Herman Hoeksema
Il tema di questo pamphlet sarà per il lettore senza dubbio occasione per notare che questa volta sto avendo a che fare con evidenti contraddizioni. Il malvagio, si dirà, certamente non è un benefattore, e l’idea di "maledizione" e di "redarguizione" sono mutuamente esclusive e stanno in relazione di diretta contraddizione l’una all’altra. Questa osservazione centra il bersaglio. Tuttavia, per il lettore meglio informato, e particolarmente il lettore Protestante Riformato, non sarà difficile sospettare l’occasione e l’origine di questo tema e la ragione per la sua formulazione paradossale. Essa si trova nel fatto che fin dal 1924 un certo gruppo di chiese, che si professano Riformate, presero ufficialmente la posizione che l’uomo naturale, senza l’opera rigenerativa dello Spirito Santo, è capace di compiere buone opere in questo mondo, nella sfera della vita civile.
Ora, si deve ricordare che è ed è sempre stata la confessione Riformata che l’uomo naturale è "incapace di compiere qualsiasi bene ed inclinato ad ogni malvagità" (Catechismo di Heidelberg, Domanda 8). Egli è "malvagio, ribelle, ed indurito in cuore e volontà, ed impuro in ogni sua affezione" (Canoni di Dordrecht, II-IV, A, 1). Quando, quindi, un Riformato dichiara che l’uomo naturale compie buone opere, egli asserisce che il malvagio compie del bene. Dunque egli sta parlando in realtà di un benefattore malvagio. Proprio questo è stato fatto dal gruppo di chiese a cui mi riferivo sopra, quando esse ufficialmente hanno adottato la dottrina che l’uomo naturale, senza l’opera rigenerativa dello Spirito Santo, è capace di fare del bene.
Da questa contraddizione apparente uno deve soltanto dedurne un secondo paradosso, e cioè quello della "redarguizione di maledizione." Di sicuro, il malvagio è sotto maledizione, e il salario del peccato è sempre la morte. Ma non c’è dubbio che la verità che Dio redarguisca il bene col bene, cioè che anche il fare del bene ha il suo salario. Se allora v’è un fenomeno come un "malvagio benefattore," ne segue che vi è una "redarguizione di maledizione." Ciò può servire a spiegare al lettore la formulazione in qualche modo strana del tema di questo pamphlet.
Tuttavia, il lettore non deve avere l’impressione che il proposito di questo pamphlet è puramente controversiale, e che la mia intenzione è presentare un criticismo del secondo e del terzo dei ben noti "Tre Punti." La nostra obiezione contro la dottrina dei "Tre Punti" non è che essi parlano di un "benefattore malvagio." Essa è piuttosto che questi punti spiegano il fare bene del malvagio a partire da una influenza di grazia dello Spirito Santo che migliora moralmente il malvagio senza rigenerarlo. Il secondo ed il terzo dei "Tre Punti" sono in realtà un diniego della dottrina della totale depravazione. Essi insegnano che l’influenza della cosiddetta grazia comune rende il malvagio abbastanza buono da fare buone opere in questa vita. Essi quindi distruggono il dilemma implicato nel termine "benefattore malvagio." In questo pamphlet, tuttavia, la contraddizione apparente non è distrutta, ma mantenuta. Noi procediamo dall’assumere che in un certo senso è possibile parlare del fare del bene del malvagio. Infatti la Scrittura parla chiaramente di questo. Jehu fu in modo evidente un uomo malvagio. Egli non si allontanò dai peccati di Geroboamo, e tuttavia egli fece bene quando eseguì ciò che era giusto agli occhi del Signore (II Re 10:29-31). Egli è, quindi, un chiaro esempio di un benefattore malvagio. Inoltre, egli ricevette anche una redarguizione per il suo ben fare, che consisteva nel fatto che i suoi figli della quarta generazione si sarebbero seduti sul trono di Israele. Tuttavia, la sua redarguizione fu allo stesso tempo una maledizione, e il sangue che gli fu comandato di spargere e che sparse fu visitato dal Signore sulla sua casa (Osea 1:4).
