triuno che ordina il Figlio eterno in carne umana come il Cristo del patto e del regno, il Figlio divenne il servo di Jehovah, che deve stabilire il patto con la chiesa eletta e rinnovare l’intera creazione come eterno regno di Dio. Un servo deve operare. Egli deve operare con l’amore e la devozione di un figlio, ma deve operare. E l’opera di servo da parte di Gesù Cristo, a differenza di quella richiesta da Adamo, non era meramente per mantenere ciò che Egli aveva, ma per ristorare quello che Lui non aveva portato via (Salmo 69:4). Appartiene alla natura meritoria dell’opera di Gesù Cristo, in contrasto all’opera richiesta da Adamo, il fatto che vi era corrispondenza tra l’opera e la ricompensa. Ciò che Cristo guadagnò non fu soltanto la liberazione della chiesa fuori da tutte le nazioni e della creazione dal peccato e dalla maledizione, ma anche l’esaltazione della chiesa e della creazione in una nuova, eterna, e celeste vita, vita per la creatura, specialmente umana, nella sua forma più alta e più gloriosa, vita che trascende la vita del primo paradiso come il cielo trascende la terra.

Di questa liberazione dalla più profonda miseria nella più alta benedizione, l’opera di Cristo era degna. Essa meritava questa liberazione. La degna opera di Cristo fu la Sua perfetta ubbidienza durata tutta la vita alla volontà di Dio, incluso il Suo sostenere l’ira di Dio in corpo ed anima contro i peccati della razza umana eletta, che culminava nella Sua volontaria soddisfazione della giustizia di Dio per quanto riguarda i peccati del Suo popolo sulla croce, come un atto di perfetto amore verso Dio. A conferire infinita dignità e valore a questa ubbidienza, come i Canoni di Dordt mettono in evidenza, fu la persona che ubbidì, la persona del Figlio di Dio.

La morte del Figlio di Dio è il solo e perfettissimo sacrificio e soddisfazione per il peccato; è di infinita dignità e valore, abbondantemente sufficiente ad espiare i peccati di tutto il mondo. Questa morte deriva il suo infinito valore e dignità da queste considerazioni: perché la persona che vi si sottopose non era soltanto realmente uomo e perfettamente santo, ma anche l’unigenito Figlio di Dio, della stessa eterna ed infinita essenza col Padre e lo Spirito Santo, le cui qualificazioni erano necessarie per costituirlo per noi un Salvatore, e perché fu partecipata con un senso dell’ira e maledizione di Dio dovuta a noi per il peccato.30

Cristo meritò la vita eterna, come Adamo non avrebbe mai potuto meritare, secondo il consiglio di Dio. Dio non intese mai che Adamo portasse la razza umana e la creazione terrene in una vita più elevata, celeste, eterna. Era proprio il "destino" dell’uomo alla sua creazione, come dice Bavinck, che egli arrivasse ad una vita più elevata, celeste, eterna. Ma Dio aveva decretato che l’uomo arrivasse a questo obiettivo non in Adamo, ma in Cristo. La sola via con cui l’uomo poteva raggiungere questo obiettivo non era l’ubbidienza del primo Adamo ma l’ubbidienza dell’ultimo Adamo.

Coloro che insegnano che Adamo avrebbe potuto meritare ciò che Cristo ha ora guadagnato per il Suo popolo, come anche chi insegna che Adamo avrebbe potuto portare la razza e la creazione nella vita eterna con la fedele attività di "maturare," tendono a sminuire, o perfino ignorare, il decreto di Dio che ha stabilito che Cristo avrebbe portato la razza e la creazione in una vita eterna e celeste, e non Adamo. Quando Adamo fallì, Dio ricadde su Cristo. In Colossesi 1:13-20 lo Spirito Santo onora Cristo insegnando che il Dio triuno si è eternamente proposto di "riconciliare tutte le cose a sè" per mezzo di Gesù Cristo, per il quale Egli creò tutte le cose al principio, cosí che Cristo "avesse avuto la preminenza" in tutte le cose.

In accordo con questo decreto, Dio fece il primo uomo "dalla terra, terrestre," come l’apostolo esprime in I Corinzi 15:47, capace soltanto di mantenere se stesso e la sua posterità nella vita terrestre. E’ la prerogativa e la potenza esclusiva del secondo uomo, in quanto Signore dal cielo, che, nella via della redenzione della croce, Egli innalzi Se Stesso, la Sua chiesa, e infine l’intera creazione nella vita celeste (I Corinzi 15:42-58). Se non fosse che gli uomini della Federal Vision deliberatamente mal rappresentano la dottrina confessionalmente Riformata della meritorietà dell’opera di Cristo, non sarebbe necessario aggiungere che Cristo non meritò la grazia e l’amore di Dio per il popolo di Dio. Sforzandosi di ridurre la dottrina Riformata della meritorietà dell’opera di Cristo ad assurdità, Rich Lusk ci assicura che "Gesù mai ebbe da guadagnare il favore di Dio." Lusk torce le parole di Calvino riguardanti il merito di Cristo, che Calvino insegnò in così tante parole, affinchè supportino la tesi di Lusk:

