Nell’ultimo numero delle News, abbiamo visto che la chiesa di Tiatira (Apocalisse 2:18-29) possedeva tre doni della grazia: amore, servizio e fedeltà. Il Signore Gesù Cristo nomina anche una quarta qualità di questa congregazione: la sua pazienza, cioè, la sua perseveranza: “Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio e la tua costanza” (v. 19).
La perseveranza è una meravigliosa grazia presente nei credenti e nei membri di chiesa. La parola grazia usata nel passaggio in questione significa “rimanere sotto”, cioè, restare sotto un peso posto dal Signore senza crollare sotto di esso. Una congregazione che persevera è una congregazione che segue la sua chiamata e che va avanti in obbedienza all’Iddio vivente senza farsi scoraggiare, senza mollare e senza fare compromessi.
Questa grazia spirituale è particolarmente necessaria per i conduttori di chiesa, ma deve essere una virtù visibile in tutti i membri del corpo di Cristo. Coloro che non perseverano in una santa vita di chiesa non otterranno molto nel regno di Dio, e le loro vite saranno piene di rimpianti assillanti e di malcontento.
È relativamente facile compiere il proprio dovere quando il sole splende e quando tutti ti applaudono da ogni lato. Ma la grazia della perseveranza è essenziale per continuare ad amare i propri membri di chiesa, anno dopo anno, anche se si dovesse venire a conoscere meglio i loro possibili modi di fare fastidiosi e le loro debolezze.
Quando riceviamo scarsi ringraziamenti, quando siamo trattati male, quando vediamo scarsi frutti, o anche nessun frutto, dal nostro lavoro: in tutti questi casi, è nostro dovere perseverare nel nostro servizio al corpo della chiesa.
Ogni membro di chiesa deve perseverare fedelmente. Non dobbiamo abbandonarci a pensieri come questo: “Non me la sento più di continuare a fare il mio lavoro. Di certo nessuno noterà se smetto oppure se mi rilasso nella mia opera per la chiesa. Altri nemmeno sembrano sforzarsi più di tanto, perciò perché dovrei farlo io?”
Dobbiamo tutti avere in mente in maniera chiara la ragione per cui noi ci affatichiamo nel corpo del nostro Signore Gesù Cristo! La nostra motivazione principale deve essere quella di amare il Dio trino, in gratitudine per la Sua grande redenzione per noi dai nostri peccati tramite la croce del nostro Salvatore, il Figlio di Dio incarnato. Ciò che ci spinge a servire non deve essere il desiderio di essere riconosciuti o lodati dagli uomini, come facevano i farisei (Matteo 6:1-18). Il nostro standard non è il comportamento di altri membri di chiesa, tanto meno di quelli più deboli. La nostra regola è la sacra Parola inspirata!
Perseverate nell’amare i santi, perseverate nel servire la chiesa, perseverate fedelmente nella vostra chiamata come membri di una vera manifestazione del corpo di Cristo. Diverrà così evidente in che modo la quarta virtù della chiesa di Tiatira sostiene le tre precedenti.
La quinta nota positiva che Cristo menziona sulla chiesa di Tiatira riguarda le opere di questa congregazione: “Io conosco le tue opere…” (Apocalisse 2:19). Questo verso parla due volte di “opere”. La prima parte del versetto si riferisce a tutto ciò che la congregazione compie in generale, mentre la seconda parte si riferisce nello specifico alle buone opere.
Quali sono le qualità che l’infinitamente santo e giusto Dio considera necessarie per compiere buone opere? Primo, la sorgente di queste opere è l’amore per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Secondo, lo standard di queste opere è la legge di Geova. Terzo, il loro fine è la gloria del Dio del patto. La natura delle buone opere del verso in questione sono quelle opere di servizio compiute nel corpo dei credenti, e tra le caratteristiche di queste opere ci sono la fedeltà e la perseveranza.
Il Signore Gesù Cristo stesso disse riguardo Tiatira: “Io conosco le tue opere!” Quale riconoscimento! Che incoraggiamento!
A tutto questo, il Signore aggiunge infine qualcosa di molto importante: “Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio e la tua costanza, e so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime” (v. 19). Le parole in corsivo si riferiscono alle buone opere della chiesa di Tiatira e non alla loro qualità ma al loro numero.