Qui, dunque, è il nostro problema. Come è possibile che il malvagio in quanto tale, senza essere prima migliorato da qualche influenza della grazia può fare del bene, e come la redarguizione che riceve per il suo ben fare, è allo stesso tempo una maledizione per lui? E’ a questa domanda che cercheremo di dare una risposta in questo pamphlet. Chiediamo la vostra attenzione sui tre punti in cui verrà diviso il nostro soggetto:
Nel cercare una risposta alla domanda: "come può il malvagio fare del bene?" dobbiamo prima di tutto studiare un po’ il benefattore malvagio stesso. Soltanto quando lo comprendiamo correttamente nella sua origine, natura, e nella sua relazione con Dio e la creazione terrestre, nell’effetto che la caduta ha su di lui, la sua totale depravazione, e la sua luce naturale, possiamo spiegare il suo ben fare e vederlo nella luce appropriata. Noi dobbiamo trovare una risposta specialmente a queste domande:
Il benefattore malvagio è Uomo. Questo è il suo nome. Egli fu formato per mezzo di un duplice atto creativo di Dio: la formazione del suo organismo fisico dalla polvere della terra, e il soffio nelle sue narici dell’alito della vita. Dunque, per mezzo di questo unico ma duplice atto di creazione, l’uomo fu reso un’anima vivente. Così egli fu formato in distinzione dagli animali, i quali furono meramente chiamati in vita dalle acque e dal suolo. Essi anche sono anime viventi, e tuttavia, come la loro origine indica chiaramente, essi sono di una natura puramente terrestre, essi sono fisici, non spirituali. Ma l’uomo è sia fisico che spirituale, e relazionato sia alla terra che al cielo. In quanto anima vivente formato dalla polvere della terra e il cui spirito fu soffiato in lui, egli si trovava relazionato a tutto l’universo quale suo centro, nel quale tutte le linee della creazione fisica e spirituale convergevano.
Questo Uomo fu fatto a somiglianza di Dio e secondo la Sua immagine. In generale ciò significa che in un senso e in una misura creaturale egli assomigliava a Dio, era relazionato a Lui. Le virtù divine di conoscenza, giustizia e santità gli furono impartite ed erano riflesse nella sua natura. Senza dubbio questo è l’insegnamento Scrittura dell’immagine di Dio. Con essa si intende una somiglianza spirituale-etica a Dio. Nelle opere di dogmatica si fa di frequente una distinzione tra l’immagine di Dio in un senso ristretto ed in un senso più ampio. La distinzione è in qualche modo forzata e meccanica. E non è senza pericolo per quanto riguarda concepire rettamente la condizione dell’uomo dopo la caduta. Perché, di solito, si suggerisce che attraverso la caduta l’uomo ha perso l’immagine di Dio in un senso ristretto, ma che ha ritenuto l’immagine nel suo senso più ampio. Ciò conduce a concepire l’uomo, che non ha perduto del tutto l’immagine di Dio e che l’ha ritenuta in parte, come ancora capace di fare del bene in virtù di quei rimanenti dell’immagine di Dio in un senso più ampio. Dopo tutto, insieme a questa immagine di Dio in un senso più ampio, gli vengono attribuiti alcuni rimanenti della sua giustizia originale.
Io preferirei parlare dell’immagine di Dio in un senso formale e in un senso materiale. Col primo intendo che la natura dell’uomo è una natura razionale-morale, e in quanto tale adatta a portare l’immagine di Dio. Un cane non è un essere razionale-morale, quindi la sua stessa natura non potrebbe mai portare l’immagine di Dio. Ma l’uomo è e sempre rimarrà un essere con mente e volontà, una natura razionale-morale. E in questo egli è capace di portare l’immagine di Dio, e tuttavia proprio a motivo della sua natura è anche capace di voltarsi nel suo preciso opposto e riflettere l’immagine del diavolo.
Per immagine di Dio in senso materiale ci riferiamo all’operazione spirituale-etica di questa natura razionale-morale in relazione a Dio, di solito distinta sulla base della Scrittura in vera conoscenza, giustizia, e santità. Ora l’uomo fu creato secondo l’immagine di Dio. Egli non era meramente un essere razionale-morale, ma si trovava in vera conoscenza di Dio, la conoscenza della comunione e dell’amore, in vera giustizia, in modo che era il suo diletto volere e fare ciò che piace a Dio, ed in perfetta santità, così che, negativamente, la sua natura era senza macchia a colpa, e, positivamente, era totalmente consacrato al Dio vivente.