Se tutto quello che Gesù ricevette dal Padre era per grazia, quanto più questo è il caso per i peccatori? Ma se è così, allora parlare di peccatori, o perfino di creature senza peccato, che meritano qualcosa da Dio è assurdo. Più avanti Calvino rende chiaro che Cristo non meritò niente per se stesso (2.17.6) … Calvino rende anche chiaro che non credeva che il Figlio doveva in qualche modo condizionare il Padre ad essere grazioso nei nostri riguardi: la grazia del Padre mandò il Figlio in primo luogo.31

La teologia Riformata non ha bisogno della Federal Vision per insegnare che il merito di Cristo, e in realtà Cristo Stesso nella Sua persona ed opera, non rende Dio grazioso nei confronti del Suo popolo scelto. Dio non è grazioso con noi a motivo di Cristo. Ma Cristo venne a noi per l’eterna grazia di Dio verso di noi. Cristo non fece in modo che Dio ci amasse, ma Cristo è la rivelazione dell’eterno amore di Dio per noi. "Dio mostra il suo amore verso di noi in questo, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo morì per noi" (Romani 5:8).

Né la Federal Vision supponga per un solo momento che il Cristianesimo Riformato confessionale è cosí stupido da sostenere che Dio ci ama ed è grazioso con noi perchè Cristo ci ha redenti. Attaccare la dottrina Riformata del merito di Cristo in questo modo mette in grado la Federal Vision più efficacemente, perché meno apertamente ed onestamente, di minare la verità che è il suo obiettivo reale, e cioè la verità della grazia eterna di Dio verso il Suo popolo per realizzare il Suo proposito della loro salvezza solo per mezzo dell’ubbidienza perfetta, che dura l’intera vita, da parte del capo legale del patto al posto del popolo del patto e per mezzo della Sua morte maledetta come il loro sostituto per soddisfare la giustizia di Dio contro i loro peccato. Inseparabilmente correlata, come oggetto di attacco della Federal Vision, è la verità che la grazia di Dio poteva salvare il Suo popolo soltanto nella via del mettere l’ubbidienza di Cristo nella vita e nella morte sul conto del popolo di Dio per mezzo della sola fede. E la ragione è che questo Dio grazioso è anche giusto.

Siccome Cristo, secondo la volontà del Padre, Si rese volontariamente responsabile della colpa del Suo popolo di patto, Cristo doveva meritare la vita eterna per Se Stesso, come anche per il popolo. "Lascia che sia così ora, perché così ci conviene di adempiere ogni giustizia," Cristo disse in risposta a Giovanni il Battista alla sua obiezione contro il battezzare Cristo col sangue proprio di Cristo (Matteo 3:15). Cristo dovette giustificare Se Stesso (I Timoteo 3:16) Questo è il nostro Cristo. Tanto profondamente Egli umiliò Se Stesso. Per questo noi Lo ameremo, ora e lungo l’estendersi delle epoche. Questa fu la Sua opera per noi e al posto nostro. Quindi, noi siamo determinati a non sapere nient’altro che l’ubbidiente Cristo, e particolarmente Cristo crocifisso. Ignoranti del Cristo meritorio, gli uomini della Federal Vision non conoscono Cristo.

La grazia non annulla la giustizia, come il vecchio liberalismo contendeva, e come la Federal Vision ora propone come il vangelo Cristiano. La grazia di Dio si armonizza con la giustizia di Dio. La grazia onora i requisiti della giustizia. La grazia richiede la giustizia. La grazia provvede la giustizia che richiede. Dunque, la giustizia di Dio in Cristo, cioè la natura meritoria dell’opera di Cristo, esalta la grazia di Dio.

 

Nessun Accordo Condizionale

La nostra obiezione principale al patto di opere riguarda la sua dottrina che Adamo avrebbe potuto meritare da Dio, avrebbe potuto meritare niente meno che la vita eterna che Cristo ha ora meritato per il Suo popolo di patto.

Noi obiettiamo anche all’insegnamento, strettamente correlato, che il patto con Adamo era un accordo tra Dio ed Adamo, un patto mutuo stabilito da Creatore e creatura, che dipendeva dall’adempimento di condizioni. Questa è stata la veduta prevalente del patto con Adamo nella tradizione Riformata.

I sostenitori del patto di opere hanno sempre identificato il patto con Adamo in paradiso con il comandamento che Dio diede ad Adamo in Genesi 2:17: "Ma dell’albero della conoscenza del bene e del male, non ne mangerai, perchè nel giorno che ne mangi morendo morirai." Dio stabilì il patto con Adamo quando Egli disse queste parole. Egli stabilì il patto, quindi, un pò dopo aver creato Adamo. Queste parole sono supposte esprimere la natura del patto. Il patto era un accordo condizionale. Esso era il mezzo col quale Adamo avrebbe potuto meritare la vita eterna.

Non vi è assolutamente niente di tutto questo nella parola di Dio in Genesi 2:17. Trovare l’essenza del patto di Dio con Adamo nel comandamento di Genesi 2:17, e quindi definire il patto come un accordo tra il Dio che comanda e Adamo che ascolta, sono tra le più egregie istanze di quello che gli olandesi chiamano inlegkunde (leggere qualcosa in un passaggio della Scrittura, piuttosto che trarre la verità dal testo considerato; in greco, eisegesis, piuttosto che esegesi) in tutta l’orgogliosa storia dello sviluppo del dogma Riformato.

