(Da: The Standard Bearer, Volume 80, n. 11)
Prof. David J. Engelsma
La certezza della salvezza è un aspetto della vera fede. La certezza appartiene alla natura stessa della fede salvifica. La fede in Gesù Cristo secondo il vangelo delle Scritture è certezza. La fede è certezza della salvezza.
Un credente può dubitare della sua salvezza. Egli non dovrebbe dubitare, ma è possibile che lo faccia. Ma il dubbio non è parte della sua fede. Il suo dubitare della sua salvezza è la sua corrotta, incredula natura che acquisisce man forte nella sua coscienza.
Secondo la sua fede, che sia grande o piccola, che sia matura, alla fine della vita Cristiana, o immatura, al principio stesso d’essa, il credente non dubita mai.
La certezza della salvezza da parte di ogni singolo credente non è presunzione. La piena certezza (per usare un’espressione ridondante) da parte di un credente in qualsiasi stadio della sua vita di fede non è una rarità. La certezza, certezza assoluta (che è la sola certezza che vi è o vi può essere), di essere salvati personalmente mediante il sangue e lo Spirito di Cristo nell’eterno amore di Dio non è un’anormalità nelle congregazioni Riformate. La certezza della salvezza è semplicemente la realtà della fede.
La certezza della salvezza è la certezza della fede.
La fede è certezza in virtù del fatto che essa è unione con Gesù Cristo. Quando lo Spirito dà la fede, Egli unisce l’eletto con Cristo. La fede è il vincolo dell’unione mistica col Salvatore. Come Paolo non si stanca mai di insegnare, colui che ha fede è "in Cristo." E Cristo è in lui. In questa unione, la certezza del credente che Cristo è suo e che egli è di Cristo è tanto normale e necessaria come la certezza della moglie Cristiana che, unita al suo pio marito in matrimonio, ella è sua e lui è suo.1
La fede è certezza per quanto riguardo la cosciente attività del credere. Credere consiste di due elementi distinti, ma inseparabilmente correlati. Credere è conoscenza. E’ conoscenza di Gesù Cristo come rivelato nel vangelo della Sacra Scrittura. Non soltanto la fede conosce Gesù Cristo in quanto il Figlio di Dio inviato da Dio nel mondo come il solo Salvatore dal peccato e dalla morte mediante la Sua morte espiatoria. Ma la fede riconosce Gesù come il Salvatore di colui che crede.
La conoscenza della fede, il conoscere ciò di cui consiste la fede, non risponde a Gesù Cristo presentato nel Vangelo dicendo: "Ah, ciò è di sicuro interessante, ed indubbiamente molto importante, ecco questa persona, Gesù, Che è il Salvatore del mondo." Vi può essere una risposta così, almeno per un breve periodo, da parte di qualcuno, ma è la risposta di una falsa fede. A questa falsa fede a volte si fa riferimento come "fede storica." Essa non dura. Presto si manifesta come diretta incredulità, che rigetta e disprezza il Salvatore rifiutandosi di confidare in Lui, se non addirittura bestemmiandolo. In ogni caso, la fede storica non è la risposta a Gesù Cristo della fede operata negli eletti dallo Spirito Santo.
La vera fede risponde: "Mio Salvatore e mio Signore."
La fede conosce Cristo in un modo vivente e personale, come la pecora perduta conosce il suo pastore che la cerca, come un debitore conosce il suo creditore che gli fa grazia, come la creatura peccaminosa conosce il suo Dio amoroso.
Questa conoscenza di Cristo quale Salvatore del credente è certa. Non vi è dubbio in essa. La ragione è che la conoscenza della fede di Cristo è il dono stesso di Cristo al peccatore eletto. Cristo Si fa conoscere al peccatore nel dono della fede, e la fede conosce Cristo come proprio del peccatore. Cristo Si fa conoscere con certezza.
Già, allora, per quanto riguardo il primo elemento della fede, ovvero la conoscenza, la conoscenza di Gesù Cristo, la fede è certezza, certezza della salvezza personale. Se non fosse vero che la fede conosce Cristo come il Salvatore di colui che crede, il peccatore colpevole non oserebbe mai confidare in Gesù Cristo per la salvezza. La fede non è un salto rischioso nel buio.2
Il secondo elemento dell’attività della fede è la fiducia. Logicamente dipendente dalla conoscenza che la fede ha di Cristo, ma tuttavia una sola attività spirituale con questa conoscenza, la fiducia è l’andare a Cristo da parte del peccatore per il perdono dei peccati e la vita eterna. Il peccatore fiducioso si getta su Gesù Cristo per la salvezza.
In questa fiducia, questo gettarsi su Cristo, questo cercare la salvezza dove soltanto può essere trovata, è la certezza della propria salvezza. Fiducia in Gesù, che è un elemento essenziale della fede, non è e non può essere meramente la certezza che Gesù è il Salvatore. Meramente essere sicuri che Gesù è il Salvatore non è fiducia. Fiducia è affidare se stessi a Cristo, ed affidarsi a Lui o confidare in Lui, o dipendere da Lui, è certezza che Lui è il Salvatore di colui che confida.