Dunque la relazione di quest’Uomo a Dio era una relazione di patto. Per "patto" noi non comprendiamo un certo contratto o accordo tra Dio ed uomo. Questa, certamente, è la nozione che troviamo in molti trattati e discussioni sul patto. E’ anche l’idea basilare di ciò che è conosciuto come "il patto di opere." Secondo questo cosiddetto patto di opere tra Dio ed Adamo, l’uomo poteva raggiungere il fine della vita eterna attraverso l’ubbidienza e come una redarguizione dell’ubbidienza: egli poteva meritare la vita eterna. Ed in quel patto egli poteva anche rendersi degno di morte attraverso la disubbidienza. Questo "patto di opere" implicava, così si sviluppa ulteriormente il dogma, una condizione (quella di non mangiare dell’albero proibito), una promessa (la vita eterna), ed una punizione (la morte).
Questa concezione è aperta a critiche quasi su ogni lato. In primo luogo, si osservi che la Bibbia non ne sa niente di una tale transazione, contratto, o accordo tra Dio e l’uomo. Essa parla, certamente, di un comando probatorio, che proibiva ad Adamo di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male pena la morte. Ma un comando non è un patto, un contratto, un accordo tra due parti contraenti. Esso certamente non parla della promessa della "vita eterna," dello stato, cioè, più alto e celeste di perfetta libertà e gloria, come qualcosa che poteva essere ottenuta da Adamo. La contenzione che egli avrebbe potuto "meritare" la vita eterna in questo cosiddetto patto di opere è certamente contraria all’insegnamento fondamentale della Sacra Scrittura. L’uomo non può mai meritare niente presso Dio. Egli Gli deve tutto ciò che egli è ed ha del continuo da Dio. Egli non può offrire a Dio niente. Egli non ha niente da vendere a Dio. Se egli serve Dio senza fallire, con tutto il suo cuore e mente ed anima e forza, è ancora un servo indegno che ha meritato esattamente niente. E, quindi, l’insegnamento che Adamo avrebbe potuto meritare la vita eterna con la sua obbedienza è corrotto.
Ma perfino suggerire che Adamo avrebbe potuto raggiungere la vita eterna è puramente filosofico, non biblico. Se dobbiamo dare una risposta alla domanda, su cosa sarebbe accaduto ad Adamo nel caso non fosse caduto ma fosse rimasto obbediente, tutto ciò che possiamo dire in base alla Scrittura è che egli non avrebbe potuto morire, che avrebbe ritenuto la vita che aveva. Ma non avrebbe mai raggiunto lo stato più alto della "vita eterna" che può essere ottenuto soltanto attraverso Gesù Cristo nostro Signore. Questa nozione, quindi, di un patto nel senso di un accordo tra Dio ed Adamo come due parti contraenti, in cui Adamo poteva raggiungere la vita eterna se obbediva, la rigettiamo come non scritturale.
Tuttavia, il primo Uomo, Adamo, si trovava in una relazione di patto con Dio, non incidentalmente, non per virtù di alcun accordo e contratto speciale, ma in virtù della sua creazione ad immagine di Dio. L’uomo fu creato nella relazione di patto. Il fatto stesso che fu creato in modo tale che creaturalmente assomigliava a Dio, in modo che Lo conosceva, poteva comprendere la Sua rivelazione, poteva parlargli come un amico con un amico, poteva amarlo, entrare nel Suo segreto e nella Sua intimissima comunione, poteva servirlo e consacrare se stesso ed ogni cosa a Lui nell’ubbidienza dell’amore, questo fatto stesso lo rendeva una creatura di patto, e lo poneva in quella relazione di patto nel momento che egli si trovò in paradiso come una creatura cosciente, cioè fin dal momento della sua creazione. In questa relazione di patto egli era l’amico-servo di Dio, e Dio era il suo Sovrano-Amico. In quella relazione Dio voleva benedirlo col suo favore e comunione, e l’uomo era chiamato a servire Dio liberamente. Egli non era uno schiavo che doveva servire con paura il Signore, né era uno stipendiato che serviva Dio a motivo della redarguizione. Ma liberamente, nell’amore, egli doveva servire l’Altissimo con tutta la sua anima e mente e potenza, e con tutte le cose. Egli era l’ufficiale di Dio, il Suo profeta per conoscerlo, parlare per Lui, e glorificare il Suo nome; il Suo sacerdote per amarlo e consacrare se stesso e ogni cosa a Lui, il Suo re, per rappresentarlo in tutta la creazione terrestre e regnare su tutte le cose nel nome del suo Signore.