In Genesi 2:17 il Creatore in modo sovrano istruì la creatura, l’uomo, per quanto riguardava il suo dovere in virtù della sua creazione ad immagine di Dio e all’interno del patto che Dio aveva stabilito con lui fin dal momento della sua creazione. Quel dovere era, in modo specifico, astenersi dal mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male, semplicemente perché il Dio sovrano lo aveva comandato. Dio avvertì l’uomo della punizione susseguente alla disubbidienza.

Adamo non fece mai alcun contratto con Dio. Egli non stese un contratto dipendente da mutue condizioni. Egli non diede nemmeno assenso con la sua volontà alla condizione dalla quale dipendeva lo stabilimento di un patto. Adamo era volenteroso, almeno al momento, ma questo essere volenteroso era il frutto e l’effetto di un patto che già esisteva, non era la cooperazione o il contrattare nel formare un accordo a mò di affare. Adamo semplicemente ricevette la proibizione del suo Amico sovrano, in quanto ragionevole dovere di un servo e figlio nella sua relazione con quell’Amico sovrano.

Nel patto di opere si annida un incipiente Pelagianesimo. Dio e l’uomo cooperano nel patto. Dio e l’uomo operano insieme per realizzare la vita eterna. Dio è pronto a dare la vita eterna, ma il Suo dare è condizionale. Ottenere la vita eterna dipende dalla volontà dell’uomo. Non è sorprendente che Giacomo Arminio insegnò un patto di opere.

Per poter ottenere dall’uomo [Adamo] una volontaria e libera ubbidienza, che, sola è grata a lui, fu la sua volontà entrare in un contratto e patto con lui, col quale Dio richiese ubbidienza, e, d’altro canto, promise una redarguizione, alla quale aggiunse la denuncia di una punizione, cosí che la transazione non sembrasse essere interamente una tra eguali … Se essi [Adamo ed Eva] avessero persistito nella loro ubbidienza … noi pensiamo che era molto probabile che, in certi periodi, gli uomini sarebbero stati traslati da questa vita naturale [animale] per il cambiamento intermedio del corpo naturale, mortale e corruttibile, in un corpo spirituale, immortale, ed incorruttibile, per trascorrere una vita di immortalità e beatitudine in cielo.32

Un pericolo molto reale del concepire il patto con Adamo come un accordo condizionale col quale Adamo avrebbe potuto meritare, o ottenere, la vita eterna, è che questa concezione conduce ad una dottrina del patto di grazia come contratto condizionale per il quale il peccatore può similmente ottenere, se non guadagnare, la vita eterna coll’adempiere la condizione. Il vescovo anglicano del diciassettesimo secolo, ed un delegato inglese al Sinodo di Dordt, John Davenant, basò questo "patto evangelico," universalistico, condizionale, sul patto prelapsario, che egli concepiva come un contratto condizionale tra Dio ed Adamo.

Adamo poteva procurare la salvezza per se stesso e tutta la sua posterità a condizione di ubbidienza alla legge di natura, e all’espresso comandamento di Dio, cosí nel patto di grazia … la salvezza è anche compresa essere procurabile a tutti gli uomini alla condizione pubblicata nel Vangelo, cioè, la fede.33

In accordo con la sua dottrina del patto di opere, anche il teologo Riformato Louis Berkhof descriveva il patto di grazia come un accordo condizionale tra Dio e l’uomo. I "punti di similarità" tra i due patti, secondo Berkhof, includono "b. le parti contraenti, che sono in entrambi i casi Dio e l’uomo; c. la forma esterna, cioè, condizione e promessa; d. i contenuti della promessa che è in entrambi i casi la vita eterna."34

Ciò è trasformare il patto di grazia in un nuovo patto di opere. In vista della nozione di merito che è inerente al patto di opere, è suggerire che, nel patto di grazia, il peccatore più meritare la vita eterna, proprio come Adamo avrebbe potuto meritarla nel patto di opere. Si sospende il patto di grazia sull’opera del peccatore che adempie la condizione, almeno per quanto riguarda la continuazione del patto e la sua salvezza con il peccatore individuale. E’ questo elemento della popolare dottrina del patto di grazia, una promessa condizionale ed un patto condizionale, che Norman Shepherd e gli altri uomini della Federal Vision stanno sviluppando in modo indaffarato in una dottrina di giustificazione per fede ed opere, con il susseguente diniego di tutte le dottrine della grazia.

 

Comunione nell’Amore

Il patto con Adamo in paradiso era intima comunione nell’amore tra Dio ed Adamo. Essa era comunione tra il divino Padre ed il figlio che Dio aveva fatto a Sua immagine. Fatto ad immagine di Dio, Adamo era figlio di Dio. L’immagine era la somiglianza del figlio al Padre. Che l’essere di Adamo era ad immagine di Dio significava che era figlio di Dio è indicato in Genesi 5:3, dove il figlio di Adamo è descritto come l’immagine e somiglianza di Adamo. Luca 3:38 chiama Adamo figlio di Dio.