Cristo dice a questa congregazione che sta compiendo opere di servizio amorevole, fedele e perseverante e che quelle buone opere sono aumentate rispetto a quelle dell’inizio! Stiamo compiendo più buone opere rispetto all’anno scorso? A 5 anni fa? A 10 anni fa? Anche se non lo sapete, Cristo lo sa!
In virtù del patto di grazia di Geova, Tiatira stava compiendo un numero sempre maggiore di opere buone. Quella chiesa era fatta di individui “saldi, irremovibili” che “abbondando del continuo nell'opera del Signore” (1 Corinzi 15:58) e le buone opere continuavano ad aumentare! Sicuramente, l’Iddio generoso darà un ricco premio a costoro: il premio della grazia, com’è giustamente chiamato!
Cristo dichiara che a “chi vince e ritiene fino alla fine le opere mie” (Apocalisse 2:26) riceverà un premio estremamente grande e prezioso. Il Signore Gesù dice a tutte le sette congregazioni in Apocalisse 2-3 “a chi vince”, ma solo a Tiatira Egli aggiunge “e ritiene fino alla fine le opere mie”.
Così, impariamo che le buone opere della chiesa di Tiatira, il servizio amorevole, fedele e perseverante di quei santi verso la chiesa, sono chiamate le opere di Cristo! Cristo compì quelle opere in ogni membro di quella congregazione lungo gli anni. Quelle furono le Sue opere perché furono compiute dai membri della chiesa per mezzo dello Spirito di Cristo che Egli acquistò alla croce per il Suo popolo.
Carissimi, anche noi dobbiamo comprendere che le nostre buone opere sono l’opera di Cristo. Egli sta operando spiritualmente nei cuori e nelle vite dei credenti delle vere chiese affinché servano fedelmente gli altri membri. Che cosa meravigliosa!
Cristo promette personalmente e dona premi a tutti coloro che vincono e continuano a compiere le Sue opere fino alla fine. Considereremo i nostri ricchi premi, ricevuti per grazia, nel prossimo numero delle News. Rev. Stewart
I nostro lettori forse ricorderanno che negli ultimi due numeri delle News stavo discutendo l’insegnamento biblico riguardo l’uomo vecchio e l’uomo nuovo presenti nel figlio di Dio. Ho spiegato che la Scrittura parla ripetutamente di una guerra che va avanti e che deve andare avanti tra questi due uomini durante tutta la vita del credente. Tale battaglia è senza fine ed è amaramente seria. A volte lascia il credente assai esausto e, saltuariamente, in potere della sua carne malvagia.
Tuttavia, in questa battaglia mortale nella vita del cristiano, l’uomo nuovo, cioè il cristiano considerato dal punto di vista dell’opera della grazia in lui, ha sempre la vittoria. Le Scritture ci assicurano sulla nostra vittoria e ci richiedono di essere pronti alla battaglia, senza dubitare della futura vittoria. Siamo uniti a Cristo per fede, e questa fede è la vittoria che ha vinto il mondo (1 Giovanni 5:4).
Dobbiamo essere certi della nostra vittoria perché la battaglia è feroce e perché noi stessi sperimentiamo momenti in cui la nostra carne sembra avere la meglio, sotterrandoci sotto il peso dei nostri peccati e della colpa.
La certezza della vittoria è fondata principalmente sulla nostra unione con Cristo. Cristo è il Capitano della nostra salvezza che ha combattuto e sconfitto del tutto i nostri nemici: Satana, i suoi demoni, il mondo malvagio e la nostra carne peccaminosa. Il sacramento del battesimo ha come significato e sigilla la vittoria negli eletti, esso è un segno che punta al fatto che siamo stati crocifissi con Cristo e risuscitati con Lui (Colossesi 2:11-12). Subito dopo, Paolo ci ricorda la nostra rigenerazione, cioè della creazione dell’uomo nuovo in noi (v. 13). La vittoria è certa perché Cristo sulla croce “ha annientato il documento fatto di ordinamenti, che era contro di noi e che ci era nemico, e l'ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce; avendo quindi spogliato le potestà e i principati, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro in lui” (v. 14-15).