E ciò già descrive la sua relazione al mondo nel mezzo del quale fu posto: la creazione terrestre. Egli era re. Non si può dire che era re dell’universo, perché egli era fatto un po’ inferiore agli angeli, ed il mondo celeste era al di fuori del suo dominio. Ma nella creazione terrestre egli era re. Dio gli diede dominio. Questa non è meramente un’affermazione, ma una relazione reale. Tutte le creature, infatti, dovevano realmente servirlo, così che con tutte loro egli poteva servire il suo Dio. Egli era re, ma al di sotto di Dio. Era re-servitore. Egli era il sovrintendente di Dio nel mondo. E’ bene ricordare questo. Le cose di questa vita presente, che l’uomo riceve ed usa, non devono essere considerate come molti doni di Dio a lui, che egli può usare per la sua goduria e il suo piacere carnale, ma essi sono il capitale, il capitale di Dio, affidatogli affinchè con esso l’uomo possa liberamente servire e glorificare l’Altissimo.
In questo modo l’uomo si trovava pienamente equipaggiato per servire in quanto rappresentante di Dio, il Suo sovrintendente nel mondo.
Egli era re in relazione a tutte le cose create sulla terra.
Servo, invece, per quanto riguarda la sua relazione a Dio.
Ed ora la domanda è: cosa ne fu di questo re-servitore, questo sovrintendente di Dio, questo ufficiale, col diritto e l’autorità, la potenza e il privilegio, la volontà e l’abilità di servire il suo Dio? Quali cambiamenti furono causati dalla Caduta, per mezzo del peccato e della morte? Noi dobbiamo ricordare che il peccato è di natura spirituale-etica. L’uomo non fu annichilito. Né fu trasformato in una creatura differente. Egli rimase uomo, una creatura razionale-morale. Né è sufficiente dire che egli perse l’immagine di Dio. La faccenda è generalmente presentata in questo modo. L’uomo perse l’immagine di Dio, e più in particolare l’immagine nel senso "ristretto" del termine. E, di sicuro, egli non ritenne niente della sua conoscenza originale, giustizia e santità. Ma non si dice abbastanza coll’affermare semplicemente che l’uomo perse quell’immagine. Perché, fatto sta che l’operazione della sua natura, la direzione spirituale-etica di quell’operazione, fu radicalmente volta al contrario, fu rivoltata al contrario. Ciò che un uomo perde è andato, non può farci niente. Ma col peccatore il caso è differente. Egli non perse meramente la sua vera conoscenza di Dio, ma la sua conoscenza fu trasformata in menzogna, la sua luce divenne oscurità. Non è sufficiente dire che l’uomo perse la sua giustizia, perché la sua giustizia fu trasformata in perversità ed indurimento. Né la sua santità fu meramente persa, ma fu mutata in corruzione. Egli violò il patto di Dio, e divenne molto realmente un servo del diavolo, con tutto il suo cuore e mente ed anima e forza. Invece di un amico di Dio divenne il Suo nemico.
Dobbiamo tuttavia ricordare che la relazione essenziale dell’uomo alla creazione terrestre non fu mutata. Le creature servono ancora l’uomo, e l’uomo ha ancora dominio ed è re. Di sicuro le sue forze sono seriamente limitate anche da un punto di vista naturale. Egli ha soltanto pochi rimanenti delle sue potenze naturali. Ed egli è soggetto a morte. La sentenza di morte fu molto realmente eseguita su lui "nel giorno" in cui egli mangiò dell’albero. La morte opera nelle sue membra e lo limita da ogni lato. Ed il suo dominio, la creazione terrestre, è sotto la maledizione. Essa è soggetta a vanità. Non può raggiungere il suo proposito. Tuttavia, perfino così, l’uomo si trova ancora in una relazione di re nei confronti della creazione terrestre. Solo che avendo violato il patto, ed essendosi assoggettato al servizio di Satana, egli impiega tutte le cose al servizio della carne e dell’iniquità. Egli opera, certo! Egli deve, ha bisogno di operare! Con corpo ed anima, con mente e volontà e con tutte le sue forze egli opera. Ed egli opera con la potenza di Dio, i doni di Dio, i mezzi di Dio, ma rifiuta di operare al servizio di Dio. Egli non può, non vuole, e non può volere servire Dio. Egli abbandonò perfino il privilegio del servizio di Dio. E’come un sovrintendente in una fabbrica che si ribella contro il suo datore di lavoro, ma rimane ancora nella fabbrica ed opera con i macchinari e la potenza che appartengono al suo datore di lavoro, e ciò per il suo arricchimento. L’uomo è il sovrintendente caduto e ribelle di Dio, che serve il diavolo in inimicizia contro Dio.
Tale è la natura e la posizione del benefattore malvagio di cui tratta questo pamphlet.