In virtù della sua creazione ad immagine di Dio, Adamo conosceva Dio con la conoscenza dell’amore. Egli consacrava se stesso a Dio nella santità. Egli ubbidiva a Dio nella giustizia. Viveva con Dio nel giardino, dove Dio era solito camminare con lui e parlargli come il suo amico, il suo Padre-amico (Genesi 3:8). Il patto di Dio con Adamo era la comunione di una famiglia. In questa comunione di famiglia, Dio rivelava la Sua propria vita triuna. La vita del Dio triuno, da eternità ad eternità, è l’intima comunione di Padre e Figlio nello Spirito Santo. E’ significativo che immediatamente precedente al racconto della Sua creazione dell’uomo a Sua immagine, così stabilendo quel vincolo, quella relazione tra Se Stesso e l’uomo che era il patto in paradiso, Dio rivela che Egli Stesso è plurale (in persone) e che questa pluralità include la comunione di comunicazione e cooperazione nella grande opera di creazione. "E Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza" (Genesi 1:26).35

Dio istituì il matrimonio e la famiglia come il distintivo simbolo terrestre di questo patto di comunione con Dio (Genesi 1:27-28; 2:18-25). Dopo la caduta, il matrimonio diviene il distintivo simbolo terrestre del patto tra Jehovah ed Israele nell’Antico Testamento e tra Cristo e la chiesa nel Nuovo Testamento (Ezechiele 16; Efesini 5:22-33).36

Non era buono per Adamo essere solitario, perchè non è buono per l’uomo vivere separato da Dio. In ultima analisi, non era buono per Adamo essere solitario, perché Dio non è solitario.

Questa stretta e calorosa relazione tra Se Stesso e l’uomo, Dio la stabilì unilateralmente. Egli la stabilì in e con la Sua creazione di Adamo, come i genitori stabiliscono comunione con i loro figli alla nascita e come Dio in Cristo stabilisce il patto di grazia col peccatore eletto al momento della sua ri-creazione ad immagine di Cristo.

 

La Parte di Adamo nel Patto

Le parole di Dio ad Adamo in Genesi 2:16-17 concernenti l’albero della conoscenza del bene e del male, non furono né lo stabilimento del patto con Adamo, né esprimevano la natura del patto. Piuttosto esse furono una rivelazione addizionale ad Adamo riguardante la sua parte nel patto, ed il comando che egli con fedeltà svolgesse la sua parte nel patto. Adamo aveva una parte nel patto. La sua parte era servire Dio, con l’ubbidienza alla Sua parola. Il patto era comunione, ma era una comunione strutturata. Nel patto Dio era l’amico-sovrano di Adamo, suo Padre; Adamo era l’amico-servitore di Dio, Suo figlio.

Similmente, nel patto di grazia il popolo del patto ha una parte, una parte importante, necessaria. La loro parte, secondo la Formula per l’Amministrazione del Battesimo Riformata, è "che noi ci aggrappiamo a questo unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che confidiamo in lui, e lo amiamo con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima, con tutta la nostra mente, e con tutta la nostra forza, che abbandoniamo il mondo, crocifiggiamo la nostra vecchia natura, e camminiamo in una nuova e santa vita." A quest’opera nel patto e a motivo del patto, noi siamo "ammoniti ed obbligati."37 L’opera ubbidiente del membro del patto ha un luogo prominente nel patto di grazia. Anche da questo punto di vista il nome "patto di opere" per il patto con Adamo è insoddisfacente, perché lascia l’impressione che mentre le opere avevano un posto nel patto con Adamo, esse non hanno più un posto, almeno non hanno un posto importante, nel patto di grazia.

Per quanto riguarda la proibizione di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, il dovere di Adamo era di ubbidire perfettamente al comandamento positivo. Egli deve ubbidire, semplicemente perché Dio lo ha comandato, così provando il suo amore filiale e la sua riverenza della divina sovranità.

Inoltre, la proibizione lo chiamava a servire Dio rigettando ciò che Dio aveva proibito. Sempre, il servizio di Dio da parte dell’uomo è antitetico: egli dedica se stesso a Dio nella via dell’opporre ciò che è opposto a Dio ed è contrario alla volontà di Dio. Ciò aveva due aspetti in paradiso, secondo Genesi 2:15-17. Adamo deve trattenersi dal mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Era il proposito di quest’albero quello di essere l’occasione per l’ubbidienza antitetica alla parola antitetica di Dio. Inoltre, Adamo doveva "custodire" il giardino. "Custodire" nell’ebraico originale si riferisce al fatto di fare la guardia al giardino. Adamo doveva custodire il giardino affinchè fosse il centro del regno di Dio, dove l’uomo poteva vivere in pace con Dio e Dio potesse così essere glorificato. Questo era sia un mandato che un avvertimento di proteggere il giardino contro il nemico, Satana, che avrebbe assalito il giardino, secondo il proposito di Dio.