Lo stesso Cristo che ha iniziato una buona opera in noi la porterà a termine nella risurrezione dei nostri corpi (Filippesi 1:6). Noi sperimentiamo questa vittoria già in questa vita, e non ci arrendiamo allo scoraggiamento. Lottiamo come un’armata farebbe contro un invasore. La battaglia è già vinta, ma lavori di ricostruzione dovranno comunque essere effettuati per diverso tempo dopo la fine della battaglia. Noi stessi siamo coinvolti in queste operazioni, anche se il nostro nemico che è stato sconfitto in principio.
Siamo vittoriosi sopra la nostra carne peccaminosa quando preghiamo per il perdono. Preghiamo come fece il pubblicano: “Dio, sii placato verso me peccatore” (Luca 18:13). Il pubblicano andò a casa giustificato, con la certezza nel suo cuore che tutti i suoi peccati erano perdonati e che perciò era considerato giusto davanti a Dio. Il Signore non vede in lui alcun peccato. Questa è vittoria, perché è Dio a essere il nostro Giudice!
Siamo vittoriosi quando cadiamo nel peccato e quando giacciamo a terra, sanguinanti, sul sentiero del nostro pellegrinaggio. A volte siamo così feriti che meditiamo di arrenderci perché il costo della battaglia sembra troppo alto. Eppure, non ci arrendiamo. Lottiamo contro la nostra stanchezza e continuiamo a percorrere il nostro cammino con una determinazione che viene dal nostro Signore, colui che lotta in noi per donarci la vittoria ottenuta alla croce.
Siamo vittoriosi quando camminiamo con Dio nella beata consapevolezza del patto che Egli ha stabilito con noi in Gesù Cristo. Il Signore è con noi così come era con Enoch, il quale “ricevette la testimonianza che era piaciuto a Dio” (Ebrei 11:5).
Siamo vittoriosi quando andiamo alla croce per cercare aiuto in momenti di bisogno, nella certezza che Cristo “doveva perciò essere in ogni cosa reso simile ai fratelli, perché potesse essere un misericordioso e fedele sommo sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per fare l'espiazione dei peccati del popolo. Infatti, poiché egli stesso ha sofferto quando è stato tentato, può venire in aiuto di coloro che sono tentati” (Ebrei 17-18).
Siamo vittoriosi quando sappiamo con certezza che “noi non abbiamo un sommo sacerdote che non possa simpatizzare con le nostre infermità, ma uno che è stato tentato in ogni cosa come noi, senza però commettere peccato. Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia, per ricevere aiuto al tempo opportuno” (Ebrei 4:15-16).
Per incoraggiarci alla battaglia, Dio ci dà la descrizione del guerriero cristiano (Efesini 6:10-17), vittorioso anche nel mezzo della battaglia più cruenta. Qui troviamo la descrizione della sua armatura con la quale il cristiano è chiamato a resistere fiducioso ai dardi infuocati di Satana. Si tratta di un guerriero sanguinante e ferito, stanco morto, che impugna una spada danneggiata, l’elmo ammaccato, che riesce a stento ad alzare il suo braccio per sconfiggere un altro nemico ma che, tuttavia, rimane “in piedi dopo aver compiuto ogni cosa” (v.13). Il campo di battaglia è ricoperto dei cadaveri dei nemici sconfitti, ma egli è comunque esausto! Questa è la vittoria che egli ha in Cristo Gesù, il Capitano della sua salvezza e di cui è soldato. Il riposo perfetto in paradiso gli viene assicurato da quelle parole del Signore che gli risuonano in mente: “Bene, buono e fedele servo … entra nella gioia del tuo signore” (Matteo 25:21)! Prof. Hanko
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Catechismo di Heidelberg (1563)
D. 88 Di quanti
elementi consiste il vero pentimento o conversione
dell’uomo?
R. Di due
elementi: della mortificazione del vecchio uomo, e della
vivificazione del nuovo.
D. 89 Cos’è la
mortificazione del vecchio uomo?
R. Addolorarsi
di cuore del peccato, ed odiarlo e fuggirlo sempre di più.
D. 90 Cos’è la
vivificazione del nuovo uomo?
R. Gioia di
cuore in Dio attraverso Cristo, e desiderare ed amare di
vivere secondo la volontà di Dio in ogni opera buona.
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