Ora la domanda è: in che senso della parola e come può quest’uomo caduto e depravato e ribelle fare del bene?
Possiamo notare in primo luogo che non stiamo pensando al fatto che perfino il malvagio non può mai fare niente che non serva il consiglio ed il proposito di Dio, nonostante se stesso, e che in quel senso della parola si può dire che egli faccia del bene. Ciò, ovviamente, è perfettamente vero. Dio ha il Suo programma per ogni cosa. Egli ha eternamente determinato proprio quale deve essere il fine di ogni cosa, il loro destino e culminazione, ed il corso degli eventi che conducono a quel fine. Ed ogni creatura, bruta o razionale, volenterosamente o meno, deve di certo servire alla realizzazione di quel consiglio. Le potenze delle tenebre possono arrabbiarsi e porsi contro di Lui, il diavolo ed il suo esercito possono immaginare di poter annullare il consiglio dell’Onnipotente, ma in realtà essi possono soltanto servire alla realizzazione d’ esso. Senza inoltrarci curiosamente in ciò che sorpassa la nostra comprensione umana, noi confessiamo con il tredicesimo articolo della nostra Confessione Belga: "nulla può accaderci per caso, ma per l’ordine del nostro buon Padre celeste, il quale veglia su di noi con la sua paterna cura, tenendo tutte le creature soggette a lui; al punto che non uno dei capelli del nostro capo (che sono tutti contati) e nemmeno un piccolo uccello può cadere a terra, senza la volontà del Padre nostro. In questo noi riposiamo, sapendo che egli tiene a freno il demonio, e tutti i nostri nemici, che non possono nuocerci senza il suo permesso e buona volontà."
Ma anche se è vero che questo articolo è citato frequentemente come prova della contenzione che c’è una graziosa influenza restrittiva dello Spirito Santo, per la quale perfino i malvagi fanno del bene in questo mondo, questo articolo non si riferisce affatto alla questione che stiamo discutendo. La nostra domanda non è come Dio usa perfino i malvagi schemi del diavolo e tutti i malvagi per il Suo buon proposito, ma in che senso i malvagi stessi, consciamente e per scelta della loro volontà, sono capaci di fare del bene.
Quindi possiamo attirare l’attenzione prima di tutto al fatto che l’uomo naturale, in virtù della sua luce naturale e la sua relazione alla creazione terrestre, è capace di scoprire nella creazione le ordinanze di Dio, cioè, il modo comune e regolare in cui Dio opera e governa l’universo, è capace di adattare se stesso ad esse ed osservarle e mantenerle, così che opera in conformità ad esse. In altre parole, egli scopre ed osserva le leggi naturali dell’universo in cui vive e lavora. Egli deve aver bisogno di far questo per vivere e lavorare. Dopo tutto, l’uomo, perfino il malvagio, esiste ed opera nella creazione di Dio, dove tutte le cose vanno secondo le ordinanze ed il governo di Dio.
A queste ordinanze l’uomo deve accomodare se stesso. Il contadino deve osservare le stagioni, la natura del suolo, il tipo di semenza che semina, e le leggi dell’agricoltura in generale. Queste leggi non sono la sua propria invenzione. Esse sono le ordinanze di Dio. E se egli le osserva e mantiene, fa del bene. Dunque vi sono ordinanze di Dio ovunque, che il malvagio, come anche il giusto, deve aver bisogno di osservare. Vi sono leggi di gravità e gravitazione, leggi del vapore e dell’elettricità, leggi della luce e del suono. E l’uomo, che costruisca una casa o una macchina a vapore, se viaggia per terra o mare attraverso l’aria, se mangia o beve, deve osservare ed agire in conformità a queste ordinanze dell’Altissimo. A seconda se egli ha successo nel fare questo, egli fa del bene. Se un contadino semina un solco diritto egli fa del bene, se un appaltatore costruisce una buona casa, egli fa del bene, se un meccanico costruisce un’automobile che funziona scorrevolmente, egli fa del bene, se un chirurgo opera in un modo abile, egli fa del bene.
Gli esempi potrebbero essere moltiplicati senza fine. Nessuno negherebbe questo, in questo senso naturale, in questo senso di abilità quasi perfetta, che perfino il malvagio può fare del bene. E’ inoltre evidente che in questo ben fare in quanto tale non vi è nessuna bontà etica! Qualcuno può ben fare in questo senso della parola ed allo stesso tempo peccare! Perché, se egli non fa tutte le cose dall’amore di Dio e secondo la Sua legge morale, e per la Sua gloria, ma al contrario compie tutte queste opere nel servizio della carne ed in inimicizia contro Dio, egli commette iniquità mentre fa del bene. Egli è un benefattore malvagio.