 

Dare un Nome a quel Patto

Chiamare quel patto un "patto d’opere," come molti teologi Riformati e Presbiteriani hanno fatto, è insoddisfacente, a dire il meglio. Può essere che alcuni, per esempio i teologi di Westminster, lo chiamarono "patto di opere" senza intendere affermare che Adamo avrebbe potuto meritare la vita eterna con la sua ubbidienza. Ma, come Bavinck mette in evidenza, questo è divenuto il fraintendimento del nome: "[Patto di natura] fu preferenzialmente sostituito da "patto di opere," e prese questo nome perché il patto della vita eterna poteva essere ottenuto solo nella via delle opere."38 Il teologo Riformato S. G. De Graaf, opponendo il nome "patto di opere," con buone ragioni, propose al suo posto il nome "verbond van Gods gunst" (patto del favore di Dio): "In plaats van over ‘werkverbond’ ware dan ook beter te spreken over ‘verbond van Gods gunst’" (Invece di parlare di un ‘patto di opere’ dovremmo parlare di un ‘patto del favore di Dio’).39 Con tutto il dovuto spazio dovuto alla differenza tra le due parole olandesi per grazia, "gunst" (favore) e "genade" (grazia), il nome "patto del favore di Dio" non distingue il patto con Adamo abbastanza acutamente dal patto di grazia in Cristo Gesù.

Il miglior nome per il patto con Adamo è "patto di creazione." Questo nome tiene conto del riconoscimento del libero favore e della liberale bontà di Dio verso l’uomo nel primo patto, come anche dell’importante posto che hanno le opere, senza annebbiare il confine dell’ acuta differenza tra il patto con Adamo e il patto con Cristo, da un lato, e senza suggerire che l’opera di Adamo sarebbe stata meritoria, dall’altro. Esso protegge anche la teologia Riformata dal concepire il patto con Adamo come un freddo contratto tra uomini d’affari, piuttosto che la calorosa e vivente comunione che era. Il nome si basa sull’ovvio fatto che il patto valeva nell’umanità e nel mondo della creazione non caduta, e sull’egualmente ovvio fatto che Adamo era il capo del patto in virtù della sua creazione.

 

La Piena Realtà del Patto di Creazione

Vi era molto di più riguardo al patto di creazione che la sola comunione tra Dio ed Adamo. Il patto determinava ogni cosa concernente la vita dell’uomo in paradiso e influenzava radicalmente la vita e la storia della razza umana a seguire.

Per una ragione: l’uomo, maschio e femmina, aveva dominio su tutta la creazione terrestre come re e regina (Genesi 1:26, 28). Il dominio non era l’essenza del patto, ma era un aspetto importante del patto. Nel patto l’uomo non era soltanto l’amico di Dio, era anche il servo di Dio. Egli doveva servire Dio governando il mondo come un regno di Dio. Uno dei propositi positivi del comandamento del patto in Genesi 2:17 era imprimere ad Adamo la verità che il suo dominio non era assoluto, ma strettamente susserviente all’assoluta regalità di Dio il suo Fattore.

L’uomo era chiamato al suo servizio di Dio nel patto coi comandamenti: "Siate fruttuosi," "sottomettete la terra", "abbiate dominio," "lavorate e custodite il giardino," "dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai" (Genesi 1:28; 2:17). Vi erano richieste nel patto. Non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male non era in alcun modo la sola legge di Dio per il Suo figlio e servitore, Adamo. Adamo aveva anche il comandamento di amare Dio ed il suo prossimo, Eva, con tutto il suo cuore, anima, mente, e forza. Questa legge fondamentale per l’uomo non era scritta, ma era rivelata nella natura stessa di Adamo, che era l’immagine di Dio consistente di conoscenza, giustizia, e santità.

La regalità dell’uomo sulla creazione terrena era tale che, se fosse caduto, l’intero regno sarebbe caduto. La disubbidienza traditrice del re avrebbe affondato tutta la creazione sotto la maledizione e convertito il regno al grande nemico di Dio (Romani 8:19-22; II Corinzi 4:4). L’uomo depravato e ribelle avrebbe allora svolto il suo ruolo di dominio sotto il regno di Satana per combattere contro Dio.

Un altro aspetto essenziale del patto di creazione era il fatto che Adamo era capo della razza umana. La comunione, che era l’essenza di quel patto, aveva una prominente componente legale. La teologia Riformata ha fatto riferimento a questa componente legale definendo Adamo "capo federale," dalla parola latina "foedus," cioè, capo del patto. In quanto capo della razza, Adamo non soltanto era la radice della razza, così che avrebbe trasmesso la sua condizione spirituale a tutta la sua posterità mediante generazione fisica (Salmo 51:5), ma egli era anche il rappresentante legale della razza, così che il suo atto di disubbidienza sarebbe stato imputato a tutta la sua posterità, Gesù Cristo soltanto escluso. La sua ubbidienza non poteva meritare, ma la sua disubbidienza avrebbe portato punizione non solo su se stesso, ma anche per tutti i suoi figli. Questo è l’insegnamento dell’apostolo in Romani 5:12-21. "Per la disubbidienza di uno solo molti furono costituiti peccatori" (Romani 5:19).

I Canoni di Dordt rendono il fatto che Adamo fosse capo federale, e l’imputazione della disubbidienza di Adamo, un punto confessionale per i Cristiani Riformati. Spiegando la derivazione della corruzione della razza umana "dal loro genitore originario … per la propagazione di una natura corrotta," i Canoni forniscono come base di questo: " in conseguenza di un giusto giudizio di Dio."40 La corruzione di natura, in cui ogni umano da Caino in poi è stato concepito ed è nato, è l’esecuzione della punizione della morte spirituale da parte di Dio su di lui per la sua colpa di aver mangiato il frutto proibito nell’atto di Adamo.

