(Da: CR News, Luglio-Settembre 2006, Volume XI, n. 3-5)
Rev. Angus Stewart
I Corinzi 7:15 parla della volontaria diserzione fisica di un credente da parte della sua sposa non credente: "Ma se il non credente si separa, che si separi. Un fratello o una sorella non è sotto schiavitù in tali casi: ma Dio ci ha chiamato alla pace."
Molti argomentano che "non sotto schiavitù" significa che il credente disertato non è più sposato e così è libero di risposarsi. Tuttavia, vi sono problemi insuperabili a riguardo di questa concezione.
Primo, il testo non dice niente sul risposalizio in quanto tale. Il risposalizio mentre il proprio sposo è in vita, è già stato escluso nel contesto precedente. Due, e solo due, opzioni sono date alla persona divorziata: o "rimanga senza sposarsi" o "sia riconciliata" al proprio marito o moglie (11). Anche alla fine di questo grande capitolo sul celibato e matrimonio Cristiano, l’apostolo proibisce il risposalizio mentre il proprio sposo è in vita (39).
Secondo, Cristo insegna che la fornicazione è la sola base per il divorzio: "chiunque metterà via sua moglie, eccetto che per causa di fornicazione, le fa commettere adulterio, e chiunque sposerà colei che è divorziata commette adulterio" (Matteo 5:32; cf. 19:9). La diserzione non è una base per il divorzio, perché Cristo ha permesso soltanto una base e non due.
Terzo, questa veduta presenta il matrimonio come schiavitù ed il marito e la moglie come due schiavi in una condizione di servitù. Perché se il Cristiano disertato è in grado di risposarsi, "non sotto schiavitù" deve significare che lui o lei non è più sposato. Tuttavia la Bibbia insegna che il matrimonio è un’unione di "una sola carne" tra un uomo ed una donna (Genesi 2:24), un patto di compagnia (Malachia 2:14), che raffigura il vincolo di Cristo con la Sua sposa, la chiesa (Efesini 5:22-23). Attraverso il peccato umano, il matrimonio può essere vissuto come una specie di schiavitù. Tuttavia, se questa esperienza (e non il matrimonio stesso) è detta essere la "schiavitù" di I Corinzi 7:15, allora il testo sta dicendo meramente che le difficoltà del vivere con un non credente sono finite una volta che egli o ella diserta. Allora il testo non direbbe niente a riguardo della rottura del vincolo del matrimonio stesso, né permetterebbe il risposalizio.
Quarto, la Scrittura insegna che Dio rompe il vincolo matrimoniale soltanto al momento della morte. "La moglie è vincolata dalla legge fintanto che il marito vive [anche se è stata disertata!]; ma se suo marito è morto, ella è libera di sposarsi a chi lei voglia; soltanto nel Signore" (I Corinzi 7:39). "Perché la donna che ha un marito è vincolata dalla legge a suo marito fintanto che egli vive [anche se lei è stata disertata!]; ma se il marito è morto, ella è sciolta dalla legge di suo marito. Così allora, se mentre suo marito vive, ella si sposa ad un altro uomo, ella sarà chiamata adultera, ma se suo marito è morto, ella è libera da quella legge, così che non è adultera anche se sia sposata ad un altro uomo" (Romani 7:2-3).
La corretta interpretazione sta nel comprendere rettamente la frase chiave "non sotto schiavitù" (15). Chi è "sotto schiavitù" è schiavo, ridotto a servitù. I credenti disertati non sono schiavi ai loro sposi e così non devono seguirli a forza e insistere che ritornino. Quindi "non sotto schiavitù" non significa "non vincolato a tua moglie." "Vincolato" e "schiavo" sono due parole che potrebbero sembrare avere lo stesso significato ma invece sono marcatamente differenti. Le parole greche che noi traduciamo "vincolato" (I Corinzi 7:27, 29) e "schiavitù" (15) sono differenti. La Parola di Dio non descrive mai il santo stato del matrimonio come "schiavitù!" "Schiavitù" significa essere incatenato, schiavo, mentre "vincolato" parla di una connessione, qui quella del matrimonio, un’unione di una sola carne (27, 39). Alcune traduzioni, probabilmente per promuovere la falsa interpretazione di I Corinzi 7:15, torcono la Parola di Dio. Il credente disertato, secondo questa cattiva traduzione, "non è vincolato [in matrimonio]."