Né è difficile vedere che in questo senso della parola il malvagio può ben fare del bene senza alcuna influenza di grazia su di lui. Il mero fatto che egli rimase un essere razionale-morale, che egli ha ancora luce naturale, e che essenzialmente la sua relazione alla creazione terrestre non è stata e non poteva essere cambiata dal peccato, è abbastanza sufficiente per spiegare il suo ben fare in questo senso della parola. Il peccato non deve essere ristretto, e la natura morale dell’uomo non deve essere migliorata, per far di lui un contadino di successo, un buon meccanico, un abile chirurgo.
Ma c’è di più. Noi possiamo perfino procedere un passo oltre e dire che il malvagio è capace di conoscere, e, in una certa misura, di osservare e adattare se stesso nel suo comportamento esterno ai precetti morali di Jehovah, ed anche in questo senso della parola fare del bene. Vi sono varie considerazioni e motivi che sorgono dal cuore dell’uomo naturale, che spiegano questo "riguardo per la virtù" (Canoni di Dordrecht III-IV, 4) nel suo portamento esteriore. Alcune volte è un desiderio di mantenere una buona reputazione tra gli uomini, il ricercare l’onore degli uomini, o un senso di vergogna che motiva il malvagio nel suo tentativo di adattare se stesso nel suo portamento esteriore alla legge morale di Dio. Oppure, ancora, è uno sporco lucro, o il desiderio di avanzare nel mondo, o il forte istinto di auto-preservazione (istinto sia individuale che sociale) che lo mette in guardia a non indulgere troppo liberamente nei piaceri del peccato. Perché fatto sta che la legge di Dio è buona per l’uomo, mentre il salario del peccato è sempre la morte. Ed il malvagio, con la sua luce naturale discerne la differenza tra il bene e il male, e percepisce molto bene che per lui è di beneficio, individualmente e socialmente, l’osservare i precetti morali di Dio, e che allontanarsi da essi significa distruzione sicura, e così fa un serio tentativo di osservare quei precetti in una certa misura nel suo cammino esteriore. Fin dove ha successo in questo tentativo egli fa del bene.
Allo stesso tempo si comprende prontamente che questo "ben fare" è peccaminoso e molto corrotto. E’ malvagio ben fare. Perché esso non è motivato dall’amore di Dio ma sempre dall’amore di sé. Esso non mira alla gloria di Dio ma sempre alla gloria del benessere del mero uomo. A chi non chiude gli occhi sulla realtà apparirà chiaro che questo tentativo, anche se ha un certo successo, in qualche misura, fallisce sempre largamente. L’egoismo e la concupiscenza, l’adulterio e la corruzione, l’odio e l’invidia, non sono peccati che rimangono nascosti nel cuore dell’uomo, ma si manifestano orribilmente nella storia del mondo e nella vita quotidiana dell’umanità. E infine, sarà anche evidente che nessuna influenza di grazia dello Spirito Santo è necessaria per spiegare il fenomeno di questo malvagio ben fare. In nessun modo questo ben fare del malvagio altera o detrae dalla verità che l’uomo naturale è interamente incapace di fare qualsiasi bene ed inclinato ad ogni malvagità, e che tutte le immaginazioni del suo cuore sono soltanto male continuamente.
La verità di tutto questo è chiaramente illustrata in ciò che ci è detto nella Scrittura di Jehu. In II Re 10:30 leggiamo: "ed il Signore disse a Jehu: Poiché tu hai fatto del bene nell’eseguire ciò che è giusto ai miei occhi, ed hai fatto alla casa di Ahab secondo tutto ciò che era nel mio cuore, i tuoi figli della quarta generazione sederanno sul trono di Israele." Non deve sfuggire alla nostra attenzione che questa affermazione è sia preceduta che seguita da una nota che ci ricorda della malvagità di Jehu. Al verso 29 è affermato: "Tuttavia dai peccati di Geroboamo il figlio di Nebat, che fece peccare Israele, Jehu non si allontanò, e cioè dai vitelli dorati che erano in Bethel, e che erano in Dan." Ed ancora al verso 31 leggiamo: "Ma Jehu non si diede cura di camminare nella legge del Signore Dio con tutto il suo cuore, perché non si allontanò dai peccati di Geroboamo che fece peccare Israele."