 

La Rottura del Patto di Creazione

La verita che Adamo era capo federale nel patto di creazione e quella correlata dell’imputazione della trasgressione di Adamo di quel patto, rendono chiaro che il patto di creazione è ancora in auge per quanto riguarda i seguenti aspetti: tutti gli esseri umani sono colpevoli di aver trasgredito quel patto in Adamo; tutti gli esseri umani soffrono la miseria della totale depravazione e della morte fisica in tutte le sue forme a motivo della loro trasgressione di quel patto in Adamo, e tutti gli esseri umani soffriranno la miseria della morte eterna all’inferno a motivo dell’imputazione a loro della colpa della disubbidienza di Adamo, a meno che non siano costituiti giusti per l’ubbidienza di Cristo al loro posto (Romani 5:19). La maledizione del patto di creazione che è stato violato, che Dio minacciò nella proibizione in Genesi 2:17: "nel giorno che tu ne mangerai morendo morirai," giunse su tutti quelli che Adamo rappresentava, come anche sull’intera creazione terrena.

Il patto di creazione è in auge oggi anche per quanto riguarda il fatto che, in Adamo, a tutti gli esseri umani è ancora richiesto di amare Dio perfettamente, di adorare Lui solo, e di servire Lui, non importa il fatto che sono incapaci di farlo. Attraverso la creazione e la coscienza, Dio rivela Se Stesso ad ogni essere umano, in modo che tutti sono senza scusa per non averlo riconosciuto, glorificato e ringraziato (Romani 1:18-32; 2:14-16). E’ erroneo, tuttavia, insegnare che il patto con Adamo fu rinnovato e rimesso in auge nel patto con Israele al Sinai.

Questa nozione si è affacciata nella tradizione Riformata. Mastricht sosteneva che in Galati 4:24 ("questi sono i due patti") "l’Apostolo sta parlando del patto in Paradiso nella misura in cui è di nuovo in auge e rinnovato con Israele al Sinai nel Decalogo, che conteneva la prova del patto di opere."41

Il patto al Sinai non fu un rinnovamento o remissione in auge del patto con Adamo. Piuttosto, il patto al Sinai fu un’amministrazione del patto di grazia, che fu dapprima stabilito per mezzo della promessa della discendenza della donna in Genesi 3:15 e poi con Abraamo in Genesi 15 e 17. Questa è la descrizione dell’Apostolo riguardante il patto sinaitico in Galati 3:15 e a seguire. La legge (il patto sinaitico) fu aggiunta alla promessa (il patto di grazia) come un "precettore" per portare Israele a Cristo, affinchè fosse giustificato per fede (v. 24).

Il patto con Adamo non può essere rinnovato o rimesso in auge. Per quanto riguarda un rinnovamento o una remissione in auge d’esso, fu rotto irreparabilmente. In quanto una manifestazione, o forma, del patto di Dio con l’uomo, può essere adempiuto, proprio come il tipico Adamo può essere adempiuto in Cristo e l’albero della vita terreno nel giardino di Eden può essere adempiuto nell’ albero della vita celeste e spirituale (Romani 5:14; Rivelazione 2:7). Ma quel patto specifico non può essere rinnovato, più di quanto il primo Adamo possa essere rinnovato nel suo stato prima della caduta, o di quanto la condizione della creazione come si presentava alla fine del sesto giorno possa essere ristorata.

Il patto di grazia nell’ultimo Adamo, in tutte le sue amministrazioni e forme, dalla sua rivelazione nella promessa di Genesi 3:15 alla perfezione d’esso nei nuovi cieli e nuova terra, non rinnova il patto con Adamo. Piuttosto libera l’umanità eletta, ed infine la creazione stessa, dalla miseria del patto di creazione che era stato rotto, e li porta ad una vita e gloria molto al di sopra del patto di creazione. Dio non si è mai proposto alcun rinnovamento del patto di creazione. Nella via della trasgressione di quel patto da parte del primo Adamo Dio ha decretato il patto di grazia nell’ultimo Adamo.

Ma piacque a Dio, secondo le ricchezze della sua inscrutabile sapienza, di porre questa breccia del patto legale come un fondamento per le sue stupende opere, perché egli colse occasione per stabilire un nuovo patto di grazia, nel quale potesse mostrare molto più chiaramente le inestimabili ricchezze della sua autosufficienza che nel caso il primo patto con l’uomo avesse avuto un buon esito … Per un così illustre esercizio di queste perfezioni non ci sarebbe potuto essere luogo sotto il patto di opere.42

Vi è qualcosa di pericoloso a riguardo dell’insegnamento che il patto di creazione è rinnovato, specialmente quando un teologo considera quel patto come un patto di opere condizionale col quale Adamo poteva meritare. Il pericolo è l’introduzione all’interno della teologia Riformata della dottrina della salvezza per opere.43

La porta a quell’adorabile giardino, alla creazione pristina, e ai diletti della vita nel paradiso originale, sono per sempre chiusi all’uomo. Al non credente, sono chiusi con la spada fiammeggiante della giustizia di Dio, maneggiata dagli spaventosi cherubini. Al credente, sono chiusi mediante la promessa di un giardino, una rinnovata creazione, e i diletti della vita umana in comunione con Dio che eccellono così tanto quelli originari come il cielo eccelle la terra e come Cristo eccelle Adamo.