Non essendo "sotto schiavitù," il credente disertato è chiamato alla "pace" (15). Egli o ella non deve sentirsi colpevole o svergognato o ansioso. Il credente disertato è stato abbandonato per la sua fede dalla sua o dal suo sposo non credente, e così non ha fatto niente di male e non deve essere incolpato. Il figlio di Dio, in tali circostanze, deve accettare ed adeguarsi nella provvidenza di Dio e non andare ad inseguire la sua sposa o sposo per tutto il paese. Dopo tutto, il credente ha pace con Dio attraverso la giustizia di Gesù Cristo (Romani 5:1), ed il frutto del Suo Spirito è pace (Galati 5:22). Dio chiama gli sposi Cristiani disertati alla pace perché Lui, in Gesù Cristo, è il nostro fedele marito che ci ama e provvede per noi. Egli sarà sempre con noi e non ci abbandonerà mai.
Nel prossimo articolo considereremo la tradizione dell’interpretazione della chiesa di I Corinzi 7:15 e la diserzione.
Avendo visto nel numero precedente che I Corinzi 7:15 non insegna che un credente disertato è libero di risposarsi, ci volgiamo alla tradizione dell’interpretazione di questo verso. Qui noi riconosciamo che differiamo dai Riformatori.
Tuttavia, noi siamo tutt’altro che soli nella nostra posizione. Tra i commentatori di I Corinzi che sono d’accordo con noi vi sono uomini di varie persuasioni teologiche: Bengel e Weiss (tedeschi), Godet (svizzero), Grosheide (olandese; NICNT), Albert Barnes ed A. T. Robertson (americani), ed Alfred Plummer, Gordon Fee e C. K. Barrett (inglesi). Altri teologi includono il Congregazionalista del New England Timothy Dwight ed il Battista americano W. E. Best.
Questa è anche la posizione storica delle chiese Anglicane, come è testimoniata nel famoso voto matrimoniale "finchè morte non ci separi," ed è la dottrina delle Assemblee dei Fratelli. Anche molte chiese Riformate olandesi in tutto il mondo hanno sposato questa testimonianza. Inoltre, la chiesa primitiva e la chiesa medievale erano quasi del tutto unanimi nel negare che la diserzione permette il risposalizio. Il primo dissenziente di cui abbiamo notizia rispetto al consenso cattolico risale al 400 d.C. e il secondo dopo di lui nell’800 d.C. Tutti i sinodi della chiesa, per i primi 1500 anni della sua esistenza, che si rivolsero a questo soggetto, insegnarono soltanto una base per il divorzio (l’adulterio) e che il risposalizio mentre il proprio sposo è in vita è adulterio.
Per quanto sia stato in grado di accertarmi, l’ardente proponente del libero arbitrio, Erasmo, è stato il primo in tempi moderni a rompere col consenso cattolico. Forse i Riformatori, nel seguire la veduta di Erasmo, stavano in parte reagendo all’erronea veduta Cattolico Romana che il matrimonio è un sacramento. In generale, coloro che (erroneamente) vedono il patto e dunque il matrimonio come un contratto sono quelli che sostengono che esso è dissolto dalla diserzione, mentre noi che crediamo che il patto e dunque il patto matrimoniale sono un’unione o vincolo di una sola carne (Genesi 2:24; Matteo 19:5-6) confessiamo che Dio soltanto rompe il vincolo alla morte (Romani 7:2-3; I Corinzi 7:39).
Dunque, sulla base della Parola di Dio noi dobbiamo essere in disaccordo su questo punto con la Confessione di Westminster (CW) che permette il risposalizio di coloro disertati dal proprio sposo e la "parte innocente" (CW 24.5-6). Il nostro appello qui contro questa confessione altrimenti eccellente è alla Parola di Dio stessa: "Il giudice supremo da cui tutte le controversie di religione devono essere determinate, e da cui tutti i decreti di concili, opinioni di antichi scrittori, dottrine d’uomini, e spiriti privati, devono essere esaminati, e alle cui sentenze dobbiamo rimetterci, non può essere altri che lo Spirito Santo che parla nella Scrittura" (CW 1.10).
Noi non siamo soli nel vedere delle debolezze nella Confessione di Westminster 24, "Del Matrimonio e Divorzio." Molti, se non la maggior parte delle denominazioni Presbiteriane, non sostengono CW 24.4, che tratta dei gradi di consanguineità ed incesto (e.g. La Testimonianza della Reformed Presbyterian Church of Ireland, p. 70). Se noi crediamo che la confessione erri permettendo due basi per il divorzio (adulterio e diserzione, CW 24.6) quando Cristo ne permise soltanto una (adulterio; Matteo 5:32; 19:9), molti Presbiteriani e Ricostruzionisti criticano la confessione dall’altro lato, perché essi permettono il divorzio su molte basi (e.g., "incompatibilità"), come molti Farisei (cf. Matteo 19:3).