Come, allora, devono essere spiegate ed armonizzate queste affermazioni apparentemente contraddittorie l’una con l’altra? Come potè Jehu fare ciò che era giusto agli occhi del Signore, mentre il suo cuore non era col Signore suo Dio, e camminò nei peccati di Geroboamo? C’è qualche bisogno della teoria della "grazia comune" per interpretare il ben fare di Jehu? O il suo eseguire ciò che era nel cuore di Jehovah si può spiegare parlando del cuore malvagio di Jehu?
La seconda opzione è senza dubbio quella corretta. Il fatto è che Jehu ricevette un comandamento dal Signore. Egli fu chiamato a colpire la casa di Ahab, il suo maestro, così che il sangue dei profeti e di tutti i servitori del Signore, che era stato sparso da quel malvagio re, potesse essere vendicato. Egli doveva essere lo strumento di Dio per la distruzione dell’intera casa di Ahab, così che non un membro d’essa fosse lasciato e fosse resa totalmente simile alla casa di Geroboamo e la casa di Baasha (II Re 9:7-10). Ora, Jehu era un abile capitano. Egli era un uomo capace di eseguire questo comandamento. Era dotato di veloce e scaltro discernimento, di abilità militare e di coraggio fisico. Quando gli era affidata una commissione egli la eseguiva velocemente e completamente. Egli, quindi, era interamente adatto per questo lavoro. E dimostrò la sua abilità nell’eseguire tutto quello che era nel cuore del Signore per quanto riguardava la casa di Ahab. Egli provò se stesso essere molto zelante. Prese perfino Jehonadab il figlio di Rechab con lui a Samaria per vedere il suo "zelo per il Signore." Velocemente e completamente egli distrusse ogni ultima persona della casa di Ahab. Egli fece realmente bene!
Questo significa, tuttavia, che Jehu fece del bene nel senso spirituale-etico della parola? Fu la sua una "buona opera," frutto della grazia? No affatto. Se adottassimo questo punto di vista a riguardo, non saremmo in grado di spiegare come lui stesso camminò nei peccati di Geroboamo che fece peccare Israele. Se ciò che motivava Jehu era lo zelo per Jehovah e il Suo patto, di certo non avrebbe tenuto i vitelli dorati in Bethel ed in Dan. Dal fatto che lui seguì nei peccati di Geroboamo è evidente che il timore del Signore non era nel suo cuore, che non si curava del patto di Dio e dell’onore del Suo nome, che l’amore di Dio non era ciò che lo condusse a distruggere la casa di Ahab. Al contrario, era la sua peccaminosa ambizione che lo spingeva a farlo. Nel comandamento del Signore egli vide un mezzo, un modo per soddisfare la sua ambizione e divenire re di Israele al posto della famiglia di Ahab. E con questo fine in vista egli divenne molto zelante ed eseguì completamente tutto quello che era nel cuore di Jehovah. Egli è un esempio chiaro di benefattore malvagio!
Ora, questo ben fare da parte del malvagio ha la sua redarguizione. E’ la redarguizione che è conosciuta nel mondo come "successo", cioè l’avanzamento e il progresso che l’uomo ottiene nel mondo, quando fa del bene nel senso sopra definito. Tutte le altre circostanze e condizioni essendo uguali, il chirurgo che opera abilmente, compie operazioni di successo, salva le vite dei suoi pazienti, presto si fa un nome e si costruisce una reputazione ed acquista una pratica estensiva. Egli è un dottore di successo. Il panettiere che cuoce del buon pane e sa come metterlo sul mercato troverà molti clienti e presto dovrà allargare il suo luogo d’affari. Il manifatturiere che produce le migliori automobili al prezzo più ragionevole avrà successo nel trovare un mercato per i suoi prodotti. L’uomo che è capace di compiere cose brillanti, in qualsiasi reparto della vita sia, presto si fa un nome. Chi vive moderatamente, non spreca la sua vita in pratiche immorali e in dissipazione, preserverà la sua salute e forza e godrà di una vita più lunga nel mondo di colui che è uno schiavo delle sue concupiscenze. L’uomo d’affari onesto guadagnerà la fiducia dei suoi patroni. Il meccanico abile troverà una posizione e la manterrà. Il politico abile guadagnerà la maggioranza dei voti e raggiungerà la posizione che cerca.