Soltanto colui che è persuaso della certa promessa del Vangelo che ognuno che confida in Gesù sarà ricevuto da Lui e troverà giustizia e vita eterna è uno che confida in Gesù. L’attività stessa di confidare è certezza, non dubbio.
In più, quando uno ha confidato, non scopre meramente che Gesù è un Salvatore di peccatori, ma che Gesù è il suo Salvatore personale. Questa è la promessa. La promessa non è: "Credi in Lui e sarai convinto che Gesù è il Salvatore di molte persone." Che me ne importa di questo? Questo non è il mio grande bisogno, cioè di essere convinto che Gesù salva alcune persone. Suppongo che Satana è convinto che Gesù salva delle persone. La promessa del vangelo è "Credi in Lui, e tu, tu stesso personalmente, avrai il perdono e la vita eterna." E colui che ha il perdono e la vita eterna di certo è assicurato che Gesù Cristo, Che gli dà il perdono e la vita eterna, è il suo Salvatore.
Parlare di persone che confidano in Gesù per la salvezza mentre non hanno, anzi a cui viene negata, la certezza della salvezza, è assurdo.
Noi possiamo distinguere la certezza della fede che Gesù è il Salvatore e la certezza della fede che Gesù è il mio Salvatore. Ma è impossibile separare questi due aspetti della certezza nella coscienza del credente. Se un uomo non ha la certezza che egli è salvato da Gesù, la ragione (a parte ora alcune circostanze speciali nella sua vita spirituale a cui ritorniamo in seguito in questa serie) è che egli non confida in Gesù come Salvatore. E, posso aggiungere, egli non confida in Gesù perché non conosce Gesù con la conoscenza della fede.
Conoscerlo è confidare in Lui, e confidare in Lui è essere assicurato della salvezza mediante Lui.3
Un’illustrazione può aiutare a rendere chiaro sia che noi confidiamo in qualcuno di cui noi siamo certi che è il nostro aiuto e sia che l’attività stessa di confidare in un vero e fedele aiuto necessariamente implica la certezza. Quando ero un piccolo bambino, conoscevo i miei genitori come il mio aiuto e rifugio. Andavo da loro per ogni cosa, cibo quando avevo fame, conforto per le mie paure da bambino, sollievo nel dolore. A volte mi gettavo letteralmente nelle loro braccia e tra le loro ginocchia. Confidavo in loro come in dei genitori che mi amavano, e confidavo in loro perché li conoscevo come i miei genitori.
Quel piccolo bambino era sicuro che i suoi genitori lo avrebbero aiutato. Egli non ne dubitava mai.
Nell’attività stessa del confidare in loro, il bambino era certo che era aiutato da loro, e che era aiutato da loro perché era il loro figlio, che essi amavano. Egli non dubitava mai nemmeno questo.
E questo era ciò che volevano i suoi genitori. Essi incoraggiavano la fiducia perchè la fiducia è certezza di essere amati, che è basilare alla relazione di genitori e figlio.
Di certo non si verificava (pensare la qual cosa è sciocco) che il bambino dipendeva dai suoi genitori ed era aiutato da loro per quanto riguardo tutto ciò che appartiene al nutrimento ed allevamento pattale, ma dubitò per molti anni se essi erano i suoi genitori, se lo amavano, e se era loro figlio.
La fiducia è certezza. Non si può separare la certezza dalla fiducia più di quanto si possa separare il bagnato dall’acqua. Poiché la fiducia è dell’essenza della fede, così la certezza è dell’essenza della fede.
Il grande male di certe chiese Riformate e Presbiteriane che risulta nel dubbio da parte di molti membri a riguardo del fatto se siano salvati o meno è il loro diniego della verità che la certezza appartiene alla natura stessa della fede. Questo grave errore dottrinale, con le sue terribili conseguenze pratiche, lo hanno ereditato dai Puritani.
Molti, se non la maggior parte dei Puritani, insegnarono che la certezza non è dell’ "esse" (parola Latina che significa "essenza" o "essere") della fede, ma soltanto del "bene esse" (Latino, "benessere") della fede. La fede, essi dicevano, non è essa stessa certezza. La certezza è soltanto un frutto della fede. Uno può avere ed esercitare vera fede senza godere della certezza della salvezza. Uno può avere fede per molti anni senza godere della certezza della salvezza. In verità, secondo i Puritani, la maggior parte dei Cristiani, anche se hanno la fede, non hanno la certezza. La maggior parte dei Cristiani, anche se credono, vivono nel dubbio per molto della loro vita. La maggior parte dei credenti dovrebbe aspettarsi di vivere nel dubbio se sono salvati o meno per un lungo tempo, molto probabilmente tutta la loro vita. I Puritani insegnarono che "la piena certezza soggettiva [cioè, la certezza—DJE] è spesso trattenuta fino al momento della morte" (William K. Stoever "A Faire and Easie Way to Heaven," Wesleyan University Press, 1978, p. 155).