Il distinto teologo Presbiteriano John Murray ha messo in evidenza una "lacuna" in CW 24.6. Questo articolo afferma che "una diserzione volontaria tale che in nessun modo possa essere rimediata dalla Chiesa, o dal magistrato civile" dissolve il matrimonio e permette un altro matrimonio. Tuttavia, anche se I Corinzi 7:15 permettesse il risposalizio dopo la diserzione (cosa che non fa, cf. l’articolo precedente n. 1) permetterebbe soltanto ad un credente che è stato disertato dalla sua sposa non credente di risposarsi. CW 24.6 permetterebbe ai non credenti disertati o credenti disertati da parte di Cristiani professanti di risposarsi, che è contrario perfino all’erronea interpretazione di I Corinzi 7:15.
CW 24.6 cerca di giustificare il risposalizio della "parte innocente" argomentando che è "come se la parte offendente fosse morta." Tuttavia, la Scrittura non conosce alcun "come se fosse morta" che poi permetterebbe il risposalizio. La "parte colpevole" è viva; altrimenti non vi sarebbe bisogno di un divorzio. Romani 7:2-3 (che CW 24.5 cita) ed I Corinzi 7:39 affermano che una persona è vincolata in matrimonio a meno che il suo o sua sposa è realmente e fisicamente "morta." Il risposalizio mentre il proprio sposo è ancora in vita non è "lecito" (CW 24.5), è adultero: "Perché la donna che ha un marito è vincolata dalla legge a suo marito fintanto che egli vive … Così allora se mentre suo marito vive ella si sposa ad un altro uomo, ella sarà chiamata adultera" (Romani 7:2-3).
E’ istruttivo notare che coloro che permettono il risposalizio del credente disertato e della "parte innocente" hanno trovato difficile "rimanere in linea." Lutero permise perfino la bigamia di Filippo di Hesse, creando un enorme scandalo in tutta la Cristianità. Un Protestante italiano disertò la sua moglie Cattolico Romana ed i suoi figli e si trasferì a Ginevra. Egli, un "credente," la lasciò, una non credente, e tuttavia Calvino gli permise di risposarsi mentre sua moglie era in vita. I Riformatori non ebbero l’ultima parola sulla dottrina del matrimonio.
Sempre più frequentemente, nella nostra "empia ed adultera generazione" (Matteo 16:4), le chiese stanno franando sul matrimonio, divorzio e risposalizio. Le congregazioni stanno essendo condotte da ministri, anziani e diaconi divorziati e risposati. Persone divorziate e risposate stanno venendo alla Cena del Signore, ed a volte esse prendono parte alla tavola nella stessa congregazione o denominazione. In molti luoghi, varie basi per il divorzio sono accettate e non solo l’unica, ovvero l’adulterio. Il permesso di risposarsi soltanto per la "parte innocente," oltre ad essere non biblica (Romani 7:2-3; I Corinzi 7:39), in molte istanze si sta dimostrando instabile. Se la "parte innocente" è libera di risposarsi, deve essere perché il matrimonio stesso è dissolto. E se il matrimonio è dissolto per la "parte innocente," allora deve essere dissolto anche per la "parte colpevole." Perché allora la "parte colpevole" non può risposarsi? Molte congregazioni e sinodi ecclesiastici non sono stati in grado di resistere a questo argomento. Ma ancora più persuasivo è forse l’aver realizzato che insegnare e praticare la dottrina biblica del matrimonio, divorzio e risposalizio può ben significare perdita di numeri ed una profonda battaglia spirituale.
In un tempo in cui le fessure nella dottrina del matrimonio sostenuta da molti stanno diventando sempre più larghe, è tempo per individui, famiglie, e chiese di ricevere la dottrina del matrimonio sposata da Gesù Cristo, lo sposo e capo della chiesa.
Nell’attacco alla dottrina biblica del matrimonio, divorzio e risposalizio, la grande verità dell’infrangibile vincolo tra Cristo e la Sua chiesa sta essendo attaccata, perché la prima deve riflettere la seconda (Efesini 5:22-33). Il vincolo tra Cristo e la Sua sposa eletta è quello dell’eterno patto realizzato dalla grazia irresistibile di Dio Onnipotente ed operata dallo Spirito dimorante in essa. I nostri empi peccati non possono rompere questo vincolo, nemmeno la morte stessa. Perché Dio è immortale e la nostra morte è una via di passaggio nella gloria, e la morte di Cristo è la nostra redenzione, santificazione e glorificazione (25-27).