Jehu anche ebbe la sua redarguizione. Perché il Signore lo unse re e gli promise che i suoi figli si sarebbero seduti sul trono di Israele perfino fino alla quarta generazione. La sua redarguizione fu, anche nel suo caso, in linea con la natura del suo ben fare. Egli ebbe successo nel realizzare la sua ambizione. Ed anche questo era dal Signore. Perché, anche se nelle relazioni molto complesse del mondo peccaminoso non sempre possiamo essere in grado di vederlo, il Signore redarguisce ogni uomo secondo la sua opera.
Ma è molto essenziale che distinguiamo chiaramente tra "successo" e "benedizione."
Non infrequentemente le due parole sono confuse, e ciò che è mero "successo" è considerato benedizione. Quando un uomo prospera nel mondo, quando egli allarga il suo luogo, guadagna influenza e potenza, aumenta i suoi possedimenti con molte cose temporali, non è affatto una cosa poco comune che gli uomini lo chiamano "benedetto," o che perfino lui stesso si consideri tale, non è vero? Tuttavia, se nient’altro può essere detto di un tale uomo, egli ha meramente successo. Se con tutto il suo successo egli è un uomo malvagio, egli ha una redarguizione, certo, ma la sua redarguizione, è, tuttavia, non una benedizione, ma una maledizione per lui. La benedizione è la parola del favore e della grazia di Dio su noi e per noi; il successo non è affatto prova della grazia di Dio, ma per i malvagi consiste di luoghi sdrucciolevoli sui quali Egli li pone per distruggerli (cf. Salmo 73). La benedizione di Dio è basata sulla giustizia che è in Cristo Gesù nostro Signore, il successo non ha base di giustizia e lascia un uomo sotto l’ira e maledizione di Dio. La benedizione significa che Dio fa sì che tutte le cose operino insieme per il nostro eterno bene, così che possiamo ottenere la gloria del nostro Signore Gesù Cristo, il successo è limitato alle cose di questo tempo presente e circondato da ogni lato da morte e distruzione.
Ciò è il motivo per cui parliamo di una redarguizione di maledizione.
Fintanto che consideriamo le cose di questa vita presente, il successo ed il progresso, l’avanzamento e la prosperità del benefattore malvagio, come benedizioni su lui, doni della grazia di Dio che l’Altissimo conferisce su lui perché ne goda per un tempo, fintanto che separiamo le cose di questo tempo presente dal loro eterno proposito e fine, non comprenderemo mai che perfino la redarguizione del benefattore malvagio è una maledizione. Ma appena vediamo tutte le cose nella loro vera luce e relazione, ciò diviene molto chiaro. Perché, quando il malvagio benefattore ha successo, aumenta la sua ricchezza, allarga il suo luogo, guadagna in potere ed influenza, egli meramente avanza la sua obbligazione di servire Dio. Perché le cose di questo tempo presente sono il capitale di Dio affidatoci, ponendoci sotto l’obbligo di servire e glorificare l’Altissimo con tutto esso. Ma il malvagio non può e non vuole impiegare tutte le cose nel Suo servizio. Per lui le cose di questo tempo presente sono mezzi per soddisfare le concupiscenze varie della carne, degli occhi, e l’orgoglio della vita. E, quindi, più egli aumenta i suoi possedimenti e la sua posizione diviene elevata, più un grande peccatore egli diventa, e più aggrava il suo giudizio, e più severa sarà la sua punizione eterna.
Jehu ebbe successo ed ascese al trono di Israele. E su quel trono il suo obbligo era aumentato. Tuttavia, egli camminò nei peccati di Geroboamo. Il suo peccato e dannazione divennero più grandi di quello che sarebbero mai state se fosse rimasto un mero capitano. Ed il sangue di Jezreel fu vendicato sulla casa di Jehu, anche se lo aveva sparso in armonia al comandamento di Dio! La sua fu una redarguizione di un benefattore malvagio. E fu una redarguizione di maledizione!
Ma la benedizione del Signore è sui giusti. Ed essi ricevono la redarguizione di grazia. Perché Cristo la meritò interamente per loro. Per grazia essi sono salvati. Per grazia sono giustificati ed hanno il perdono del peccato ed il diritto alla vita eterna. Per grazia hanno il diritto ed il privilegio di fare quelle opere buone che Dio ha ordinato per loro da prima della fondazione del mondo. E così, quando essi ricevono la redarguizione della gloria nella via delle buone opere, la loro redarguizione è una redarguizione di grazia (cf. Ef. 2:8-10).
Grazie siano rese a Dio per il Suo inesprimibile dono!