In questa luce si deve dare risposta alla domanda se e in quale aspetto il patto di creazione fu abrogato dalla disubbidienza di Adamo e se e in quale aspetto fu mantenuto dal Dio del patto.

In quanto una distinta amministrazione, o forma, il patto di Dio con l’uomo, il patto di creazione fu rotto dalla trasgressione di Adamo, in modo da essere cancellato per sempre, eccetto che per gli effetti della violazione menzionati sopra e la richiesta permanente di quel patto su tutti gli esseri umani, e cioè che essi siano giusti e compiano la giustizia in modo perfetto glorificando e ringraziando Dio.

Ma, in ultima analisi, Adamo non poteva rompere quel patto, cioè, per quanto riguarda la sua essenza, che era la comunione di Dio con la Sua creatura, l’uomo, e, attraverso un uomo fedele, comunione con l’intera creazione. Il patto di creazione fu piuttosto una preliminare manifestazione della comunione di Dio con la nuova ed eletta razza umana in Gesù Cristo, come Adamo era una "figura" o "tipo" del Cristo che doveva venire (Romani 5:14). Dio stabilì unilateralmente quel patto di comunione con l’uomo. Esso era un patto incondizionato. Dipendeva da Dio, dalla Sua fedeltà e dalla Sua grazia. Dio avrà l’ultima parola a riguardo di quella comunione, e non il disubbidiente ed infedele Adamo.

Anche se Adamo ruppe il patto di creazione, Dio lo mantenne, non come una forma distinta del patto, ma per quanto riguarda la Sua comunione con l’uomo, che era l’essenza di quel patto. In realtà Dio mantenne la Sua comunione con Adamo ed Eva personalmente, ed Egli fece così immediatamente, poco dopo che essi ruppero il patto di creazione. Egli mantenne la Sua comunione con loro personalmente e con la razza umana consistente degli eletti da tutte le nazioni per mezzo della promessa di Genesi 3:15: "Io porrò inimicizia tra te e la donna, e tra la tua discendenza e la sua discendenza, essa ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno." Inimicizia tra la discendenza della donna ed il Serpente significa amicizia della discendenza della donna con Dio.

Ma Dio non soltanto mantenne la comunione tra Se Stesso e l’umanità eletta, Egli elevò quella comunione ad un livello più alto, ricco, intimo, dilettevole, e glorioso. Perché questa è la comunione nella Discendenza della donna, che è Gesù Cristo. Questa è la comunione del patto di grazia in Lui. Questa è la comunione che conosce Dio come il Dio che ci ama e diede il Suo Figlio per noi, perdonando i nostri peccati. Questa è la comunione di una giustizia operata da Dio nell’espiazione della croce. Questa è la comunione di una santità che si dedica a Dio in grato amore per la redenzione della croce. Questa è la comunione dell’unione con Colui nel quale la pienezza della Deità dimora corporalmente. La fedeltà di Dio nel patto nonostante l’infedeltà di Adamo, la tradizione Riformata l’ha espressa nella confessione "Adamo cadde nelle braccia di Cristo."

Grazie siano rese a Dio il cui consiglio rimarrà fermo e che compie tutto il Suo beneplacito. Egli mantenne il suo patto ed egli si propose di elevare la benedetta relazione di amicizia al più alto livello della perfezione celeste ed eterna. Egli fece così in e attraverso Gesù Cristo nostro Signore, che è l’amico-servitore di Dio par excellence. Il diletto di Cristo era di fare la volontà del Padre, ed egli divenne ubbidiente fino alla morte sulla croce col suo sangue, ponendo così la fondazione dell’eterno tabernacolo di Dio, la base dell’eterno patto con l’uomo.44

Per altre risorse in italiano, clicca qui.