Per il Puritano Thomas Brooks la certezza "non è essenziale alla fede." La certezza è "del bene esse [benessere] della fede, non del suo esse [essere o essenza]." La certezza della propria salvezza è "un aspetto della fede che normalmente appare soltanto quando la fede ha raggiunto un alto grado di sviluppo, molto oltre il suo minimo esercizio salvifico." Brooks parlò della certezza come "una redarguizione della fede."
Thomas Goodwin, un altro notevole Puritano, insegnò che la certezza è "un ramo ed appendice della fede, un’addizione o complemento alla fede." Poiché egli voleva concepire la certezza come correlata alla fede, egli la descriveva come "fede elevata e sollevata al di sopra del suo ordinario grado [rate]." "La Scrittura," disse Goodwin, "parla della [certezza] come una cosa distinta dalla fede."
Secondo lo studioso Puritano James I. Packer, la dottrina della certezza di Brooks e Goodwin "era la concezione Puritana generale della certezza" (James I. Packer, "The Witness of the Spirit: the Puritan Teaching," in Puritan Papers, vol. 1, P&R, 2000, pp. 20, 21; vedasi anche il suo The Quest for Godliness, Crossway Books, 1990, pp. 179-189).
William Perkins, un teologo Puritano di spicco, insegnò che "nessun Cristiano raggiunge questa piena certezza all’inizio, ma dopo che sia trascorso qualche tempo, dopo che per un lungo lasso ha mantenuto una buona coscienza davanti a Dio e davanti agli uomini" (cit. da Robert Letham, "Faith and Assurance in Early Calvinism: A Model of Continuity and Diversity," in Later Calvinism: International Perspectives, ed. W. Fred Graham, Sixteenth Century Journal Publishers, 1994, p. 382). Ciò era separare la certezza dalla fede in modo violento.
I motivi per cui i Puritani negavano che la certezza appartenga alla natura stessa della fede è ciò che ora ci interessa considerare. Di certo, due dei motivi erano la dottrina Puritana riguardante il patto condizionale e la loro inclinazione a sospendere la certezza della salvezza sull’"esperienza." Se si deve ottenere la certezza della salvezza prima adempiendo delle condizioni e poi scoprendo all’interno di se stessi una sufficiente "esperienza," la certezza è effettivamente posta al di fuori della portata di tutti eccetto che dell’elite spirituale. E siccome la certezza di questa elite riposa su qualche "esperienza," su ciò che i Puritani chiamavano il "sillogismo mistico," la loro certezza si poggia su una canna spezzata.
Ciò che ci interessa è l’effetto del diniego che la fede è certezza. L’effetto è il dubbio. I predicatori Puritani predicavano il dubbio al loro popolo. Essi professano di desiderare che il popolo abbia certezza. Senza dubbio sono sinceri in questa professione. Ma quando convincono il loro popolo che la fede in Gesù Cristo, la fede cioè che crede di cuore il vangelo della Scrittura, non è certezza della propria salvezza mediante Gesù, che la fede in Gesù Cristo non è sufficiente per avere la certezza, che la fede in Gesù Cristo non è essa stessa la più chiara prova da Dio in cielo che chi ha questa fede è salvato da Gesù Cristo, essi creano dei dubitatori. Essi creano intere congregazioni e denominazioni di dubitatori. Essi creano dubitatori per una vita. Essi creano dubitatori di generazione in generazione.
Il capitolo successivo della descrizione e difesa da parte di James I. Packer del diniego che la fede sia certezza, nel volume uno delle Puritan Papers, è intitolato "I Modi di Trattare dei Puritani con le Anime Travagliate." Certo!
Chi nega che la certezza appartenga all’essenza stessa della fede cercherà per sempre la certezza. A sentirli parlare, la relazione del credente alla certezza è quella di una "ricerca" della certezza. Questo è il titolo del capitolo nell’opera di Stoever "A Faire and Easie Way to Heaven" in cui egli descrive la relazione tra un Puritano e la certezza: "La Ricerca della Certezza." Sempre ricercare, e molto probabilmente mai trovare!
Vi è perfino, tra queste persone, una perversa stima del dubbio come virtù spirituale. Colui che continua a dubitare della sua salvezza di anno in anno, sempre cercando e mai trovando, è considerato come piuttosto spirituale. Non infrequentemente egli considera se stesso come piuttosto spirituale. Egli guarda dall’alto in basso a coloro che dicono di avere la certezza semplicemente mediante la loro fede in Cristo, e li ritiene "non spirituali." Stoever nota che i pastori Puritani rendevano "un certo tipo di serio dubbio stesso un distintivo di beatitudine" ('A Faire and Easie Way to Heaven', p. 148).
Ma il dubbio non è beatitudine.
Il dubbio è miseria, la miseria del peccato di incredulità.
La miseria del dubbio è terribile.
E chi dubita lo sa.
Si provi a dire all’uomo anziano sul letto di morte, terrificato al prospetto del giudizio imminente, che la certezza che egli non ha a motivo dell’insegnamento Puritano appartiene meramente al "bene esse" della fede, non all’"esse."
1Leggasi anche "L’Essenza della Fede"a riguardo.2Leggasi anche "Fede e Conoscenza" a riguardo.
3Leggasi anche "Fede e Fiducia" a riguardo.