1 l Catechismo di Heidelberg, Domande e Risposte 6 e 7.
2 La Confessione di Fede di Westminster, (VII, II).
3 Herman Hoeksema, Believers and Their Seed: Children in the Covenant, ed. riv. (Grandville, Michigan: Reformed Free Publishing Association, 1997), 57-84 (clicca qui e qui per leggere queste pagine). Vedasi anche la su2a Reformed Dogmatics (Grand Rapids: Reformed Free Publishing Association, 2004), 279-321; 401-480.
4 G. C. Berkouwer, Sin (Grand Rapids: Eerdmans, 1971), 207-209.
5 John Murray, "The Adamic Administration," in Collected Writings of John Murray, vol. 2 (Edinburgh: The Banner of Truth, 1977), 47-59.
6 Vedasi David J. Engelsma, The Covenant of God and the Children of Believers: Sovereign Grace in the Covenant (Jenison, Michigan: Reformed Free Publishing Association, 2005).
7 Herman Witsius, The Economy of the Covenants between God and Man: Comprehending a Complete Body of Divinity, vol. 1 (Escondido, California: The den Dulk Christian Foundation, rist. 1990), 50.
8 Johannes Heidegger, in Heinrich Heppe, Reformed Dogmatics (London: George Allen & Unwin, 1950), 283.
9 Vedasi Charles Hodge, Systematic Theology, vol. 2 (Grand Rapids: Eerdmans, rist. 1986), 117-120: "(1.) Dio entrò in un patto con Adamo. (2.) La promessa annessa a quel patto era la vita. (3.) La condizione era perfetta ubbidienza. (4.) La punizione era la morte."
10 Herman Bavinck, Reformed Dogmatics, vol. 2 (Grand Rapids: Baker, 2004), 572.
11 Heppe, Reformed Dogmatics, 294, 295.
12 Louis Berkhof, Systematic Theology (Grand Rapids: Eerdmans, 1965), 215.
13 Cornelis P. Venema, "Recent Criticisms of the ‘Covenant of Works’ in the Westminster Confession of Faith," Mid-America Journal of Theology 9, no. 2 (Autunno, 1993): 165-198.
14 Venema, "Recent Criticisms," 187.
15 Venema, "Recent Criticisms," 195, 196.
16 Il Catechismo di Heidelberg, Domanda e Risposta 63.
17 Venema, "Recent Criticisms," 195.
18 Venema, "Recent Criticisms," 196.
19 La Formula del Consenso Elvetico (1675), canoni 8, 9.
2 La Confessione di Fede di Westminster, VII, II; Vedasi anche il Catechismo Minore di Westminster, Domanda e Risposta 12, ed il Catechismo Maggiore di Westminster, Domanda e Risposta 20.. Il Catechismo Maggiore lascia l’impressione che il patto con Adamo concerneva la vita terrena in paradiso e la perpetuazione di quella vita terrena, non soltanto perchè lo chiama un "patto di vita," ma anche perchè afferma che la provvidenza di Dio nei confronti dell’uomo consisteva di un "porlo in paradiso," conferendogli vari benefici che erano goduti in paradiso, e cosí "entrando in un patto di vita con lui." Non si dedurrebbe sicuramente mai dal Catechismo Maggiore che Adamo avrebbe potuto guadagnare una vita più elevata e qualitativamente differente di quella di cui egli godeva nel primo paradiso.
21 Bavinck, Reformed Dogmatics, p. 544.
22 Bavinck, Reformed Dogmatics, p. 543.
23 Hoeksema, Believers and Their Seed, p. 67.
24 Rich Lusk, "A Response to ‘The Biblical Plan of Salvation,’" in The Auburn Avenue Theology, Pros and Cons: Debating the Federal Vision, ed. E. Calvin Beisner (Fort Lauderdale, Florida: Knox Theological Seminary, 2004), p. 137.
25 Lusk, Auburn Avenue Theology, p. 144.
26 Lusk, Auburn Avenue Theology, p. 141-142.
27 Lusk, Auburn Avenue Theology, p. 143.
28 Confessione di Fede Belga, Articolo 22.
29 Canoni di Dordt, II, Reiezione degli Errori 1:3-4.
30 Canoni di Dordt, II:3-4
31 Lusk, Auburn Avenue Theology, pp. 137, 145.
32 The Writings of James Arminius, tr. James Nichols, vol. 2 (Grand Rapids: Baker, 1956), pp. 71, 73.
33 John Davenant, citato in Jonathan David Moore, "Christ is Dead for Him": John Preston (1587-1628) and English Hypothetical Universalism (Ph. D. diss., University of Cambridge, 2000), p. 175.
34 Berkhof, Systematic Theology, p. 272.
35 Berkhof, Systematic Theology, p. 272.
36 A riguardo del matrimonio terreno come simbolo del patto di grazia, vedi il mio Marriage, the Mystery of Christ & the Church: The Covenant-Bond in Scripture and History, edizione riveduta (Grandville, Michigan: Reformed Free Publishing Association, 1998).
37 Formula per l’Amministrazione del Battesimo.
38 Bavinck, Reformed Dogmatics, p. 567.
39 S. G. De Graaf, Het Ware Geloof (Kampen: Kok, 1954), p. 31-32. La ragione per cui rigettare il nome "patto d’opere" è che "er is in het verbond Gods, ook in het zogenaamde werkverbond, nooit van verdienen en loon sprake. God is in Zijn verbond altijd de eerste, die liefde geeft. Door Zijn liefde moet Hij ons liefde leren; en onze liefde kan dan nooit anders zijn dan een antwoord op Zijn liefde. Door de wet heeft Hij ons liefdesverkeer met Him geregeld, het heeft niet een norm in zichzelf, maar God Zelf heeft daaraan een norm gesteld. Wel is het zo, dat we bij gehoorzaamheid aan die norm groeien in de gemeenschap der liefde Gods."
40 Canoni di Dordt III/IV:2
41 Petrus van Mastricht, in Heppe, Reformed Dogmatics, p. 290.
42 Witsius, The Economy of the Covenants, p. 164.
43 La Confessione di Fede di Westminster 19:2, non insegna che il patto con Adamo fu continuato nel patto del Sinai, ma solo che la "legge" che Dio diede in Paradiso "continuo ad essere la perfetta regola di giustizia; e, in quanto tale, fu consegnata da Dio sul monte Sinai in dieci comandamenti."
44 Herman Hoeksema, Knowing God & Man (Jenison, Reformed Free Publishing Association, 2006), p. 96.